Nel giorno della memoria della Shoah, il racconto della visita al campo di Dachau, uno dei campi di concentramento in cui i nazisti misero in atto un sistematico quanto ingiustificato sterminio degli ebrei. Per non dimenticare.
di Clara Di Palermo
Campi di concentramento, sterminio, deportazione, olocausto… tutte parole che mi suscitavano troppo dolore e che, per questo, rifiutavo.
Poi, un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, la tv propone una intervista di Gianni Riotta a Shlomo Venezia, sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz. Parla del suo libro “Sonderkommando Auschwitz”, racconta le sue dolorose memorie, ricorda di come ogni notte rivivesse quei terribili momenti, svegliandosi di soprassalto.
Il libro è una sofferta testimonianza degli orrori perpetrati per anni dai nazisti, ogni pagina è come un cazzotto nello stomaco. Ma da questo scaturisce la profonda convinzione di chi vi scrive, che non si può dimenticare. E chi visita un campo di concentramento, ancora oggi, sente il bisogno di non dimenticare, di testimoniare ciò che ha visto e ciò che si prova una volta varcati i cancelli su cui campeggia la scritta “Artbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Ignobile presa in giro per far credere ai deportati che quelli erano solo campi di lavoro.
Il campo di concentramento di Dachau sorge al limite dell’omonima cittadina, 15 km dal centro di Monaco di Baviera, oggi alcune case sono costruite giusto oltre il filo spinato, le finestre guardano dentro al piazzale degli appelli.
Descrivere quello che si prova visitando un campo di sterminio è molto difficile…sgomento, incredulità, dolore….ma un dolore che è fisico.
Istintivamente si parla sottovoce o si sta in silenzio, quasi un atto dovuto di fronte a quei visi scheletrici ritratti nelle foto esposte.
E questa scritta “never again”… “mai più” ti colpisce e ti travolge mentre percorri il piazzale degli appelli. E’ una visita devastante anche per i più giovani, per i ragazzi, ma è fondamentale che capiscano che non si gira mai la testa dall’altra parte, perchè allora in troppi girarono la testa dall’altra parte e fecero finta di non vedere. Abbiamo il dovere di nutrire le coscienze.
“Se per miracolo uscirete vivi, scrivete, raccontate, ciò che hanno fatto di noi…..”, queste parole, che sono l’incipit di un libro acquistato lì, possono essere considerate il testamento spirituale dei deportati al campo di Dachau, e tutti che lì morirono, in quei 12 anni di attività del campo di sterminio. Parole che sussurravano ai loro compagni prima di morire e che oggi risuonano nelle orecchie e spingono a raccontare a tutti ciò che si è visto e provato in quella visita, ci si sente in dovere di diventare testimoni e raccontare a tutti, per sollecitare le coscienze a tenere viva la memoria perché non debba mai più accadere quell’orrore.
Seppure dopo aver visto documentari, non eravamo preparati all’impatto con Dachau…. con la recinzione di filo spinato elettrificata…. con le capanne di legno che avrebbero dovuto alloggiare 200 persone ciascuna e arrivarono a contenerne 2000…. con il krematorium, 4/5 forni crematoi in sequenza… le camere a gas…. quello sconfinato piazzale degli appelli……. e quelle tetre torrette di sorveglianza…. e poi le testimonianze e i documenti……… Ti lasci alle spalle il cancello completamente annientata….. non riesci a dire una parola… ti sembra di sentire addosso quegli occhi disperati……e ti giri perché ti sembra di sentire una voce che dice scrivete, raccontate, ciò che hanno fatto di noi…..