Di Caprio sarà Joe Petrosino, il poliziotto italo-americano ucciso a Palermo il 12 marzo 1909. Fabio Ceraulo – autore de “Il tredicesimo giorno”- racconta per noi la storia di un poliziotto che pensava di lottare da solo contro la mafia
di Maria Grazia Sclafani
Leonardo Di Caprio sarà produttore e interprete dell’adattamento cinematografico di The Black Hand, il libro che richiama alla memoria Joe Petrosino, prima vittima di mafia appartenente alle forze dell’ordine.
A svelare la notizia è il magazine Deadline, dove si legge in esclusiva che la Paramount Pictures ha acquistato i diritti dell’ultimo romanzo di Stephen Talty, The Black Hand: The Epic War Between a Brilliant Detective and the Deadliest Secret Society in American History (La mano nera: l’epica guerra tra un detective brillante e la più mortale setta segreta della storia d’America), ambientato nella New York dei primi del ‘900. Qui Giuseppe Joe Petrosino, poliziotto italo-americano e membro del New York Police Department, con coraggio e determinazione indaga i gravi crimini della malavita italiana, trapiantata negli Stati Uniti con il nome The Black Hand (la Mano Nera). Di Caprio sicuramente non conosceva sicuramente l’ultimo romanzo di Fabio Ceraulo, Il tredicesimo, Milena edizioni. Ceraulo– palermitano doc –ci racconta è la storia – o meglio, il finale della storia – di Giuseppe, che da ragazzino emigrò con la sua famiglia negli Stati Uniti. Ottenne la cittadinanza, entrò in polizia e divenne molto bravo. Talmente bravo e intuitivo che fu mandato in Italia a seguire una pista mafiosa e a Palermo morì assassinato. Tutti lo chiamavano Joe. Di cognome faceva Petrosino. Sì, proprio quel Petrosino di cui Di Caprio si è “innamorato”. In questo romanzo mirabilmente costruito realtà e finzione si intrecciano tessendo una trama perfettamente riuscita, senza imprecisioni. La realtà è Joe Petrosino, poliziotto italoamericano brutalmente assassinato dalla mafia perché stava ficcando il naso in un caso troppo losco. La finzione è creata da Ceraulo intrecciando con maestria i fili della narrazione con lucidi spaccati della vita sociale palermitana di inizio Novecento.
Fabio, come nasce la tua curiosità per un personaggio come quello di Petrosino?
La mia famiglia proviene dalla zona in cui Petrosino fu assassinato, piazza Marina, nel cuore del centro storico di Palermo. Quello è un luogo che mi ha sempre affascinato. E’ un libro di storia a cielo aperto che ha segnato, nel bene o nel male, tante pagine di vita palermitana. Inoltre, da bambino, lo sceneggiato televisivo su questo personaggio, interpretato da Adolfo Celi, fu forse la prima trasmissione che ricordo con grande emozione. I miei genitori, allora, e i nonni, mi spiegavano passo dopo passo ciò che le immagini di quel film raccontavano. Tutto ciò mi è sempre rimasto dentro come un piccolo bagaglio storico al quale sono e sarò sempre legato.
Dove hai trovato informazioni e fonti per ricostruire il personaggio di Petrosino e il contesto in cui si muoveva?
Il mio libro è un romanzo che ruota attorno alla sera del delitto Petrosino, un fatto che influenzerà la vita di un giovanotto, personaggio da me creato, che è il vero protagonista del libro. Nel racconto, infatti, c’è una parte inventata, nata dall’esigenza di scrivere una storia che fosse di contorno a quella, vera, dell’assassinio del poliziotto. Per la parte storica mi sono documentato nelle biblioteche, dove ho scoperto che all’epoca dei fatti la risonanza data a questo evento fu limitata. Non è come oggi, con internet, tv e social. Allora se ne parlò ma con il trascorrere dei giorni le notizie erano poche e le indagini non si muovevano in nessuna direzione, tant’è vero che tutt’ora (nonostante qualche dubbia rivelazione criminale) l’omicidio Petrosino ha tanti punti interrogativi. Per documentarmi sul primo novecento palermitano ho sfruttato, invece, oltre ai giornali d’epoca, anche i racconti familiari, per descrivere al meglio come si viveva e ciò che si pensava relativamente a fatti di cronaca nera. Inoltre, l’aver conosciuto il pronipote di Petrosino, che ogni anno viene a Palermo per l’anniversario del delitto, mi ha reso questa figura molto più familiare. Parlare con lui, che ha tanti ricordi tramandati dalla madre e dal nonno, mi ha fatto conoscere questo personaggio anche a livello intimo e familiare.
Quali parti della città sono legate a Petrosino? Sono citate nel tuo libro?
La piazza di cui parlavo prima è stata protagonista assieme a Joe Petrosino, dei suoi giorni trascorsi a Palermo, tredici in tutto. L’hotel de France, dove alloggiava il detective e il Caffè Oreto, dove cenava, sono all’interno di quel perimetro. E’ tutto ancora lì. L’hotel oggi è una sede universitaria e il caffè Oreto, un tempo ristorante di un certo livello, oggi è un bar la cui configurazione è molto simile a quella di quel periodo. Insomma, piazza Marina fu lo scenario principale per tutte queste ragioni. Nel libro, questo luogo è presente e fa da contorno alla storia di un giovane che lavora al caffè e incontra Petrosino pur non sapendo chi sia. Per poter meglio descrivere certi aspetti del romanzo, sono andato spesso in quella piazza a ripercorrere, da solo, lo stesso itinerario che il poliziotto faceva tutti i giorni. Questo mi ha aiutato a comprendere un po’ di cose e poterle riportare sul libro.
Oggi le fiction e i film che hanno come protagonista un poliziotto sono seguitissimi. Da Montalbano a Schiavone, per citarne alcuni. Quale aspetto di Petrosino pensi possa coinvolgere un lettore – spettatore? Di quali valori può essere il simbolo?
Joe Petrosino è stato il capostipite di un modo di investigare sulla criminalità organizzata. Fu il primo, in assoluto, che arrivò a certe conclusioni, anticipando di tanti anni quello che sarebbe accaduto dopo. Fu un apripista, in tutti i sensi, sia per il modo con cui indagò negli Stati Uniti, sia per l’aver voluto, a tutti i costi, proseguire le indagini andando alla radice del problema, ovvero facendo il viaggio in Italia che gli costò la vita. Qui, in quei pochi giorni che riuscì a lavorare, si rese conto di come la criminalità si stesse espandendo con tanti traffici loschi e l’appoggio di politici conniventi. Pagò cara l’inesperienza dell’epoca e il fatto di essere da solo. Tuttavia, per i suoi modi e la sua tenacia, può benissimo ricordare personaggi scomparsi in tempi più recenti come il generale Dalla Chiesa o il commissario Boris Giuliano. Petrosino è una sorta di connubio tra questi due eroi, i cui valori erano di certo l’onestà e il rispetto della legalità. Di questi valori, il poliziotto italoamericano fu certamente un simbolo, purtroppo oggi poco conosciuto dalle nuove generazioni.