Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Imane Khelif.  Il corpo del potere

Il corpo è l’oggetto del dominio. La punizione, storicamente, è sempre sul corpo. Il corpo viene violato, torturato e rinchiuso per sottomettere e piegare la mente. Ecco da dove deriva l’ossessione del potere di dover normalizzare il corpo. Dal bisogno di “sorvegliare e punire”. Il caso Imane Khelif insegna

di Victor Matteucci

Imane Khelif  ha vinto. Ha conquistato la medaglia d’oro nel pugilato alle Olimpiadi 2024, battendo in finale la cinese Liu Yang. La pugile algerina è tuttavia diventata famosa più che per l’oro, perché al centro delle polemiche fin dall’inizio della sua competizione, in relazione al suo corpo che presenterebbe anomalie rispetto alle caratteristiche del sesso.

Tutto ha avuto inizio con il primo incontro della competizione olimpica che contrapponeva l’italiana Angela Carini a Imane Khelif. La Carini si era ritirata dopo 46 secondi dall’inizio del combattimento, rifiutandosi di dare la mano all’avversaria, dichiarando che aveva sentito troppo dolore per un pugno ricevuto e che tutto ciò non fosse giusto. Immediatamente dopo, l’IBA si era proposta di offrire un compenso di centomila euro all’atleta italiana e al suo staff; compenso che sembrerebbe essere stato rifiutato.

L’’IBA l’aveva esclusa dai mondiali di New Delhi del 2023, ma il CIO, il Comitato Internazionale Olimpico, aveva sospeso il riconoscimento della federazione. Nel 2023, il CIO ha formalmente revocato all’IBA il suo status, azione confermata dalla Corte Arbitrale dello Sport nel 2024. Dopo l’esclusione dell’IBA, il Comitato si è assunto la responsabilità del torneo olimpico. Ha certificato che Imane Khelif «rispetta l’idoneità e le regole di ammissione alla competizione, nonché tutte le norme mediche applicabili».

Le regole CIO prevedono che la soglia di testosterone in circolo sia inferiore alle 10 nmol/L nei 12 mesi precedenti al torneo e per la durata delle competizioni.

«Sono donne nel loro sport e abbiamo stabilito che si tratta di donne», ha detto il portavoce del Cio, Mark Adams, dopo che sono state effettuate le analisi sul livello del testosterone. «Si tratta di atlete che hanno boxato da sempre con le donne e che rispettano tutte le regole di ammissibilità previste da questi Giochi».

Il caso è simile a quelli di Caster Semenya, la sudafricana che correva gli 800 metri, e della velocista indiana Dutee Chand. È di ieri la notizia che Imane Khelif ha presentato una denuncia per cyberbullismo.

L’Idea delle donne normali

Alcuni esponenti di Governo (italiani e ungheresi) o candidati al Governo (Trump) si sono immediatamente catapultati nella querelle. Il primo intervento è stato del Presidente del Consiglio Italiano, Giorgia Meloni, che ha dichiarato: “A furia di non voler discriminare si discrimina, le donne con caratteristiche maschili non dovrebbero essere ammesse a competizioni femminili”.

Trump non si è fatto attendere: “La pugile italiana è stata sconfitta da un bravo pugile uomo”.

Andrea Abodi, ministro dello Sport, ha spiegato: «Trovo poco comprensibile che non ci sia un allineamento nei parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale, che includa quindi europei, mondiali e Olimpiadi. I

l ministro delle Infrastrutture e segretario leghista, Matteo Salvini, non poteva esimersi e ha twittato: «Pugile trans dell’Algeria – bandito dai mondiali di boxe – può partecipare alle Olimpiadi e affronterà la nostra Angela Carini.”

Infine, La Russa, sull’incontro tra Carini e l’atleta algerina intersex Khelif: “Tifo per la donna“. Dichiarazioni simili sono pervenute dal Premier ungherese Orban qualche giorno dopo in appendice alla sconfitta della pugile ungherese sempre per mano dell’algerina.

