Adattarsi alla disabilità richiede molta abilità. E i disabili sono molto abili nel trasformare la disabilità in abilità straordinaria. Questo articolato e straordinario gioco di parole che racchiude tutto il senso dell’universo disabilità
di Clara Di Palermo e Patrizia Romano
“Disabilità non significa inabilità. Significa semplicemente adattabilità”. Ed è proprio da questo aforisma dello scrittore e musicista Chris Bradford, che vogliamo iniziare un percorso per conoscere meglio una realtà, spesso ignorata e messa ai margini. Uno status di vita, o meglio, una condizione fisica e, a volte mentale, dalla quale devi trarre tutte le forze necessarie e inimmaginabili per vivere. Adattarsi alla disabilità richiede, dunque, molta abilità. E i disabili sono molto abili nel trasformare la disabilità in abilità straordinaria.
Dopo questo articolato e straordinario gioco di parole che, secondo noi, racchiude tutto il senso dell’universo disabili, passiamo a qualche dato statistico che ci aiuterà a cogliere meglio questa realtà.
In Italia, le persone con disabilità sono circa il 6 per cento della popolazione, oltre il 4 per cento rappresenta la percentuale delle disabilità intellettive e/o relazionali.
Spesso, il disabile è commiserato. Molte volte, anche discriminato, soprattutto da quelli che hanno paura di riconoscersi in lui.
È pur vero, però, che il modello attuale con il quale oggi dovremmo approcciare la disabilità è cambiato. “Da un modello iniziale sanitario, nel quale la Persona con Disabilità veniva considerata ‘oggetto di cura e assistenza’ – spiega Antonio Costanzo, presidente dell’Anffas, Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale – oggi diviene ‘soggetto portatore di diritto’. In questa direzione – continua Costanza – la disabilità non coincide più solamente con la patologia, ma è intesa come il numero di barriere intorno a una persona: ostacoli che non gli consentono di vivere la vita al pari degli altri. Pertanto, le parole chiave diventano oggi: prima la persona, poi la disabilità”.
La diversità viene intesa, pertanto, come una condizione umana e, di conseguenza, ciascuno di noi per poter godere del miglior livello di qualità della vita possibile, ha bisogno di un dato o un numero, più o meno intenso, di facilitatori e sostegni. “In questo senso – riprende il presidente – avere il massimo della qualità della vita possibile (e prima di tutto aspirare a ciò) diventa un diritto fondamentale: questo e altri diritti sono scritti nella Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità, nata nel 2006 e ratificata dall’Italia nel 2009”.
Purtroppo, a oggi, il modello sanitario è ancora quello predominante. Possiamo, quindi, dedurre che il numero di barriere attorno a una Persona con disabilità sia superiore in Sicilia e in generale nel Sud di Italia rispetto alla restante parte del Paese: barriere architettoniche intorno alle persone che, ricordiamo, possono essere di differenti tipologie (diverse sono le esigenze delle persone in quanto tutte le persone sono diverse!) e che non riguardano solo la Persona, ma anche la sua famiglia.
“Secondo questa prospettiva – lamenta il presidente Costanza – potremmo affermare che in Sicilia vi sia una maggiore ‘intensità di disabilità’ dettata probabilmente da interventi, servizi, pianificazioni e progetti pensati non per tutti, ma solo per una parte di popolazione che ha generato, e che genera tutt’ora, cittadini di serie A e cittadini di serie B. Le Persone con Disabilità sono stanche e chiedono alla società tutta, partendo dalle Istituzioni, una svolta culturale non più rimandabile che parta, prima di tutto, – sottolinea – da una considerazione: le persone con disabilità vogliono decidere della loro vita, perché con gli adeguati supporti e sostegni possono farlo (nessuno sa meglio della Persona con Disabilità che cosa sia la disabilità!) e ciò vale anche per le Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale che hanno il diritto di autodeterminarsi e la società tutta ha il dovere di garantirglielo. Potere scegliere, quindi, che scuola frequentare, godere di un sistema di istruzione efficace, lavorare e scegliere dove e con chi vivere sono diritti, ancora oggi nella maggior parte dei casi, negati”.
Strutture per disabili
Interroghiamoci su una parte delle strutture residenziali presenti nel nostro paese. Rispondono ancora alle esigenze di quanto discusso finora? Chi di noi, se potesse scegliere, a 30 o 40 anni sceglierebbe di passare il resto della vita in una struttura con 50 o 60 posti letto? E’ possibile, pertanto, che vi sia la tendenza a vivere quanto più possibile in famiglia, perché poche sono le strutture che rappresentano una valida alternativa. Tutte le Persone con Disabilità hanno famiglia e tutte le famiglie non riescono più a sopportare gli eroici sforzi quotidiani ‘contro tutto e contro tutti’.
