La pirateria cinematografica è una grande piaga per l’industria, che nonostante tutto resiste. Perché proprio nei film non se ne parla mai?
di Massimo Arciresi
La scena è questa. Il perfido e ovviamente inetto Casco Nero (Rick Moranis: ci piacerebbe rivederlo ogni tanto), capo militare del pianeta Spaceball, per rintracciare il contrabbandiere Stella Solitaria e il suo fedele amico Rutto, colpevoli di aver mandato a monte il suo piano per rapire la principessa Vespa, su consiglio dello zelante colonnello Nunziatella si serve di una “cassetta istantanea”. Si tratta appunto del VHS della pellicola a cui stiamo assistendo e che gli permetterà di individuare le imminenti mosse del nemico. Paradossalmente, tramite il sistema di avanzamento veloce, gli scorretti e spaesati persecutori s’imbattono nell’esatto momento della loro ricerca… Correva l’ormai lontano 1987, il film è Balle spaziali, diretto e interpretato (in doppio ruolo) da un alquanto autoreferenziale Mel Brooks che, allora non lo sapevamo, stava imboccando la china, pur mantenendo qualche sprazzo del suo graffiante genio (qui siglava la parodia di Guerre stellari e di tanto cinema fantascientifico in voga all’epoca). Le videocassette, editate regolarmente alcuni mesi dopo lo sfruttamento in sala (nonché quelle vergini per uso domestico), stavano entrando nell’uso quotidiano (dal quale sarebbero uscite precipitosamente non molto tempo dopo, a dispetto degli sfondi futuribili della semplice trama esposta sopra) mentre, parallelamente, il virus della pirateria cinematografica si diffondeva. Infatti, quasi tutti i lungometraggi in uscita erano in circolazione contemporaneamente (o addirittura in anticipo) e clandestinamente su nastri magnetici (perlopiù di pessima qualità) a nolo o in vendita, frutto di agghiaccianti riprese proibite effettuate in sale semi-deserte o di riversamenti da masters originali ottenuti con la compiacenza di disonesti operatori di settore. Sovente le tv private trasmettevano indiscriminatamente a qualsiasi ora i contenuti (virati in giallo o verde) di tali penosi supporti. Successivamente, con i vari DivX, dvd, blu-ray forse è migliorata la definizione ma non la situazione, anzi l’“emorragia d’immagini” (e di melodie, però il versante discografico merita un discorso a parte) coperte da diritti d’autore – che, a prescindere, bisognerebbe ripensare – è peggiorata, anche per via della dilagante e ancor più incontrollabile diffusione di film sul web. Una delle conseguenze più tristemente tangibili è la perdita del gusto per la fruizione su grande schermo di almeno un paio di generazioni. Molti spettatori casalinghi di oggi sono spesso distratti, incapaci di distinguere dettagli tecnici, insofferenti.
Alla luce di ciò, che l’abitudine di andare al cinema, fortunatamente, sopravviva (con le modifiche, gli adeguamenti e, talvolta, gli “imbarbarimenti” del caso) è qualcosa di straordinario (segno di un’impronta importante nella società), e speriamo che non tramonti mai. A far specie, piuttosto, è l’assenza pressoché assoluta (eccezion fatta per dei fugaci e temerari cenni, di solito in commedie italiane o americane) di riferimenti alla piaga audiovisiva in questione all’interno delle trame di finzione. In tal senso, lo sberleffo di Brooks (risalente ad “altri tempi” e ancorché coraggioso) resta quasi un unicum, per durata e acume. I plot di ieri e di oggi si occupano legittimamente di qualsiasi cosa, dalla corruzione politica al degrado informatico, dal bracconaggio all’inquinamento; lo smercio illegale di opere d’ingegno destinate alle pubbliche proiezioni, tuttavia, sul piano tematico resta un tabù. Timore di suggerire cattivi esempi alle platee? È nascondersi dietro un dito. Come ritenere la rappresentazione (soppesata, naturalmente) di armi e sigarette portatrice di omicidi e tabagismo. Anzi, qualche bella disamina sul fenomeno ci vorrebbe proprio; magari, per cominciare, un documentario storico-divulgativo che eviti i toni propagandistici, ragionando invece sulle cause e sui possibili argini al problema. Qualcuno ci ha già pensato?