Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Il digiuno in chemioterapia

di Fondazione Italiana Linfomi

Avete mai sentito parlare del digiuno terapeutico in chemioterapia? Moltissimi pazienti oggi richiedono informazioni sulla dieta da adottare per aiutare la loro guarigione. Inoltre, sono frequenti le domande relative al ruolo del digiuno terapeutico come coadiuvante nel trattamento dei tumori in generale. Qual è il ruolo di questa procedura e può apportare dei miglioramenti dello stato di salute di tutti i pazienti con patologie onco-ematologiche?

Due autori illustri, il dott. Longo e il dott. Veronesi, hanno studiato l’argomento in modo approfondito, ma sono ancora in corso studi clinici e pertanto non sono ancora disponibili risposte definitive e univoche alla domanda che ci siamo posti.

Il digiuno terapeutico proposto dal Dr. Longo

Il digiuno terapeutico è la rinuncia volontaria ai cibi solidi per un periodo specifico e limitato nel tempo. Le prime 24-48 ore della terapia prevedono il digiuno completo con la sola assunzione di acqua. In questa fase (la più dura), il corpo consuma la maggior parte dello zucchero e dei trigliceridi presenti nel sangue; i livelli di glucosio vengono mantenuti progressivamente stabili dalle riserve epatiche (glicogeno), mentre l’azione motoria (consigliato il riposo assoluto) è supportata prevalentemente dalle riserve di glicogeno muscolare. ATTENZIONE! Questa tecnica non può essere utilizzata in caso di compromissioni epatiche, diabete mellito tipo 1 o altre malattie che implicano una difficoltà metabolica importante. L’azione metabolica ricercata dai terapisti, avviene al termine di questa prima fase, quando le riserve di glicogeno sono ridotte “all’osso”. A questo punto, il corpo inizia a bruciare prevalentemente il tessuto adiposo, con la produzione e il riversamento sanguigno di molecole chiamate chetoni. Il digiuno terapeutico viene interrotto in modo progressivo, iniziando con l’assunzione di succhi e centrifugati, poi di frullati e vegetali in pezzi, giungendo fino all’assunzione di cereali e legumi. Talvolta, nei soggetti compromessi o che assumono determinati farmaci, il digiuno terapeutico non è mai completo, ma prevede sempre l’assunzione di succhi vegetali come spremute e centrifugati per ridurre lo stato di chetoacidosi.

L’obiettivo di questa dieta è allungare la vita.

Le evidenze più solide riguardano la preservazione di un corretto stato di salute delle cellule, a livello di tutti gli organi. Il processo è reso possibile dall’esaurimento delle riserve di glucosio e dal ricorso al grasso, come fonte energetica. Riducendo la glicemia, si riduce la risposta infiammatoria e aumenta la resistenza allo stress. Nelle malattie ematologiche l’interazione tra digiuno e sistema immunitario potrebbe risiedere proprio in questo riposo dell’apparato digerente. La maggior parte dei contatti tra sistema immunitario e ambiente avvengono a livello intestinale e di conseguenza la minor stimolazione potrebbe determinare un “reset” dell’immunità con possibili effetti benefici (come la riduzione dell’infiammazione nelle patologie infiammatorie intestinali o nel diabete o il ripristino dell’immunità delle cellule T antitumorale).

L’obiettivo del digiuno terapeutico è anche “affamare il tumore”: in situazioni di ‘carenza energetica’ le cellule normali entrano in “modalità protettiva” abbassando la proliferazione cellulare, al contrario, le cellule tumorali perdono questa capacità, e restano quindi sensibili al trattamento chemioterapico.

Il digiuno intermittente proposto dal Dr. Veronesi

La dieta del digiuno intermittente, conosciuta anche come dieta «mima digiuno», prevede l’assunzione controllata di proteine (11-14%), carboidrati (42-43%) e grassi (46%), per una riduzione calorica complessiva compresa tra il 34 e il 54% rispetto all’apporto canonico. Sotto questa etichetta, rientrano due tipologie di dieta:

– la dieta 5:2 prevede che per cinque giorni alla settimana si possa mangiare assumendo tutti gli alimenti, senza eccezioni. Il periodo deve essere inframezzato da due giornate (tra loro non consecutive) in cui l’approvvigionamento energetico non deve essere superiore a un quarto di quello abituale: ovvero tra 500 e 600 Kilocalorie (200-250 a colazione e 300-350 a cena).

– si parla anche di dieta del digiuno intermittente quando si concentra l’assunzione di alimenti in un periodo variabile tra 6 e 8 ore (schema 16/8). Prima dell’inizio della giornata e dopo l’ultimo pasto, viene evitato anche il più piccolo spuntino, in modo da abituare l’organismo a vivere e a «lavorare» in condizioni di riduzione della sazietà. Così facendo, si evita anche di accumulare energia sul finire della giornata, cosa che accade invece a chi è abituato a cenare molto tardi, senza avere poi il tempo di smaltire l’energia accumulata poco prima di andare a letto.

Il digiuno intermittente secondo Veronesi ha finalità più mirate al miglioramento della terapia, cercando comunque strategie simili concettualmente, ma diverse, sulla realizzazione di una riduzione calorica per rendere più suscettibili le cellule tumorali alla terapia farmacologica. La dieta mima-digiuno potrebbe essere utile per migliorare lo stato di salute delle cellule e prevenire malattie degenerative. Potrebbe anche favorire il mantenimento della salute cerebrale e avere così un potenziale ruolo preventivo nei confronti di malattie quali l’ictus cerebrale, l’Alzheimer e il Parkinson.

