La scarpa. A lungo ignorata, al punto tale che bisogna aspettare il 19 esimo secolo per vedere un fabbricante di Filadelfia vendere delle paia di scarpe dove i 2 ft. sono distinti l’uno dall’altro.
I vari modelli nella storia
La francesina è, senza dubbio, il modello più semplice ed elegante che esista. Caratterizzato dal fatto che la tomaia è cucita sopra i gambetti. Mal si adatta al rialzo sul collo del piede perché impossibile regolare i lacci. Il derby è l’altro modello classico con i lacci. La tomaia è cucita sotto i gambetti. Sono, dunque, liberi e l’allacciatura è facilmente regolabile. Inventato alla fine del 17 esimo secolo dal Conte di derby che gli ha dato il suo nome.
Il mocassino è la prima cosa che l’uomo bianco ha preso a prestito dagli indiani d’America che avevano effettivamente inventato questo tipo di scarpe con pelle di daino e suola molto flessibile.
Il vocabolario etimologico della lingua italiana, alla voce scarpa, recita più o meno così: oggetto che incide, o combinato, sporgente, dalla forma aguzza, refrattaria a seguire le morbide curve del piede.
La forma della scarpa
La scarpa, dunque, forma appuntita. Sarà interessante far subito notare come l’oggetto sorga non dalla funzione, come sarebbe lecito attendersi da un manufatto di così universale e quotidiano uso, ma dalla propria forma, quasi che già nell’embrione dell’ etimologia si celasse l’impulso ad uscire dal piano dell’utilità immediata per divenire forma significante, simbolo. Dall’altra parte, la calzatura irrompe precocemente nel nostro immaginario infantile con la celebre scarpina di Cenerentola. Scarpina fatta di cristallo, materiale destinato alla contemplazione più che all’uso e all’usura.
L’Uso della scarpa
Le scarpe non sono oggetti da mettere impunemente sotto i piedi. Per quanto bizzarra possa sembrare questa affermazione, non si può negare che nei rivolgimenti della storia, la scarpa rappresenta una presenza singolarmente costante, un filo rosso, neppure troppo sottile, che impone attenzione rispetto, nonostante e forse proprio a causa della natura vile e prosaica dell’oggetto in questione.
Un imperatore romano, Giulio Cesare Germanico, prese il nome dalla propria calzatura militare, quando l’ultimo imperatore di Bisanzio, Costantino, cadde combattendo nella disperata difesa di Costantinopoli, il suo corpo fu identificato nella catasta di cadaveri dai calzari purpurei, prerogativa del sovrano.
Uso a volte inappropriato della scarpa
Mentre uso più informale delle proprie calzature fece il leader sovietico Krusciov, quando, nel corso di un celebre discorso all’Onu, nella sua accalorata perorazione, richiamò l’attenzione degli uditori, battendo il tacco della sua scarpa sul seggio.
Infine, basterebbe ricordare come la scarpa sia stata al centro di una delle più accese querelle della storia dell’estetica novecentesca, coinvolgendo due mostri sacri del pensiero occidentale, nonché un illustre storico dell’arte. La questione è nota nel celebre saggio su l’origine dell’opera d’arte. Heidegger aveva citato un dipinto di Van Gogh raffigurante un paio di scarpe da contadino e ne aveva fatto un simbolo della trasfigurazione del reale operata dall’arte.
Il rapporto tra scarpa e individuo
Oggi, il rapporto tra scarpe/individuo appare ora rovesciato. Non è più l’uomo a dare forma e sostanza alla scarpa attraverso l’uso. Viceversa, è la scarpa, con l’ostentazione della griffe e il fascino della sua rassicurante omologazione, a definire la persona che la calza, a farne la persona, appunto. La scarpa rappresenta non più il veicolo del singolare e del vissuto, relegati nella sfera del rimosso, ma lo strumento attraverso il quale ogni differenza risulta smorzata e l’infinita varietà degli individui ricondotta a poche e ben classificabili categorie.