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Il volo dell’allodola – Il romanzo di Giancarlo Licata

Il romanzo di Giancarlo Licata: storia vera o frutto della fantasia dell'autore? Fughiamo i dubbi leggendo queste pagine intrecciate tra giallo e malavita...

di Redazione

Il volo dell’Allodola, il romanzo di Giancarlo Licata,  è impostato e condotto come un fatto di cronaca reale avvenuto nel Borgo San Fedele.

di Nino Agnello

Leggendo il romanzo di Giancarlo Licata, si deduce che Borgo San fedele sia un piccolo paese presso la grande città di Palermo. L’appendice o i “Titoli di coda”, che danno notizia del processo giudiziario in merito ai fatti narrati, comproverebbero il taglio cronachistico dato alla narrazione dei fatti drammatici conclusivi.

Nasce allora il dubbio: è una storia vera questa raccontata da Giancarlo Licata e data alle stampe dalla curatrice sua moglie Giusi Serravalle, dopo il decesso prematuro dello scrittore, o è tutto inventato secondo i canoni della libera invenzione, che però si appropria di talune vicende verosimili tipiche di un ambiente povero e malavitoso? Se si tratta di una storia vera, sia lode al compianto autore e alla sua curatrice per averla trattata come una toccante, intrigante, interessante narrazione, nobilitata da tocchi artistici sapientemente distribuiti e applicati per renderla ancora più credibile e accettabile.

Se invece tutto l’impianto è inventato, meritano i due suddetti ancora più fondate e generose lodi per avere dato le ali, e volare alto, ad una serie di vicende piccole e grandi rese credibilissime per ambientazione, tipi di personaggi, luoghi noti e raggiungibili coi piedi e con la fantasia.

La trama del romanzo di Giancarlo Licata

La intelaiatura si può riassumere in poche parole. Nell’anno 2005 i coniugi Franco Tarussi e Antonella Valenti – lui molto più anziano di lei – hanno un figlio quindicenne di nome Giovanni che è un disabile particolare con qualche disturbo nel sistema nervoso, e che viene ammesso a frequentare una scuola all’avanguardia, la Karl Rahner. C’è un terzo incomodo, Giorgio Spinarosa, che si cala in mezzo ai due coniugi piantando l’ipoteca del figlio in un abuso extraconiugale. Così si segna anche il destino di lei nel dover fare la moglie adultera.

Costui diventa, ad arte, un capopopolo nella borgata con l’aiuto di altre losche figure, e col sequestro di due poliziotti per creare provocazioni pubbliche e ricatti allo Stato perché intervenga a favore del paese. Un altro fattaccio coinvolge la zelante insegnante Maria, che viene sequestrata e violentata, e ancora un terzo è a danno dei giovani Walter e Martina in un incalzare di violenze, colpi di scena e piccanti abusi di volgarità.

Il particolare dell’adulterio sarà usato verso la fine quando, per salvare Giovanni da morte certa in un sequestro mafioso, Antonella dovrà dimostrare che il ragazzo, destinato a morte certa, è figlio del sequestratore Giorgio. Questa verità salva il ragazzo, ma ferisce l’ignaro padre Franco, che lascia Antonella al suo destino e lui scompare nel silenzio assoluto. Ne seguirà un processo, dato che nel corso della vicenda ci sono stati dei morti. Antonella, sparendo, lascia a casa il manoscritto della sua biografia e di tutta la vicenda, come se fosse una cronaca reale comprovata da documenti giudiziari.

E’ una storia triste di povertà, di malavita mafiosa in un paese alla periferia di una metropoli come se fosse ai margini della storia e della civiltà. Se non piace, interessa invece, avvince, costringe alla lettura per tanta crudezza realistica e per tanti allettamenti artistici. Può anche non piacere l’uso di un linguaggio volgare e scurrile a conferma di certo mimetismo realistico di un ambiente in degrado, proprio quando se ne vuole evidenziare la logica e la maschera delinquenziale.

Così può anche non essere gradito un chiacchierio sovrabbondante di particolari e sottigliezze, che pure può essere coerente con la natura femminile della protagonista, portata alla sovrabbondanza più che alla essenzialità.

Esiste però anche un fraseggio asciutto e incisivo più scultoreo che narrativo, come questa frase quasi di chiusura:<<Ho già distrutto la vita di tuo padre, ho cambiato la tua, ho reso insignificante la mia>> (p.195). E col problema che lascia aperto:<< Quanto pesa in una donna l’amore per un figlio che non è completamente autonomo? E quanto pesa l’amore per il marito offeso nell’intimo della sua esistenza e nel progetto di vita?>>. Risponde ancora lei, questa eccezionale protagonista con due frasi lapidarie:<<A casa ho spiegato tutto a Franco. Da quel momento non mi ha più parlato>> (p.205).

Origine del titolo

E il titolo del romanzo donde deriva? Da uno straordinario gesto di liberazione:<<Stamattina ho liberato Trilli (…) l’ho presa in mano e l’ho lasciata andare (…) Il volo dell’allodola è bellissimo: Trilli è partita sbattendo fortemente le ali (…) Sembrava spaesata, non capiva quella strana e affaticante libertà (…) Il volo dell’allodola è un po’ come la mia vita: giù e su, in alto e in basso, timori e certezze, desiderio di libertà e rinunce>> (pp.205-206).

Qui realtà e metafora coincidono e danno insieme una spinta verso l’alto, verso la liberazione etica, civile, sociale: è un colpo d’ala magistrale che alleggerisce ogni crudezza e dal realismo spinge verso l’idealismo o più alte idealità.

Assieme all’allodola, volano in alto, per grazia dell’arte, autore e curatrice.

Titolo: Il volo dell’allodola
Autore: Giancarlo Licata
Pagine: 216
Rilegatura: Brossura cucita
Dimensione: 15×21
Collana: Narrativa Thule
Prezzo: € 15,00

Edizioni Thule

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