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Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Il 2 Novembre in Sicilia. Una simbologia dei vivi per i morti e dei morti per i vivi.

di Redazione

Qual è il significato profondo che si cela dietro la commemorazione dei defunti? E la stessa terminologia legata al calendario si adatta alla festa, infatti non si dice fra alcuni giorni verrà il 2 Novembre, ma verranno i morti. 

di Walter Nania

In questi giorni, come di consueto, si sono svolte le tradizionali fiere dei morti in Sicilia. A Palermo e in provincia sono state organizzate quattro fiere, a Villabate, a Bagheria e due in città, presso il piazzale di via Nina Siciliana e la tre giorni organizzata presso i Cantieri Culturali alla Zisa che ha preso il nome di “Notte di Zucchero”. Al lettore non saranno sfuggite le descrizioni che caratterizzano questa festa, fatte di bancarelle di giocattoli, oggetti vari e dolcetti tipici, come i particolari biscotti chiamati crozzi ‘i mottu, (ossa di morto), o i pupatelli ripieni di mandorle tostate, i taralli (ciambelle rivestite di glassa zuccherata). E ancora la frutta di martorana e tutti i dolciumi di ogni genere per preparare il tradizionale cannistru, la tipica composizione che si realizza durante di questa festa. Il cesto viene riempito con primizie di stagione, frutta secca, vari dolciumi e i pupi ri zuccaru, statuette di zucchero dipinte, ritraenti figure tradizionali chiamati anche pupi a cena o pupaccena, di cui ne è stata realizzata una da record ai Cantieri Culturali.

Ma qual è il significato profondo che si cela dietro la commemorazione dei defunti? I regali, i dolci e i giocattoli, sono portati, secondo quanto tradizionalmente dicono i genitori ai figli, in dono dalle anime dei parenti morti. E la stessa terminologia legata al calendario si adatta alla festa, infatti non si dice fra alcuni giorni verrà il 2 Novembre, ma verranno i morti. Tra i dolci che fanno parte dei doni “portati” dai defunti, i più famosi sono i pupi a cena. Questa ricorrenza è legata all’atto del mangiare, tanto che già il celebre antropologo Giuseppe Pitré parlava di morti che, prima di portare i loro doni, mangiassero. Inoltre lo studioso ricorda come i dolci, che l’indomani sarebbero stati donati ai bambini, venivano disposti ordinatamente sulla tavola proprio perché si pensava che la notte tra l’1 e il 2 Novembre i defunti della famiglia cenassero nella loro antica casa. Si tratterebbe dunque di una vera e propria cena, organizzata in onore dei defunti. I morti sarebbero in realtà “vivi”, conservando esigenze e abitudini di quando erano in vita, tanto da spingersi a tornare nelle vecchie abitazioni una volta all’anno. Quindi sono i loro discendenti a doverli onorare e a nutrirli. Partendo da questa lettura che sposta l’attenzione sulla centralità del “morto” che per la tradizione è “vivo”, ecco che è possibile spiegare secondo una chiave di lettura meno commerciale l’apparente ossimoro dei “morti viventi”, la presenza di zombie e mostri di varia natura che dall’oltreoceano giungono a noi da circa trent’anni. Inoltre, la presenza di cibo in quantità e l’obbligo dei discendenti di nutrire gli antenati richiama all’uso del banchetto funebre che, oltre a nutrire la collettività indebolita per la perdita di uno dei suoi componenti, deve assolvere alla funzione di nutrizione dello spirito del defunto. Esiste dunque una comunione costante fra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Gli uni non perdono le esigenze di quando erano in vita, gli altri cercano di soddisfarne i bisogni sia attraverso le preghiere nei luoghi di sepoltura che attraverso offerte perché un domani i discendenti facciano lo stesso, una volta defunti anch’essi. Resta però da rispondere alla domanda su come mai i cibi che, secondo tradizione servono da nutrimento per i trapassati, vengano dati ai bambini, perché alcuni dolci abbiano forma umana e il perché dei giocattoli. Una valida spiegazione è offerta da coloro i quali sostengono che mangiando il cibo destinato ai defunti è come se ci si cibasse simbolicamente dei trapassati stessi. I pupi di zucchero e le paste di miele date ai bambini rappresenterebbero gli antenati, per questo sono antropomorfi, e mangiarli significherebbe cibarsi dei trapassati, del loro sapere e della loro esperienza, per conferire continuità all’identità familiare. Quindi si mangiano i morti, ma questi vengono allo stesso tempo mangiati secondo una ritualità ben precisa.

Dolci, giocattoli e bambini sono parte integrante del rito del 2 Novembre: i bambini sono protagonisti della festa perché secondo la tradizione siciliana sono ancora “non adulti”, appartenenti a quella dimensione di mezzo tra dimensione terrena (in cui si trovano) e dimensione ultraterrena (dalla quale provengono), sono il tramite tra i due mondi, quello dei vivi e quello dei morti, che a loro volti li proteggono, portando in dono i cibi. I defunti sono dunque cibati, ma allo stesso tempo cibano i più piccoli. Il mondo dei bambini trova nei dolci il loro cibo preferito, così come nei giocattoli la dimensioni materiale da loro preferita, nonché ciò che occupa buona parte del loro tempo. Insomma la strenna siciliana dei morti ha un duplice significato: da una parte essa rappresenta un’offerta alimentare alle anime dei defunti, dall’altro un esempio di patrofagia simbolica, nel senso che il valore originario dei dolci antropomorfi era quello di raffigurare le anime dei defunti in maniera che cibandosi di essa, era come se ci si cibasse simbolicamente dei trapassati stessi.

 

 

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