Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Il Caso Cucchi

di Daniela Mainenti

Aumentano le polemiche legate al verdetto sul caso Cucchi. Un verdetto che ha suscitato un fiume di reazioni di indignazione e rabbia.

 

 

I medici sono sul piede di guerra dopo le condanne ai loro colleghi e le dure affermazioni di Ilaria Cucchi che ancora, proprio stamane, ha rivolto nei confronti dei camici bianchi che avevano in cura il fratello Stefano.

Contenti, al contrario, gli agenti penitenziari scagionati dalla III Corte D’Assise.

Aldilà però dei sentimenti legittimi che si possono provare rispetto una sentenza percepita dall’opinione pubblica, come apparentemente ingiusta, tentiamo di  capire e a prevedere a quali regole la Corte possa avere  fatto riferimento per decidere.

Diventa centrale comprendere come funziona quello che in diritto si chiama “rapporto di causalità”.

Nell’analisi della struttura del reato il rapporto di causalità attiene all’elemento oggettivo ovvero alla c.d. tipicità del fatto, per distinguerla  dalla antigiuridicità e dalla colpevolezza, ed assume rilievo nei c.d. reati di evento, vale a dire nelle fattispecie incriminatrici che contemplano l’evento, appunto,, come qualcosa di distinto dalla condotta umana, di un fenomeno naturalisticamente rilevabile quale conseguenza dell’azione o dell’omissione del reo.

Il rapporto di causalità esprime, appunto, il nesso che lega la condotta all’evento e la sua sussistenza incide, dunque, in modo decisivo sull’integrazione del fatto tipico, che consiste proprio nell’abbinamento di una condotta umana e di una situazione di danno o di pericolo (in pregiudizio del bene-interesse che la fattispecie incriminatrice mira a tutelare) causalmente concatenati fra loro.

La rilevanza del rapporto di causalità si riflette anche sul piano pragmatico degli accertamenti giudiziari. Sovente si muove dall’evento, che rappresenta in molti casi la “notizia di reato” e attraverso l’individuazione, potrebbe dirsi “a ritroso”, dei suoi fattori causali si identifica la condotta umana che ne costituisce l’antecedente e, conseguentemente, il soggetto che l’ha posta in essere.

Questo è ciò che , ad esempio, più frequentemente accade nei casi di c.d. colpa medica o di responsabilità per malattie professionali, vale a dire di decessi o di patologie che si assumono conseguenti ad errori od omissioni diagnostico-terapeutici o a fattori letali o comunque patogenetici dell’ambiente di lavoro.

Il rapporto di causalità: la struttura logica

Meno agevole della sua definizione concettuale e dell’individuazione del suo ambito di operatività è l’accertamento della sussistenza del rapporto di causalità.

Si tratta di una problematica che si manifesta a vari livelli e, come è intuibile, su un piano logico.

Gli studiosi del diritto hanno, a tal fine, elaborato la c.d. teoria condizionalistica o della condicio sine qua non (o, anche, della equivalenza delle cause), che intende come causa di un evento ogni antecedente in difetto del quale l’evento non si sarebbe verificato.

Il rischio, però sarebbe quello  del “regresso all’infinito”.

Queste criticità hanno, quindi, stimolato l’elaborazione di ulteriori teorie di tipo correttivo.

Sono note, al riguardo, la teoria della “causalità adeguata”, quella della “causalità umana” e, più recentemente, la teoria della “imputazione obiettiva dell’evento”.

La prima nasce essenzialmente per temperare le conseguenze dell’applicazione della teoria della condicio sine qua non nell’ambito della categoria dei c.d. reati aggravati dall’evento e nelle fattispecie fondate sulla responsabilità oggettiva.

Un esempio di scuola quello del soggetto che, intendendo far morire una persona, la conduce durante un temporale in un bosco, dove un fulmine la colpisce uccidendola.

La teoria della causalità umana si presenta come una variante della causalità adeguata, finalizzata ad estendere il campo della responsabilità penale. comprendendo i cd gli eventi eccezionali.

Più recente, infine, è, come detto, la teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento.

Anche questa tende sostanzialmente a limitare l’estensione della serialità causale e si basa, a tal fine, su due criteri selettivi: l’aumento del rischio e lo scopo della norma incriminatrice.

Il rapporto di causalità: il metodo di accertamento

Come si comprende le maggiori difficoltà, in tema di rapporto di causalità si presentano quando si passa dal piano logico-formale della descrizione dello schema causale, dove appunto si svolge la dialettica fra teoria condizionalistica e suoi correttivi, a quello relativo al suo concreto accertamento.

La teoria condizionalistica si limita, essenzialmente, a descrivere un fenomeno logico indubitabile: se eliminando ipoteticamente un dato antecedente viene meno un evento che sta a valle, si può dire che il primo è causa (o condizione necessaria) del secondo.

Ma in concreto – e dunque nel campo degli accertamenti giudiziari – occorre poter disporre di criteri in forza dei quali poter affermare che un evento ed una data condotta si trovano in una relazione tale per cui fra essi risulta operante il meccanismo dell’eliminazione mentale.

Le leggi scientifiche che entrano in gioco in questo metodo si distinguono in leggiuniversali” e in leggi “statistiche”.

Indubbiamente rigoroso e garantista, il metodo che dipende da  leggi scientifiche presenta, tuttavia, profili di criticità soprattutto in quell’area dell’illiceità penale in cui più intenso è il problema dell’accertamento del rapporto di causalità: i reati colposi e, fra questi, in particolare, i reati colposi omissivi impropri, che sono quelli che si configurano per effetto dell’applicazione a fattispecie di reato con evento commissive (colpose), come l’omicidio o le lesioni personali, della c.d. clausola di equivalenza di cui all’art. 40, cpv, c.p.: Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Al novero dei reati colposi commissivi ed omissivi – nel quale rientrano la colpa medica, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali ed i sinistri stradali – attiene, infatti, il numero maggiore e più significativo di interventi giurisprudenziali di merito e di legittimità sul tema della causalità.

Il nesso di causalità dev’essere accertato attraverso l’individuazione nell’evento di una serie di tratti di tipicità che siano “ripetibili”.

Ma , proprio per questo, è quasi illusorio anelare a canoni di “certezza assoluta”, come quelle che si riscontrano in ambito scientifico.

Piuttosto che all’utopistica “certezza assoluta”, l’istruttoria processuale, per non vanificare la funzione preventivo-repressiva del diritto penale, deve porsi come obiettivo realistico la certezza processuale”.

Di contro, profili di insufficienza, incertezza o contraddittorietà nel predetto percorso cognitivo-valutativo e, dunque, il ragionevole dubbio sull’effettivo e necessario ruolo condizionante della condotta rispetto all’evento debbono condurre ad un giudizio di insussistenza del rapporto di causalità, con i conseguenti esiti processuali.

 

Si puo’ quindi ragionevolmente prevedere, alla luce di queste considerazioni,che i giudici abbiano verificato il nesso di causalità tra l’abbondono terapeutico e l’evento morte di Stefano Cucchi come strettamente correlate.

 

Lo stesso, al contrario,si può altrettanto prevedere, non sia stato  sufficientemente provato per la parte relativa alle percosse degli agenti.

 

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