La risposta di Elly Schlein contro Salvini e Meloni è stata la seguente: “Passano come trattori sulle vite delle persone, hanno l’ossessione del controllo dei corpi”,  e ancora: “L’asse dei nazionalisti che hanno l’ossessione del controllo dei corpi, in particolare quello delle donne: Donald Trump, putiniani, Meloni e Salvini pronti ad attaccare direttamente un’atleta donna perché vogliono decidere loro che non può essere una donna”.  

Questa ossessione del corpo da parte della politica e dei maschi, in particolare per il corpo delle donne, non è tuttavia un caso. Il corpo è, da sempre e dovunque, l’intersezione di vari interessi e bisogni di natura politica, economica e culturale. In generale, l’ossessione del corpo nasconde il bisogno di controllarlo e di rinchiuderlo dentro una categoria assimilata per poterne disporre in modo convenzionale sottoponendolo alla cultura dominante. Il corpo è l’oggetto del potere per eccellenza, dunque il corpo che sfugge al controllo, alla norma, è un pericolo. Ma cosa si intende per normale? S’intende conforme ed è questa la promessa rassicurante della destra contro la prospettiva decadente della sinistra.

Il corpo: l’unica porta d’accesso per i poveri

Ma, prima di analizzare da cosa derivi questa ossessione per il corpo delle donne, è giusto fare una premessa che va al di là del genere. Il corpo è l’unica porta d’accesso per i poveri. Infatti, Imane Khelif, la pugile algerina, ha una storia di estrema povertà e ha sfidato anche la reticenza e i pregiudizi della sua famiglia perché aveva scelto uno sport “tipicamente maschile”. Suo padre, infatti, avrebbe preferito coltivasse la sua bravura nel calcio e non coi guantoni.

Ma Imane Khelif aveva dovuto abbandonare il calcio proprio perché era sottoposta a continui atti di bullismo. Tuttavia, era dotata di una grande tenacia che l’aveva aiutata a superare sacrifici personali ed enormi difficoltà.

Da quel che risulta, da ragazzina ha venduto rottami metallici da riciclare e aiutava sua madre a vendere il couscous per le strade del suo villaggio, così da procurarsi i soldi per salire in autobus e recarsi al centro per gli allenamenti. A 19 anni si è piazzata 17ª ai Campionati del Mondo di Nuova Delhi (2018), l’anno dopo (2019) è giunta 33ª ai Campionati del Mondo in Russia. Quelle in Giappone sono state le prime Olimpiadi della carriera. 

Ho iniziato senza niente e ora ho tutto”, ha rivendicato con orgoglio nel corso di una intervista, durante la quale si era rifiutata di parlare in francese, il Paese colonizzatore dell’Algeria, e aveva accettato di rispondere in arabo.

Per la cronaca, l’algerina, a Tokyo 2020, si era fermata ai quarti di finale perché eliminata dall’irlandese, Kellie Harrington, un’avversaria più brava e più forte di lei. Ma nessuno allora si era sognato di gridare allo scandalo, sostenendo che la lotta non fosse stata equa, né di avanzare sospetti sull’identità di genere dell’irlandese.

Il corpo del potere

Che i regimi autoritari e più conservatori abbiano sempre preteso di misurare il potere con il corpo delle donne, è storia nota. Inutile dilungarci anche sul corpo come oggetto dell’espiazione delle pene, sulla repressione, sulla violenza, sulla tortura di cui il corpo è da sempre stato fatto oggetto. La sintesi più chiara riguardo al corpo, nella duplice dimensione di potente/impotente, è quella che ne fa Carmelo Bene nel suo Riccardo III. Il riferimento è a quel “Corpo” tutto iscritto in una cultura maschilista che è potente quando usa le sue protesi (falliche, ndr) e che è impotente e flaccido quando ne fa a meno. Carmelo Bene rappresenta efficacemente la bramosia e il desiderio de corpo – potere che utilizza le donne come oggetto di piacere e del potere su cui misurare la propria volontà di potenza (cfr. Bene – Deleuze – Sovrapposizioni- 1978 Feltrinelli).