In questo settore – afferma Anna Alfisi, presidente dell’associazione Palermo Per Tutti onlus – non vi sono strutture eccellenti. Spesso diventano un parcheggio, non stimolano all’integrazione, che, dopo la riabilitazione, dovrebbe essere, la dove è possibile, il vero obiettivo. Le istituzioni – continua – rispetto agli anni precedenti – hanno fatto leggi che dovrebbero far rispettare l’abbattimento delle barriere, non dovrebbero far mancare i finanziamenti per i diversi servizi, dovrebbero aiutare il disabile a vivere una vita dignitosa a casa propria con servizi adeguati. Si, per carità, rispetto a prima c’è un interesse maggiore, ma ancora non esaustivo. Si dovrebbe creare una rete d’informazione – conclude Anna Alfisi – servizi più efficienti e distinguere l’esigenze e le relative problematiche.
Il quadro normativo sulla disabilità
In questo, la recente legge sul Dopo di Noi, approvata in via definitiva alla Camera, rappresenta un’importante passo avanti, su cui molte associazioni esprimono grande soddisfazione.
La diversità viene intesa, pertanto, come una condizione umana e, di conseguenza, ciascuno di noi per poter godere del migliore livello di qualità della vita possibile, ha bisogno di un dato o un numero, più o meno intenso, di facilitatori e sostegni. “In questo senso – riprende il presidente – avere il massimo della qualità della vita possibile (e prima di tutto aspirare a ciò) diventa un diritto fondamentale: questo e altri diritti sono scritti nella Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità, nata nel 2006 e ratificata dall’Italia nel 2009”.
Purtroppo, a oggi, il modello sanitario è ancora quello predominante. Possiamo, quindi, dedurre che il numero di barriere attorno a una Persona con disabilità sia superiore in Sicilia e in generale nel Sud di Italia rispetto alla restante parte del Paese: barriere architettoniche intorno alle persone che ricordiamo possono essere di differenti tipologie (diverse sono le esigenze delle persone in quanto tutte le persone sono diverse!) e che non riguardano solo la Persona, ma anche la sua famiglia.
Qualità della vita del disabile vuol dire integrazione
La qualità della vita delle persone disabili e delle loro famiglie non è certamente buona. “Spesso – riprende Anna Alfisi – la famiglia si prende il carico maggiore nell’assistenza, diventando indispensabile, assumendo il ruolo di caregiver e sostenendo un impegno difficile e gravoso. In alcuni casi, i genitori sono il vero sostegno, e gli unici in grado di garantire al figlio una vita dignitosa”.
E chi non ha genitori? La disabilità porta dei limiti, delle difficoltà che vengono accentuati dalla società che non tiene conto di cittadini con esigenze diverse. “Un cittadino diversabile – riprende Anna Alfisi – ha diritto di vivere la propria vita e questo avviene attraverso l’integrazione, come ho scritto in un mio articolo ‘integrazione e disabilità, un binomio possibile’. L’integrazione, però, è possibile soltanto se vi sono servizi, se si abbattono le barriere architettoniche, se si riesce a sensibilizzare ed educare i cittadini alla non discriminazione e all’accettazione della diversità, se si riesce a dare un’immagine positiva e non pietistica della disabilità, se si rispettano le leggi esistenti”.
Insomma, bisogna educare a vedere la persona disabile come cittadino con uguali diritti, come compagno di lavoro, di scuola, come vicino di casa eccetera, come donne e uomini con uguali diritti, che possono amare, fare famiglia, lavorare e divertirsi.
“Spesso – lamenta la presidente dell’associazione – i media fanno vedere casi disperati che suscitano la pietà. Raramente fanno vedere disabili integrati che, superando le difficoltà, cercano di fare una vita normale.
La disabilità porta dei limiti, delle difficoltà che vengono accentuati dalla società che non tiene conto di cittadini con esigenze diverse. “Un cittadino diversabile – riprende Anna Alfisi – ha diritto di vivere la propria vita e questo avviene attraverso l’integrazione, come ho scritto in un mio articolo ‘integrazione e disabilità, un binomio possibile’. L’integrazione, però, è possibile soltanto se vi sono servizi, se si abbattono le barriere architettoniche, se si riesce a sensibilizzare ed educare i cittadini alla non discriminazione e all’accettazione della diversità, se si riesce a dare un’immagine positiva e non pietistica della disabilità, se si rispettano le leggi esistenti”.
