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“Il Giardino delle delizie” di Momò Calascibetta al Museo Riso

Il 4 agosto si inaugura la mostra di Momò Calascibetta. L'Assessore Samonà: “Un modo ironico di mettere in luce pregi e difetti della nostra società”

di Redazione

Mercoledì 4 agosto alle 18.00 al Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo – Palazzo Belmonte Riso, si inaugura Il giardino delle delizie, la mostra di Momò Calascibetta, curata da Andrea Guastella.

La rassegna, ricca di oltre cinquanta opere, tra dipinti, disegni, sculture e istallazioni, ricostruisce un percorso lungo oltre quarant’anni, dai lontani esordi palermitani di Momò Calascibetta durante un evento seguito da Leonardo Sciascia, che si innamorò di un suo lavoro, all’avventura di Cenere, rassegna satirica “in memoria” del sistema dell’arte, ancora in pieno svolgimento.

Pur vivendo a Milano da anni, Calascibetta non ha mai abbandonato la Sicilia; è rimasto invischiato nei suoi miti, nei suoi riti, nelle sue espressioni teatrali. Non sorprende perciò che ad essa, in particolare alla città di Palermo, egli abbia dedicato la quasi totalità del suo lavoro, a cominciare dai primi “processi”, proseguendo con la serie di Comiso Park, creata negli anni in cui Comiso, piccolo centro in provincia di Ragusa, ospitava una base americana traboccante di ordigni nucleari, per giungere a Terromnia, dove la Sicilia e Milano si fondono, e alla Fontana della Vergogna, altro pannello ispirato alla principale piazza cittadina.

Seguono i dipinti “cubani” in cui le periferie dei paesi più poveri confluiscono a Danisinni alla Kalsa o a Ballarò; le carte e i dipinti mitologici che tanto piacquero a Vincenzo Consolo, così vicini ai rilievi e ai decori conservati nel Museo Salinas; Cenere, nelle sue versioni siciliana, italiana e mondiale. Infine, Il giardino delle delizie.
Quest’ultima opera, ambientata nel cuore di Palermo come la Vucciria di Guttuso, ma con un impianto allegorico che ricorda piuttosto il Trionfo della morte e i trittici di Bosch, è un monumentale trittico pittorico realizzato appositamente per la mostra durante l’anno appena trascorso.

Momò Calascibetta

Come ha dichiarato lo stesso artista, è possibile riconoscere nell’opera “una macchina della memoria che è la somma e la stratificazione di oltre quarant’anni di lavoro”. “In questo mio particolarissimo giardino – evidenzia Momò Calascibetta – le varietà arboree sono state sostituite dai fantasmi degli individui che mi hanno accompagnato; individui che non hanno mai prodotto frutti, che sono tronchi anemici e bisognosi di fertilizzanti, arbusti aridi e avvizziti nella calura estiva dei Quattro Canti di Palermo; un tripudio umano, uno spettacolo teatrale dove gli attori non devono più fingere un personaggio né seguire un copione, ma limitarsi ad essere se stessi, come ne La classe morta di Tadeusz Kantor. Oggi, ieri, domani; l’alba, il giorno e la notte; passato, presente e futuro; paradiso, purgatorio e inferno convivono nell’opera, sforzandosi di condensare in un istante la vacuità di un’esistenza passeggera”.

“Il giardino delle delizie”, dettaglio

Ironico, sarcastico, dissacratore, Momò Calascibetta ne Il giardino delle delizie mette in luce pregi e difetti della società contemporanea e ce li presenta in una girandola di colori e allegorie nei quali ritroviamo pezzi e vezzi della nostra quotidianità. Nelle ricche e dettagliate opere di Momò ci siamo tutti noi – osserva l’assessore dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà – Ci sono le grandezze e le miserie della nostra società, ci sono i vizi e le virtù degli uomini, ci sono pezzi della nostra vita espressi attraverso i luoghi del cuore: i quattro canti di Palermo, il Trionfo della morte, la Galleria delle Vittorie vista come un Eden. Ci sono le paure di cui ci rendiamo spettatori in un quadro che per alcuni aspetti sembra ispirato alla dimensione onirica di Fellini. Ogni angolo del trittico ci rivela un tratto della nostra anima, ci fa guardare alla vita e a noi stessi con un occhio curioso e disincantato mettendo in luce, senza mai offendere chi guarda, gli aspetti più grotteschi della nostra esistenza. Davanti all’opera ci specchiamo riuscendo a vedere chiaramente – come attraverso una lente di ingrandimento – ciò che la quotidianità ci occulta. Ed è un diletto leggere le sue opere, talmente ricche di dettagli da scoprirne di nuovi ad ogni sguardo”.

Vi sono opere d’arte”, dice il curatore, Andrea Guastella, “che per il loro messaggio, i sensi riposti, le suggestioni evocate assumono valenza universale. Il Giardino delle delizie di Momò Calascibetta è una di queste. Da tempo non si incontrava un dipinto di tali ambizioni: che cosa più del giardino piantato da Dio in Eden simboleggia infatti, per la nostra cultura, il paradigma di ogni bellezza e perfezione? E tuttavia esso è, sin dal principio, ‘giardino chiuso, fonte sigillata’: l’unico angolo di mondo da cui l’uomo, caduto, viene esiliato con decreto irrevocabile. Sviluppando tale archetipo in chiave di memoria, Momò torna a Palermo, la città in cui è nato, lasciata anni addietro per Milano, ritrovandovi i luoghi e i volti soliti della sua (e altrui) pittura, in una fantasia a occhi aperti dove i rimandi al presente, al significato della creazione artistica e a episodi ‘privati’ si aggrovigliano in nodi quasi inestricabili. Un viaggio ai confini della notte che, come se non bastasse, è rischiarato dalle fiamme della satira, accese da un ardente desiderio di riscatto. Di fronte a una narrazione tanto complessa e tormentata, anziché scrutare a debita distanza, ho preferito procedere in compagnia dell’autore. Ma nella consapevolezza ferma che anche il primo itinerario andrà tentato: col predisporre, per cominciare, la storia di un’esperienza lunga quasi mezzo secolo; un’avventura che, pur al di fuori di scuole o tendenze, non nasconde di allacciarsi alle radici espressionistiche di un Grosz o di un Dix, magari passando per Mantegna, Crivelli, i fiamminghi primitivi. E senza dimenticare l’esempio “civile” di un altro siciliano della diaspora come Bruno Caruso, o la vicinanza – di metodo e di tema – con interpreti acutissimi del caos contemporaneo: William Kentridge, Francesco Vezzoli, David Lachapelle. Questo, però, sarà l’oggetto di un’altra esplorazione. Per adesso l’approccio più sensato è forse quello di chi, come Dario Orphée La Mendola, si addentra nel Giardino alla ricerca di “terribili verità”. Posso assicurarvi, senza tema di smentita, che non se ne pentirà”.

Dopo l’apertura al Museo Riso, l’esposizione farà tappa al Museo Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona di Rende e a Palazzo Donà Dalle Rose a Venezia. Le date e ulteriori tappe verranno comunicate a mezzo stampa.

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