La schiava in vendita (José Jiménez Aranda)

Il corpo come preda

Una giovane schiava, completamente nuda, siede su un tappeto. Il cartello che porta al collo reca un’iscrizione greca (Rosa, 18 anni, in vendita a 800 monete) che la offre come merce in un mercato orientale. China castamente la testa per nascondere la sua vergogna. Dietro di lei sono visibili i piedi dei suoi possibili acquirenti che la circondano per osservare la sua nudità indifesa. Si tratta di uno dei dipinti più emblematici di Jiménez Aranda, nonché uno dei nudi femminili più interessanti della pittura spagnola del XIX secolo.

Il dipinto utilizza una tecnica fotografica come molti artisti di quell’epoca; inoltre, l’angolo di visione ripido verso il basso, che pone lo spettatore notevolmente più in alto rispetto alla giovane donna, suggerisce il punto di vista dell’anello di uomini che hanno circondato lascivamente la giovane umiliata.

Dipingendo solo i piedi, senza ampliare il campo visivo, si concentra sulla sensazione degradante e vergognosa prodotta dagli sguardi dei possibili acquirenti attorno alla schiava, conferendo così un grande effetto narrativo alla composizione. Non si vede l’opera, si vede l’abuso, la prevaricazione, la violenza, l’arroganza.

Le donne occidentali e le altre

Rita El Khayat, in una recente intervista rilascia a Le Monde ha affermato che: “Una bambina nata in Sudan verrà circoncisa, correrà un alto rischio di morte prima dei 2 anni, sarà malnutrita e costretta a sposarsi. Una bambina nata in Svezia non avrà la stessa sorte. Esiste una disparità tra le persone sia nel parto, nell’accoglienza alla nascita o nella prima educazione. La ragazza è solo un pezzo di carne in alcuni paesi (…).

Il giornalista le chiede: “Nel Maghreb a che età viene scartata una donna? È lo stesso che in Occidente? Mi riferisco al tuo ultimo saggio, La bellezza delle vecchie”.

Oltre i 45 anni, le donne non corrispondono più a ciò che gli uomini “cacciano”, flirtano e desiderano. Nel mondo del cinema, le attrici sono come bestiame pronto per essere consumato in età sempre più giovane. L’età in cui si rinuncia alla gravidanza arriva con la menopausa. Perché il sesso femminile è obbligato a smettere di partorire, mentre il maschio può riprodursi fino alla morte?

Questa disuguaglianza biologica è un’orribile ingiustizia. Sono sempre di più le donne marocchine che lottano per mantenersi giovani ricorrendo ad espedienti come la chirurgia estetica. Con la bocca gonfia diventano mummie. Kim Kardashian ferisce le donne con il suo lavoro al naso, il suo grosso sedere, i suoi impianti dentali e le sue sopracciglia come due bastoncini. La natura sarà sempre più bella dell’artificio. Esistono rischi come il cancro che riappare dopo un intervento di chirurgia estetica o il rischio di embolia quando il grasso della pancia viene impiantato nei glutei.

Perfino le donne diabetiche lo fanno, è sordido! Alcune donne fanno di tutto per mantenere il loro “capitale bellezza” e trovare un uomo ricco. Per me, Brigitte Macron è una rivoluzione antropologica e Brigitte Bardot ha fatto un dono magnifico mostrandosi con le sue rughe. Accettare i cambiamenti del proprio corpo significa anche lottare contro il patriarcato(Rita el Khayat, 26 JUIN 2024, Le Monde \ Pays Arabes Laurence Dionigi).

