«Per realizzare i miei sogni e arrivare a fare quello che faccio oggi ho dovuto fare veramente i salti mortali. Sacrifici inenarrabili, che non avrei potuto affrontare senza l’aiuto di mio marito che ha dovuto contrastare contro gli stereotipi della sua comunità, per la quale una donna, una madre che affida la cura del proprio figlio al proprio compagno è una moglie e una madre degenere».
Oggi parla di quei momenti come fase della sua vita ormai superata, ma per Bijou Nzirirane, originaria di Bukavu, nella zona est del Congo, membro della segreteria di Cgil Palermo con delega per le politiche di genere e per le relazioni con le comunità migranti, è stata una strada tutta in salita.
«Quando si parla di lavoro, soprattutto per le donne straniere – prosegue – dobbiamo parlare di famiglia nel suo complesso. Le distinzioni da fare sono innumerevoli, ma attenzione anche per le stesse italiane. Nel caso nostro si deve considerare la cultura, la religione, i modi di intendere e affrontare la vita e la famiglia. Una volta che arrivano qui, invece, se vogliono avere un contratto e tempo indeterminato, devono andare a fare le badanti, prendersi cura di anziani e non solo. Questo, però, vuol dire abitare a casa di queste famiglie dove non possono portare i loro figli, spesso piccolissimi, perché costano. Si, hai sentito bene, costano in quanto mangiano, bevono, si lavano. Così accettano, loro malgrado, e la famiglia la vedono solo il giovedì pomeriggio o la domenica».
L’80 % delle donne che frequenta lo sportello migranti del sindacato lavora nel settore della cura, una buona parte, invece, in agricoltura dove subisce abusi e violenze che difficilmente denuncia per paura di perdere quel lavoro, seppure assolutamente precario, sfruttato e sottopagato.
«C’è, poi, una nuova generazione – aggiunge – che lavora nella ristorazione; camerieri nei bar, in pasticceria, giovani di età compresa tra i 17 e i 25 anni e tutti con contratti a tempo determinato. Accettano perché non trovano altro. Vengono allo sportello a piangere perché non sanno cosa fare».
Donne straniere e matrimonio
Anche il tema dei matrimoni combinati solleva questioni ben profonde che guardano all’intero nucleo familiare, nella maggior parte dei casi costringendo la donna a subire una condizione che le impedisce di avere una sua vita.
«Osserva alcune coppie miste. Se vedi che le nazionalità sono troppo lontane tra di loro, allora quello è un matrimonio combinato. Capita, per esempio, nel mondo asiatico, meno tra comunità originarie di Paesi dell’Africa sub sahariana. Tra i bengalesi, poi, non tutti hanno la possibilità di proseguire gli studi e non sempre per problemi di carattere economico o culturale. Le donne si sposano presto e, da quel momento, non si occuperanno di null’altro, a parte la famiglia».
Un tema che ricorre è anche quello del riconoscimento, di diritti e non solo
«Mi riferisco ai ragazzi – aggiunge Bijou Nzirirane – che si sentono italiani, ma non vengono riconosciuti come tali. Questo crea anche problemi a noi donne straniere che, una volta conclusa la scuola dell’obbligo, ma direi anche prima, non abbiamo la possibilità di lasciare i nostri figli in strutture che se ne prendano cura, mentre magari entrambi i genitori lavorano. Significherebbe anche aiutarli a sviluppare il senso di appartenenza a una società inclusiva che, attraverso la socializzazione, educa e forma. Così, e torno a quello che dicevo prima, se una donna non ha il supporto familiare, del marito o della parentela allargata, rinuncia a costruirsi il proprio futuro per un welfare che non esiste. Bisogna che si pensi seriamente allo Ius Soli perchè le nuove generazioni di stranieri, quelle che parlano il diletto locale meglio degli autoctoni, deve avere le stesse opportunità di tutti».
L’educazione, però, non è solo imparare a leggere e scrivere
«È anche indicare la strada soprattutto alle ragazze, alle donne, e fare capire loro che la scuola è importante. È qualcosa che ha ricadute su tutta la famiglia. Un aiuto alle donne, non dico come me che sono stata e sono fortunata, ma a tutte quello che vorrebbero fare crescere i propri figli, dando loro anche la forza e la certezza che, soprattutto se donna, un futuro c’è anche per lei».
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