Effetti del digiuno sul corpo

Il digiuno può essere benefico o nocivo in base ad alcuni fattori; ad esempio: durata, completezza dell’astensione alimentare o supporto nutrizionale, controllo medico, presupposti patologici per la sua applicazione ecc. Non tutte le forme di digiuno sono uguali; alcune risultano estremamente debilitanti ed immotivate, altre meno estenuanti e più razionali. Il digiuno, controllato o non controllato, terapeutico oppure no, risulta comunque molto stressante per il corpo e la mente. Tuttavia, la sua potenziale nocività dipende soprattutto dai parametri con i quali viene programmato. Pertanto l’utilizzo indiscriminato su tutti i pazienti indipendentemente dal tipo e grado di malattia e dallo stato nutrizionale del paziente stesso, non può essere applicato. Un utilizzo non controllato può anche peggiorare lo stato di salute.

Se un paziente risulta candidabile ad un approccio di questo tipo, cosa possiamo aspettarci dal digiuno?

  1. Produzione di chetoni: sono sostanze potenzialmente tossiche, ma con la loro azione sul sistema nervoso centrale, riducono lo stimolo della fame. In alcuni casi, i chetoni possono provocare una sensazione di benessere generalizzato. Chi propone il digiuno terapeutico afferma che questa sensazione di benessere non è imputabile solamente alla chetosi, ma anche al riposo totale del tratto gastrointestinale. La digestione dei soggetti affetti da obesità è un processo sempre impegnativo; consumando pasti molto abbondanti, poco digeribili e responsabili di picchi glicemici elevati, queste persone sono abituate a convivere con una sensazione di debolezza psico-fisica pressoché continua.
  2. Lavaggio cellulare”: l’organismo possiede vari mezzi di eliminazione delle sostanze inutili o tossiche; tra questi, la bile, le feci, le urine, il sudore, il muco, la ventilazione polmonare, i capelli, i peli, le unghie ecc. Il digiuno terapeutico consente di sfruttare questi meccanismi riducendo l’assunzione di sostanze tossiche presenti negli alimenti (ad esempio: mercurio, arsenico, piombo, diossina ed additivi alimentari). Anche questo potrebbe potenzialmente avere dei benefici sullo stato di salute generale del paziente, inducendo una migliore modulazione del sistema immunitario.
  3. Ripristino della funzionalità papillare gustativa della lingua, che avviene attraverso un processo definito neuroadattamento. Questo effetto di “reset” percettivo dei gusti è molto utile per la successiva riorganizzazione della dieta (fase di mantenimento), che prevede l’utilizzo esclusivo di cibi freschi e poco conditi). In questo caso è utile per quei pazienti affetti anche da altre patologie croniche, dove il cambio di stile di vita potrebbe potenzialmente portare ad un beneficio a lungo termine o per gettare le basi di una prevenzione sulle possibili recidive.

Ci sono diversi aspetti da considerare, prima di valutare l’adozione di un simile regime alimentare. Soprattutto all’inizio, poiché si verifica un drastico cambiamento delle proprie abitudini di vita, si può avere difficoltà a gestire la sensazione di fame e l’irritabilità che possono manifestarsi. Per questo motivo, come sempre quando ci si mette a dieta (in questo caso il dimagrimento non è il beneficio più rilevante), è fondamentale essere seguiti da uno specialista esperto. Questo anche perché, pur non trattandosi di un digiuno vero e proprio, un simile regime alimentare non è adatto a tutti e va in ogni caso seguito per un periodo limitato di tempo. Tra le grandi incognite del digiuno vi è il rischio della malnutrizione, motivo per cui medici e ricercatori sconsigliano vivamente il ricorso al fai-da-te. Le alterazioni dello stato nutrizionale sono, infatti, estremamente frequenti tra i pazienti oncologici. La malnutrizione per difetto, caratterizzata dalla perdita di peso corporeo e di massa muscolare, è considerata una “malattia nella malattia” con cui convivono circa 33 milioni di persone in Europa. Essa riduce la tolleranza ai trattamenti, peggiora la qualità di vita e aumenta la mortalità.

Seppur ci siano molti ipotetici benefici su pazienti molto fragili, e in particolare nei pazienti oncologici, non ci sono dati incontrovertibili che per tutti possa andare bene e ancor meno dati sono presenti sui vantaggi nei tumori ematologici. Degli effetti del digiuno nei pazienti oncologici se ne discute da anni, senza che per questo la comunità scientifica sia giunta a un verdetto definitivo. Per ora il consiglio è una dieta antiinfiammatoria, sempre tenendo conto delle specifiche condizioni del paziente (vedi precedente articolo pubblicato Linfomi e alimentazione).

Il digiuno è un’arma straordinaria in prevenzione e non a caso è sempre stato praticato in tutte le culture tradizionali come strumento di depurazione. In terapia, invece, questa risorsa dovrebbe essere modulata caso per caso e mai adottata con un approccio fai da te o protocollata o standardizzata e sempre controllata da specialisti.
Dott.ssa Sara Bigliardi
Medico Ematologo presso AUSL Modena
Comitato di redazione FIL
Dott. Maurizio Agradi
Biologo Nutrizionista

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.