Postmodernità tecnologica e feticci primitivi

La comunicazione fortemente sessuata ha sancito definitivamente un clima da “Ancien Regime” e la fine di ogni illusione o speranza di un mondo migliore, di una civiltà delle relazioni, di una dignità degli individui emancipati dai loro istinti più retrivi, costringendo tutti a tornare ad una comunicazione tecnologicamente avanzata e culturalmente primitiva.

Anche la crescita esponenziale delle violenze sulle donne è sì, il frutto di una accresciuta sensibilità sociale che consente la denuncia e il sostegno alle vittime, ma è anche il sintomo di un malessere e di un degrado sociale prodotto da un immaginario collettivo che ostenta il corpo delle donne come feticcio, come merce di consumo, e che alimenta aggressività e istinti predatori da parte dei maschi e dei maschi riuniti in branco in particolare.

Sempre secondo Rita El Khayat, “La violenza contro le donne è tradizionale e rituale. (…) Secondo i dati ufficiali dell’Alto Commissariato per la Pianificazione, nel 2021 il costo totale della violenza fisica e/o sessuale contro le donne è stato stimato a 2,85 miliardi di dirham (circa 308 milioni di dollari) all’anno.

Il 62,8% delle donne tra i 18 ei 65 anni dichiara di aver già subito violenza fisica, psicologica, sessuale o economica; tra queste, il 55% dichiara di essere vittima di violenza domestica e il 13,5% familiare. La violenza colpisce tutte le categorie di donne, ma in particolare quelle tra i 15 ed i 24 anni. (…)

“Il Corpo delle donne” è anche il titolo di un documentario di 25′ sull’uso del corpo della donna in tv, realizzato da Lorella Zanardo. Siamo partiti da un’urgenza”, dice, parlando del documentario realizzato. “La constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante. La perdita ci è parsa enorme: la cancellazione dell’identità delle donne sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti, ma senza che vi sia un’adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime.

Da qui si è fatta strada l’idea di selezionare le immagini televisive che avessero in comune l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv, ma specialmente a chi la guarda ma “non vede”. L’obiettivo è interrogarci e interrogare sulle ragioni di questa cancellazione, un veropogrom” di cui siamo tutti spettatori silenziosi. Il lavoro ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno di passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione.

Lorella Zanardo

Lorella Zanardo (consulente organizzativa, formatrice e docente. Scrive e si occupa di tematiche inerenti il femminile. Fa parte del Comitato Direttivo di WIN, organizzazione internazionale di donne professioniste con sede ad Oslo (www.winconference.net ).

Mediterraneo. Il corpo come colpa

Forse non è un caso che la vicenda Imane si sia verificata nel Mediterraneo. Una esistenza primitiva è una esistenza arretrata. Il corpo in primo piano è, di solito, il segno di una civiltà sullo sfondo e di una umanità ai margini. La crisi, l’insicurezza, la paura del futuro, la mancanza di prospettive certe produce, peraltro, una chiusura culturale e logiche di difesa, di respingimento, di contrazione e, comunque, di non riconoscimento dell’altro. Tuttavia, nel Mediterraneo, oggi, la questione della crisi, del conflitto, si carica di ulteriori significati. Il Mediterraneo è, infatti, in questo momento, stretto, da un punto di vista spaziale, nella contraddizione tra materialismo consumista e fatalismo e revivalismo religioso, da un punto di vista temporale è stretto nella contraddizione tra economia materiale dei bisogni ed economia immateriale dei piaceri.

Ovviamente, tra Gerusalemme e Roma, pesa più che altrove il corpo del Nazareno che rappresenta la fase di transizione, la crisi, tra il dolore, la paura e il suo superamento, il passaggio, l’elevazione. Dal corpo del Nazareno in poi, dalla potenza assoluta di quella rappresentazione, il Mediterraneo e il Medio Oriente narrano una lunga storia segnata dal corpo. Corpi rimossi, nascosti, ostentati, corpi perduti e ritrovati, corpi puniti ed amputati, corpi lavati e curati, corpi tatuati e corpi rimossi, corpi osceni, corpi blasfemi, del martirio o del peccato…. del riscatto e della grazia. Il corpo, qui, più che altrove, è simbolo, icona di perdizione o di redenzione. Sul corpo è scritta la storia del Mediterraneo più che per qualsiasi altra Regione del mondo.

