“De arte pingendi – Percorsi tra anima e materia” è la mostra di Ilaria Caputo che si inaugura il prossimo martedì, 19 aprile, alla Sala delle Verifiche del Complesso Monumentale dello Steri a Palermo. Il percorso espositivo secondo cui è articolata l’esposizione è composto da un corpus di 28 dipinti eseguiti con tecniche diversificate ed articolato per nuclei tematici e si propone come una sorta di “riassunto” della produzione dell’artista.
Palermitana, classe 1977, Ilaria Caputo accanto alla produzione maggiore, ha realizzato disegni, illustrazioni e tavole per volumi d’arte. Sue opere sono ospitate in collezioni private (in Italia e all’estero) oltre che pubbliche.
Uno studio approfondito della luce, un coinvolgente stile figurativo, l’arte della Caputo si esprime non solo con la pittura ma anche con pregevoli sculture, utilizzando diversi materiali. La sua pittura ci ha colpito e abbiamo voluto intervistarla per conoscere meglio l’artista.
Raccontiamo Italia Caputo ai nostri lettori, ci faccia un breve ritratto di sé con le parole.
“In genere parlo di me tramite le arti figurative… Questo mezzo espressivo che uso sin da bambina, essendo un mezzo universale, credo che a volte riesca ad
esplicitare meglio alcune sfumature, rivolgendosi non solo alla nostra parte razionale ma anche a
tutte quelle importantissime parti di noi che spesso rimangono in secondo piano. Per raccontare di
me in senso profondo, penso che sarebbe più efficace rivolgersi ai miei lavori, parlando
invece in senso strettamente biografico, posso dire che sono nata a Palermo, dove tutt’ora vivo; ho
frequentato dapprima il Liceo Artistico e poi l’Accademia delle Belle Arti ad
indirizzo scultura. Oltre gli studi canonici, è stata importante per la mia
formazione, anche la presenza di mio padre, pittore e scultore. Infine, così
come per ogni altro essere umano, credo che tutto ciò che viviamo e con cui ci
relazioniamo, ci plasmi per quello che siamo (e che quindi esprimiamo);
ovviamente anche per me vale questa regola”.
Un’artista dalle mille sfaccettature e dai molteplici interessi: pittura, scultura, disegno… da cosa nasce la sua arte e in cosa si identifica di più?
“Penso che l’arte sia qualcosa che tutti abbiamo dentro, poi c’è chi la coltiva di più e chi meno. In ogni caso, come dicevo prima, l’arte è un mezzo attraverso
il quale esprimersi ed è appunto da questa consapevolezza che nasce anche la mia ricerca di
materiali, tecniche ed anche soggetti diversi. Se ho un progetto da realizzare, una sensazione da
far affiorare, o un concetto da esprimere, cerco il mezzo tecnico più adatto. Non mi
identifico con nessun mezzo in quanto appunto, si tratta di un mezzo, ed è qualcosa che scelgo di
volta in volta. Potrei però nominare ciò che personalmente sento primordiale e più naturale: il
disegno”.
Tra le sue opere, molti i ritratti: cosa vi si può leggere?
“Io sono interessata allo studio della natura intima delle cose e specialmente degli esseri viventi; sono incuriosita da ciò che avviene in profondità e propensa
alla riflessione; il ritratto quindi per me è un percorso naturale. Quando
parlo di ritratto lo faccio in senso ampio, oltre alle persone infatti, spesso
ritraggo anche animali e sempre mi piace soffermarmi sulle espressioni,
interrogarmi sui pensieri e stati d’animo dei miei modelli, creare un clima…
in fondo anche quando affronto il paesaggio o un ambiente interno, cerco di
ritrarre qualcosa di intimo, metterci qualcosa d’altro. Direi che sono alla
ricerca dell’anima delle cose”.
A distanza di tempo, riguardando una sua opera, le è mai successo di dire “però… adesso la cambierei in qualcosa”?
