Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Il caso Toti-Spinelli o la fine della politica

Una politica percepita come parassitaria, declassata a gestire gli interessi, richiede un ceto politico adeguato e subalterno

di Victor Matteucci

Spinelli, l’imprenditore coinvolto nell’inchiesta di corruzione di Genova, aveva dichiarato: “Pagavo tutti“. David Ermini, esponente del Pd, dopo qualche settimana, mentre Spinelli era ancora agli arresti domiciliari, accetta, inaspettatamente, di assumere il ruolo di presidente della holding del Gruppo.  Di fronte alle inevitabili polemiche che immediatamente divampano, Ermini, peraltro ex vicepresidente del Csm e membro della direzione politica del PD, si dice stupito e amareggiato per le strumentalizzazioni che sono state fatte e che continuavano sul suo ruolo nella direzione nazionale del PD e, perciò, decide, non di rinunciare alla nomina aziendale, ma di lasciare l’incarico politico. Anche secondo Zanda (Pd), l’incarico di Ermini per Spinelli “non è uno scandalo”.

La gestione del porto di Genova

Intanto, Giovanni Toti, il Governatore della Liguria, accusato di corruzione, in relazione alla gestione delle aree del porto di Genova, e di falso, in riferimento alla gestione delle discariche in provincia di Savona, scrive una lettera di dimissioni dall’incarico e chiede la revoca dei domiciliari. Appena uscito, incontra i giornalisti per riaffermare che non si è appropriato a livello personale di un euro, ma che la politica ha un costo, tanto è vero che i finanziamenti ricevuti sarebbero stati tutti debitamente registrati.

Inoltre, secondo lui, si tratterebbe di “un processo alla politica” e avrebbe la coscienza a posto.

Nelle stesse settimane, a Venezia, il sindaco Luigi Brugnaro, indagato nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte attività corruttive a Ca’ Farsetti, convoca un consiglio comunale straordinario per dire che “non ha fatto niente di male e che non intende dimettersi”.

Sono solo alcune, le più recenti e nemmeno le più eclatanti, inchieste che riguardano da anni la politica e, in particolare, il rapporto perverso tra gestione politica amministrativa e sistema economico.

La fine del finanziamento pubblico alla politica

Al di là del merito, visto il reiterarsi dei casi di corruzione politica in Italia, che non ha pari in nessun Paese occidentale, una prima riflessione andrebbe fatta sul finanziamento pubblico della politica che, qualche anno fa, è stato abolito per lasciare che il finanziamento ai partiti avvenisse sotto forma di elargizioni private. Il che non ha fatto altro che rendere, in parte, visibile quello che da sempre avveniva in modo occulto, senza per questo, ridurre o evitare, tuttavia, la collusione tra affari e politica. Inoltre, la fine del finanziamento pubblico ha determinato una pioggia di finanziamenti per i partiti di governo o, comunque, in grado di aspirare al governo per interessi rappresentati, penalizzando quei partiti che sono più interessati a rappresentare i bisogni sociali e ambientali e che sono all’opposizione senza alle spalle alcuna grande impresa for profit.

Ora, è evidente che un partito, o gli esponenti politici, in particolare, se con ruoli e funzioni di amministrazione, non possono non essere influenzati da quelle imprese che finanziano le campagne elettorali dei candidati, o il partito stesso, per quanto, questi finanziamenti, almeno parzialmente, possano essere resi pubblici.

La politica ridotta a gestire ciò che rimane

Una seconda riflessione andrebbe fatta sul decadimento della politica che non detiene più alcun ruolo di indirizzo, ma che è ridotta a mera gestione dell’esistente, sia a livello nazionale, per il parallelo decadimento degli Stati e la loro perdita di sovranità, sia a livello locale, per il corto circuito con il capitale privato e i ceti produttivi, e con i condizionamenti inevitabili di cui sopra.