Occidente. Il corpo come merce

In Occidente al corpo affidiamo la nostra immediata rappresentazione e ciò è paradossale che accada in questa transizione tra il XX e il XXI secolo, mentre, al contrario, l’economia si smaterializza, si fa immateriale e, mentre la cultura e la conoscenza ne diventano elementi strutturali, se solo consideriamo l’accresciuto e ormai prevalente valore aggiunto (di scambio) contenuto nelle merci e lo paragoniamo alla perdita del loro valore d’uso.

Ma, infatti, se andiamo oltre l’apparenza fisica del nostro corpo, comprendiamo che ad esso viene sovrapposta una dimensione di irrealtà, un soppalco culturale. Il nostro corpo viene, adesso più che mai, vestito e svestito, costretto a modificarsi e ad innovarsi. Esso viene sottoposto a tensioni e a cadute: è dilatato, gonfiato o contratto è asciugato, contraffatto, occultato, alterato, manipolato. In questo modo, il corpo acquisisce sempre più una funzione culturale e il potere di riempire e/o di occultare un vuoto, una carenza o di recepire o proiettare, di replicare, immagini, modelli, tendenze dominanti.

Foto di Brunella Patricelli

Mediterraneo, riva nord. Il corpo esibito  

Corpi da esibire, da desiderare, corpi da vestire, da modificare, corpi per imprese sportive. Il corpo di coloro che nell’isola dei “saranno famosi”. La cultura del corpo ovviamente ha sviluppato un indotto di interessi e servizi che vanno dalla cura allo sfruttamento televisivo, dall’alimentazione alla salute, dalla chirurgia plastica ai centri benessere.

Quest’ amplificazione della cultura fisica e del corpo in Italia, in particolare nell’ultimo decennio, ha contribuito a produrre e sviluppare una cultura dell’effimero, dell’evasione e del disimpegno sociale così potente da restaurare non soltanto una concezione dello stereotipo donna – oggetto di piacere e strumento di promozione alle vendite sul mercato di ogni possibile prodotto e servizio.

Impoverimento culturale materiale e immateriale, un processo che riguarda principalmente le donne e che, da un punto di vista di classe sociale, è trasversale e riguarda sia il proletariato che la borghesia.

Il Corpo dei poveri. Il fortino assediato

Quando è precluso l’accesso all’emancipazione sociale per via intellettuale e della conoscenza, quando è ristretta la possibilità di accesso all’alta formazione, le aspettative di massa per il proprio riconoscimento vengono dirottate sul piano della fisicità. Il capitale diventa la bellezza.  Ecco la condizione sociale di massa che vanno assumendo i popoli nel Mediterraneo sulla falsariga di una deriva sociale sudamericana. Anche qui, come in sud America, l’arretramento socioculturale non ci lascia scampo e ci arretra fino all’ultimo fortino: i nostri corpi. Il desiderio è la misura di una democrazia e di una civiltà. Quando il desiderio viene circoscritto e ricondotto alla propria fisicità, ad una animalità, il margine di emancipazione sociale e democratica evidentemente è ridotto a niente. Dunque, l’unica via d’accesso all’esistenza nel Mediterraneo e in generale nel sud del mondo è il corpo.