“Sì, a volte mi capita di vedere un mio lavoro e pensare che cambierei qualcosa ma raramente lo faccio. Credo che ogni opera sia la fotografia di uno
specifico momento psicofisico e non ritengo opportuno modificare ciò che è l’espressione di un noi di
qualche tempo prima. Se proprio un mio lavoro non mi piace totalmente però, a volte lo cancello e
ci creo sopra qualcosa di completamente nuovo”.
C’è qualcosa che vorrebbe cambiare nel suo approccio all’arte e qualcosa che ritiene un suo tratto distintivo?
“Ciò che ritengo un mio tratto distintivo sia il fatto creare – a mio avviso – opere che contengono degli elementi opposti (o forse sarebbe meglio dire complementari?). Penso di realizzare lavori piuttosto ragionati, di usare spesso simboli, costruendo opere nitide; spero però allo stesso tempo di riuscire a infondere una certa sensibilità, un amore per i dettagli essenziali. Cerco di creare qualcosa di evocativo pur in una strutturazione razionale, creare contrasti… In generale mi piacciono i contrasti, penso che siano qualcosa che rende la vita un po’ più lenta, meno fuggevole perché ci sorprendono e ci spingono a rallentare soffermandoci un po’ sulle cose”.
La sua pittura colpisce per le forme, i colori, ma anche per i materiali usati: talvolta i supporti diventano parte integrante dell’opera stessa. C’è uno studio su ciò?
“Come dicevo, i supporti e i materiali per me sono molto importanti perché sono parte integrante della progettazione (anche inconscia) dell’opera. Non direi che c’è uno studio ma un sentire, un cercare qualcosa di diverso di caso in caso”.
Ci sono due suoi quadri, “Un momento per me” e “Five o’clock” che raccontano semplici momenti di vita e trasmettono delle sensazioni del quotidiano: ambisce più ad un apprezzamento dai critici d’arte o dal pubblico?
“Penso che ognuno di noi, prima del ruolo che riveste nella società, sia innanzitutto una persona ed io mi rivolgo a tutti… ad alcuni i miei lavori piaceranno e ad altri no (come è normale che sia), in fondo mandiamo dei segnali che possono essere raccolti dalle persone a noi affini, bisogna che si instauri una risonanza. Io ovviamente ambirei ad un apprezzamento sia di pubblico che di critica ma so che è difficile, e di sicuro piacere a tutti non è possibile (non lo è per nessuno, neanche per i grandissimi). Quello che so è che le risonanze perseguono vie sconosciute e sorprendenti e che non si sa con chi si potrebbero stabilire”.
Qual è il suo colore preferito?
“Devo dire che trovo tutti i colori belli ed ognuno ha una sua efficacia espressiva (che ovviamente va dosata ed usata in base alla circostanza); ognuno è adatto ad un contesto e ad esternare/generare un’emozione o una sensazione. Direi che guardando le mie opere, i colori più usati sono i verdi e gli azzurri, anche per via dei soggetti che spesso rappresento. Io però amo particolarmente l’uso delle foglie metalliche nell’arte, quindi foglia oro e argento; trovo che questi colori siano molto interessanti, anche in virtù della luce che rimandano”.
Ilaria Caputo ha un sogno da realizzare?
“Sinceramente non saprei dire, i sogni cambiano mentre cambiamo noi. Diciamo che non mi lamento di ciò che ho adesso ed un po’ di progetti si sono realizzati. Forse, visti gli avvenimenti degli ultimi anni, mi auguro che in futuro non dobbiamo più ritrovarci a vivere situazioni -fino a poco tempo fa inimmaginabili- come quelle che ci hanno travolto recentemente”.
L’appuntamento per l’inaugurazione di martedì 19 è per le ore 18, quando sono previsti interventi dei professori Aurelio Rigoli e Aldo Gerbino. L’esposizione si concluderà il prossimo 29 aprile (resterà chiusa il sabato e la domenica e il 25 aprile) e il tutto si svolgerà in pieno rispetto delle norme anti Covid. L’ingresso è libero.