Il libro di Sara Morace incuriosisce e affascina fin dalla prima pagina. Non è solo un romanzo, ma un tentativo di riscoprire la storia
di Rosalba Barbato Di Giuseppe
Nessun palazzo, nessuna antenna, nessun cassonetto bruciato. Case a schiera, non villette abusive, prendono la forma armonica di un villaggio, circondato da alberi alti, curati. Sento quasi l’odore del borgo antico, immerso nella natura, attraversato da un fiume che rincuora e rinfresca; un caseggiato che si affaccia sul mare, dove partono e ritornano i pescatori. Un posto situato in un tempo lontano, tanto lontano quanti sono i granelli di sabbia.
“Ciascuna e ciascuno sa quali attività svolgere, la messa in comune di risorse alimentari e la sua ridistribuzione faceva sì che nessuno avesse troppo di quel bene e troppo poco di quell’altro”.
Un villaggio fondato sul mutuo sostegno e la collaborazione, dove prima di staccare un picciolo si cercano informazioni, si chiede consiglio, permesso alla madre terra. La più saggia, Aranua, la madre di tutti, sa leggere i volti e i loro silenzi, è lei che in sogno dialoga con Marija, che è venuta dal Domani per mezzo di un gatto che annuncia il suo arrivo e viene chiamato domani: docile e irrequieto, bisognoso d’affetto eppure forte.
Non ho mai visto sotto questa luce Marija, che riconosco subito. Vive nel mio tempo, l’ho vista milioni di volte; potrebbe essere mia madre, eppure non l’ho mai ascoltata chiaramente come adesso. Racconta alla mite donna che sembra essere il capo del villaggio il nostro modo di vivere: ”alla rovescia, come se fosse normale”. “Le persone a terra ferite e morte, guerre fatte in nome di un dio, in nome della pace; donne portate via per i capelli, violentate, bambini costretti a lavorare, alberi grigi e morti; la campagna lontana giorni e giorni di marcia.” Le persone vivono senza orti da coltivare, senza un cenno di saluto da scambiarsi.
Tutto ciò è il contrario della vita, insiste Aranua. Chi vorrebbe vivere così? Nessuno, non può succedere.
Il libro di Sara Morace, I racconti di domani, (Prospettiva Edizioni, 2008) intimidisce, incuriosisce, affascina fin dalla prima pagina, dà motivazione alla scoperta. Non è solo un romanzo, ma un tentativo di riscoprire la storia, di rileggerla in maniera positiva secondo una logica della vivibilità che riconosce e ridà valore al potere benefico femminile nella costruzione della socialità e della convivenza. Un invito a prendere coscienza di questa caratteristica insita in tutte le donne: sono tutte madri, tutte custodi della vita. Una ricerca antropologica, umanista, in chiave femminista e vitalistica.
Il libro prende ispirazione dagli studi effettuati da Marija Gimbutas, un’archeologa e linguista lituana, che ricostruisce e analizza in “The Civilization of the Goddess” le culture del neolitico in Europa. In particolare si discutono le differenze tra gli elementi del sistema della “vecchia Europa”, da lei considerato matriarcale e ginocentrico, e la cultura patriarcale portata dagli indoeuropei nell’età del bronzo. Secondo la Gimbutas, questi due sistemi si sarebbero fusi generando le società classiche dell’Europa storica.