Il corpo sulla riva sud del Mediterraneo, tra corpi occultati e alla deriva

Invece Mohammad Ali Faeth ha 17 anni, è solo uno dei passeggeri dei barconi della speranza che dalle coste del nord Africa sono approdati in Italia. Lui è riuscito a sopravvivere, ma molti altri suoi compagni di viaggio sono morti; 170 secondo alcuni sarebbero i morti conseguenza del respingimento italiano e maltese. Il Mediterraneo. Questo mare ha inghiottito più corpi di qualsiasi altro mare. Immigrati, soldati, marinai, navigatori. È vero che a riva non affiorano corpi o parte di corpi scampati al mare, che non ci sono zattere con residui umani a bordo alla deriva. Ma degli innumerevoli corpi inghiottiti dal Mediterraneo abbiamo la certezza e tuttavia non c’è colpa o responsabilità o coscienza ….. se non c’è il corpo del reato o se il corpo viene inghiottito dal mare.

Tuttavia, questa assenza del corpo del reato, l’impossibilità di recuperare l’oggetto, contribuisce a creare una condizione di insicurezza nel soggetto, produce un clima di diffidenza; questa assenza è inquietante e mina le relazioni umane, carica l’altro del sospetto, della paura, del dubbio. Da Napoli a Tunisi, da Beirut a Palermo, da Algeri a ………….il corpo sociale è malato, le relazioni orizzontali sono recise, il sospetto, la diffidenza, l’inimicizia prevalgono e contaminano l’aria, la prospettiva. Minano il futuro. La paura prevale sulla speranza. Una sorta di anti-società primitiva e senza scrupoli, famelica e disincantata si aggira sulle rive del Mediterraneo.

Una umanità storpia che, di tanto in tanto, alza lo sguardo verso l’orizzonte del mare e, subito dopo, torna a guardare a terra, a frugare rabbiosamente tra la sabbia. Braudel ci ha insegnato a ricostruire la storia del Mediterraneo dalla sua civiltà materiale, dai bisogni, dal lavoro, dalla produzione e, dunque, siamo in grado di una lettura storica del Mediterraneo e dei suoi popoli, recuperata anche attraverso una storia di corpi perduti, ritrovati, puntiti, seviziati, curati, negati o esaltati. Poiché la storia del Mediterraneo è essenzialmente una storia dell’umanità sancita da una cultura del corpo.

Foto Samuel Aranda

Il Corpo malato

In mezzo, tra due estremi, tra la sovraesposizione e la smaterializzazione, la realtà rimossa, i corpi indegni, malati, volgari, flaccidi, grassi, vecchi, incapaci e inadeguati, anzi, ostacolo socioculturale, ingombro scenico. La vita di Artaud è, in questo senso, una parabola perfetta a spiegare il rapporto tra corpo e storia culturale dell’Occidente. La separazione tutta occidentale, tra res cogitans e res extensa, riproduce una sequenza di fratture nel corpo e nella mente. Ma anche il cantante Michael Jackson aveva espresso con il suo corpo una condizione umana in cui mascheramento, alterazione, espressione di una identità controversa hanno reso il corpo il luogo in cui l’esercizio del dominio ha lasciato segni indelebili …“Organismo da sanare, forza lavoro da impiegare, carne da redimere, inconscio da liberare.

Nel corpo, nella repressione della sua naturale ambivalenza” (Il corpo, Umberto Galimberti, Feltrinelli), corpi decomposti, violati, strumento di martirio. Così come obesità, denutrizione, disfacimento segnalano il disagio e lo stato di bisogno. Da questa prospettiva recuperiamo una soluzione alla frattura occidentale e cartesiana, tra res cogitans e res extensa, che è anche la frattura tra nord e sud del mondo. Il corpo è un elemento reale e, al tempo stesso, simbolico, percepito come fattore culturale; si tratta di un elemento di contraddizione e di conflitto permanente tra due mondi. C’è un nord, che è sottratto alla fisicità del lavoro e dell’esistenza e che, per consumare grassi e zuccheri, ricorre alle palestre e al footing, e c’è un Sud sottratto della cultura e dalla consapevolezza, drammaticamente separato da sé stesso.

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