A questo scadimento del ruolo della politica, tuttavia, non corrisponde una perdita di privilegi che sono, al contrario, conservati e anzi aumentati. Da cui, la percezione di una classe politica parassitaria, associata ormai a casta e, quindi, considerata del tutto arbitraria e illegittima. Tanto più che, in assenza di una prospettiva programmatica e di visione, la politica è costretta sempre più, a una attività clientelare e di scambio, che va dalle richieste di assunzione alla concessione di licenze edilizie, dalla semplificazione degli appalti agli accordi di programma in margine ai piani regolatori.

Questa percezione non è negata dai media e dagli interessi economici, anzi, è avallata e fortemente sostenuta, poiché contribuisce a rendere permeabile questo ceto politico già gravemente delegittimato.

La fila dei  “clienti” presso le segreterie di partito, e ancora di più nelle segreterie degli amministratori, è infatti il front office di tutti gli assessori e di tutti i sindaci, a prescindere dall’appartenenza politica. A questo livello ufficiale si aggiunge poi quello informale degli incontri che avvengono nel corso di cene riservate, sugli yacht dei costruttori, nelle residenze private di imprenditori della sanità, presso le sedi di case farmaceutiche o nei cantieri di imprese edili.

E anche evidente che, nei casi in cui il territorio sia gravato dalla presenza mafiosa, i termini dello scambio, che avvengono sotto la forma di appalti pilotati, sono una conseguenza tacita di un equilibrio locale che la politica non può alterare, disattendendo aspettative o investimenti già decisi altrove.

Mentre la politica vive una condizione di area di risulta, professionale ed etica, la magistratura, dove e quando conserva una certa autonomia, fa il suo lavoro burocratico di accertamento degli illeciti e degli abusi, nonostante la scarsità, non casuale, di risorse  umane e materiali.

Di recente qualcuno ha detto che la magistratura attua le leggi, ma che è la politica che le fa. In effetti, la recente riforma della giustizia punta a garantire una maggiore protezione per la politica e a ridurre l’autonomia della magistratura.

I nostalgici della Prima Repubblica

Qui è evidente che il rimpianto sia, da parte del Ministro Nordio e dell’attuale Governo di destra, per quella stagione della Prima Repubblica in cui la magistratura era un corpo unico con la politica di governo, ma ci si dimentica che quella stagione era condizionata dal diktat internazionale della guerra fredda che imponeva una democrazia bloccata (in tutti i suoi poteri) e, inoltre, ci si dimentica che non si era ancora determinata una subalternità della politica all’economia in modi così espliciti, tanto è vero che la politica esercitava ancora un ruolo di mediazione tra interessi pubblici e privati (per quanto sempre in modo clientelare).

Inoltre, il neoliberismo attuale, che è una conseguenza della crisi economica a livello globale, ha contribuito a ridimensionare il ruolo degli Stati nazionali e la funzione politica.

Dunque, la politica attuale, da un lato, è  decaduta a casta parassitaria (con privilegi inalterati), ma del tutto incapace a garantire l’efficienza dei servizi sociali, a favorire l’occupazione e lo sviluppo o a prevenire incendi dolosi e crisi idriche, dall’altro, è incalzata, sia dalla magistratura, che sanziona i reiterati abusi e illeciti amministrativi, sia dal sistema economico privato (legale e illegale) che richiede di sottostare ai propri interessi, in cambio, delle risorse erogate, e del consenso trasferito.

Infine, perché tutto questo sia sostenibile, è inevitabile che il sistema economico favorisca una selezione politica sempre più scadente e inadeguata, con aspiranti amministratori e politici disponibili ad accettare i rischi e il lavoro sporco, e soprattutto che siano compiacenti. Perciò, costoro, per essere perfetti e funzionali, dovranno essere privi di competenze, di storia politica e di personalità etica. Ed è per questo che la borghesia è arretrata e non è più disponibile a entrare in politica, lasciando il campo alle aspirazioni di un proletariato rampante, o a una piccola borghesia senza grandi prospettive professionali, senza scrupoli e spesso di provincia, disponibile ad eseguire, senza opporre resistenze, le scelte e ad avallare le pressioni sul territorio, qualunque esse siano. In cambio, una cassetta di vini e spumanti a Natale, è assicurata.

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