Bisogna evitare collateralismi sociali nei confronti dei migranti forzati in Italia, ma anche contrapposizioni nelle nostre comunità.
di Mons. Gian Carlo Perego*
Si è concluso in fondo al nostro mare Mediterraneo, il viaggio di una bambina siriana di 10 anni, che ha perso la vita perché l’insulina che l’avrebbe salvata era, ancora prima, finita in mare.
La sua famiglia è riuscita a sbarcare ad Augusta con altre 300 persone in fuga.
Una tragedia grave, ma non meno di quella successa in provincia di Treviso e a Roma, dove si è rifiutato di accogliere alcune persone migranti, come i genitori e i figli della famiglia siriana sbarcata ad Augusta.
Le responsabilità sono di tutti. Dello Stato, che in questi anni, con governi diversi, si è cercato sempre di risolvere con l’emergenza e l’improvvisazione un fenomeno che sempre più evidentemente è strutturale, se si pensa che i migranti forzati tra il 2013 e il 2014 sono passati da 51 milioni a 60 milioni.
Manca un piano organico che coinvolga ogni Comune nel prevedere tra i propri servizi sociali l’accoglienza di un richiedente asilo o di famiglie di rifugiati. Ci sono e ci sono state risorse in più in questi anni per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati che, anziché costituire un patrimonio ulteriore per i comuni così da rafforzare servizi per tutti (assistenti sociali, mediatori culturali, educatori…), sono andate ad arricchire multinazionali che hanno gestito grandi centri o enti o cooperative mafiose o imprenditori edili senza scrupoli.
Uno Stato non può andare in ginocchio per l’incapacità di accogliere 75.000 persone. In un’Italia dove si muore più che nascere, dove 100.000 giovani sono emigrati, una città in più di giovani è una risorsa straordinaria se gestita bene. www.arcobalenodipopoli.it
Ma di fronte a carenze e incapacità non è possibile favorire fenomeni di contrapposizione sociale e atteggiamenti di rifiuto, come alcune realtà e politici alimentano in continuazione.
Anche le nostre famiglie e comunità cristiana, come è successo a Crema – una diocesi con una straordinaria tradizione sociale – rischiano di respirare la stessa aria di paura, di rifiuto e di contrapposizione ai migranti, anziché costruire ‘segni alternativi’ che possano indicare la strada verso cui andare per costruire un futuro migliore.
Ci aspetta un lavoro culturale e sociale nelle nostre Chiese che eviti, da una parte, il ritorno al collateralismo nel lavoro sociale rispetto allo Stato, sostituendosi alle sue responsabilità; dall’altro, però, eviti il rischio di non sentirsi responsabili di un nuovo impegno sociale, per paura di vedere contrari e allontanarsi alcuni fedeli delle nostre comunità, con gesti e opere che siano segno di un amore ai lontani che si sono fatti prossimo.
*Direttore generale Fondazione Migrantes