Insomma, bisogna educare a vedere la persona disabile come cittadino con uguali diritti, come compagno di lavoro, di scuola, come vicino di casa eccetera, come donne e uomini con uguali diritti, che possono amare, fare famiglia, lavorare e divertirsi.
In vacanza senza barriere
“Questo mio lavoro nasce dalla mia esperienza di vita personale: mio padre era un disabile e, quindi, ho sempre convissuto con questa realtà e con i problemi che ciò comportava. Sebbene mio padre fosse un uomo molto attivo e che non si è mai dato per vinto”.
Eh sì……perchè il papà di Stefania era Roberto Marson, grande atleta, fondatore del Comitato Italiano Paralimpico e primo italiano nella Paralympian Hall of Fame internazionale. Per il Coni è tra i 100 atleti più importanti e famosi del mondo dello sport italiano.
“Ho messo a frutto la mia esperienza personale – racconta Stefania Marson – anche per rendere un servizio agli altri”.
Gli altri, in questo caso, sono i disabili, siano essi motori, sensoriali o cognitivi, che ancora oggi hanno difficoltà a organizzare da sé anche una semplice gita, quello che per tutti noi è semplicissimo e si fa spesso velocemente via internet. Perché un disabile ha bisogno della struttura giusta per accoglierlo, già dal momento dell’arrivo, dal semplice percorso dall’ingresso fino alla reception.
“In Italia la legislazione in materia – precisa Stefania – è abbastanza buona, con dei precisi obblighi a cui attenersi per le strutture di nuova costruzione, che devono necessariamente rispettare dei parametri per l’accesso dei disabili; quelle più datate si stanno adeguando. Ma in molti paesi europei non è così. In Spagna, ad esempio, più precisamente nella regione della Catalogna, abbiamo incontrato non poche difficoltà per la sistemazione dei nostri turisti disabili, eccezion fatta per Barcellona. E questo perché le loro normative non sono ancora precise come le nostre”.
Il portale “Senza Barriere” (http://senzabarriere.et-senzabarriere.com/it_IT/621/home.html), vetrina specializzata per viaggiatori con bisogni speciali di “Evolution Travel”, che Stefania Marson cura insieme con una collega, offre infinite possibilità per un turismo accessibile, per viaggi senza barriere, confidando in un’attenta selezione delle strutture fatta grazie alla sinergia con numerose associazioni che assistono disabili, laddove non riescono ad andare addirittura personalmente a verificare che vengano realmente offerti i servizi pubblicizzati.
“Non dimentichiamo che la disabilità non è solo motoria – ricorda Stefania -, il problema non è solo l’accesso in carrozzella, ma ci sono anche i disabili sensoriali, penso, ad esempio, a una persona non udente o non vedente, che hanno anche loro esigenze specifiche. Molto spesso questo genere di disabilità è poco considerata”.
Nel corso della chiacchierata con Stefania, emerge una carenza di fondo nel nostro Paese, che è culturale e formativa: da un lato l’insofferenza o la scarsa attitudine all’assistenza che talvolta si incontra nel personale delle strutture, dall’altro la mancanza di formazione adeguata e specifica: negli istituti alberghieri non è previsto che gli studenti seguano dei corsi per accogliere e assistere i disabili.
Negli ultimi tempi, per fortuna, si è fatto moltissimo: sono aumentate le agenzie che organizzano viaggi o semplici soggiorni in albergo, tutto ad hoc per disabili, basta fare un giro sul web per farsi un’idea. C’è anche, ad esempio, “LP Tour” (http://www.lptour.it) che ha un team di verificatori incaricato di accertare le caratteristiche di accessibilità delle strutture.
Ma, in questo panorama in evoluzione, non va trascurato l’aspetto economico: spesso, infatti le strutture adeguate all’accoglienza dei disabili sono di categoria medio alta, da 4 a 5 stelle “difficilmente in un due stelle troviamo il rispetto di determinati parametri – dice Stefania Marson “.
E quindi si è costretti a spendere di più o, chi non può permetterselo, deve rinunciare o virare su altro tipo di svago.
La novità sono i campeggi che si stanno attrezzando e sempre più numerosi, sull’intero territorio nazionale.