Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

In ricordo di Mauro Rostagno

di Redazione

Come ogni anno il 21 marzo l’Associazione Libera ricorda Mauro Rostagno e noi, anticipando tale data, riteniamo  importante offrire, alla luce delle recenti novità processuali, un ricordo dell’uomo da chi ha avuto il privilegio di conoscerlo

 

di Daniela Mainenti 

Era un mattino d’estate, di quelle estati calde, umide, assolate e neanche tanto asciugate dal vento di scirocco, molto frequente nel trapanese.

Da bambina trascorrevo le prime  vacanze estive a Napola, una piccola frazione a pochi chilometri da Trapani, in casa dei nonni e così continuai pure durante gli anni di Liceo. L’estate era fatta di libertà, mare, campagna e lettura. Proprio in quegli anni, avevo letto un libro, determinante per la mia crescita intellettuale: “Fuori dai denti” di Renato Curcio e Mauro Rostagno. Quel  libro racchiudeva i principi ispiratori dei movimenti che i due autori successivamente promossero, ognuno, poi, a modo proprio. Di tutti i concetti che conteneva, mi è rimasta impressa la citazione di uno slogan, trascritto sui muri della facoltà di sociologia di Trento, che diceva:” Non serve cercare un posto in questa società, ma creare una società dove valga la pena di trovare un posto”.

Questo imperativo categorico lo trovavo , già a quell’età fulminante, e in effetti mi fulminò al punto da determinare in me la costante aspirazione, tutta la vita, a creare, o, tentare di contribuire a creare, una società dove valesse la pena cercare un posto. Ancora oggi essa è la principale esortazione che consegno ai miei figli ormai adulti. Quel libro fu per me, letto a quattordici anni, il primus movens della mia formazione politica. Ma torniamo alle vacanze. Avevo 17 anni, e stavo riparandomi dalla calura,  quando qualcuno bussò alla porta. Aprii e lui, Mauro, era davanti a me. Il mio maestro di idee era lì davanti! Lui, assieme a un suo compagno, chiedevano dei contributi per la comunità, la Saman. Io non riuscivo a parlare per l’emozione. A quel punto, mia nonna  lo invitò ad entrare, e a sedersi. Un caffè e subito, magicamente, scattò la strana alchimia. Mia nonna era una repubblicana convinta. Di quelle che avevano votato repubblica al referendum costituzionale, tra le  prime donne  in Italia che  avevano avuto il diritto di votare. Di quelle donne che avevano perduto il proprio uomo sotto i bombardamenti e, quindi, rimasta sola a 25 anni con due bambini da crescere. Mia nonna era pure americana  e per questo era profondamente repubblicana.

Iniziò a parlare, mia nonna, spiegando le ragioni del suo essere repubblicana, le ragioni  dei valori fondanti di una repubblica. Che  la Repubblica è la Patria ovvero il senso di una nazione, di un popolo . Lui, Mauro Rostagno, la guardava incantato.

Anche io osservavo la scena. Mauro Rostagno, il mio mito culturale, il mio maestro politico, rapito dalla sincera filosofia e dalla profonda etica politica di mia nonna.

Quando se ne andò, le baciò la mano.  

 

A tre anni esatti dall’avvio del processo per il delitto di Mauro Rostagno e a 25 anni dall’omicidio, il dibattimento davanti alla Corte di Assise di Trapani registra una svolta. Contro il presunto assassino, Vito Mazzara, arriva ora l’esito di una perizia. Potrebbe essere suo infatti il Dna trovato su un pezzo del fucile calibro 12 usato per uccidere Rostagno. I periti hanno esaminato una parte del fucile a pompa, ritrovato sul luogo del delitto, a Lenzi, nelle campagne di Valderice. L’arma si spezzò durante l’esplosione del colpo. E su quest’arma si sono concentrate le attività balistiche per cui i bossoli del delitto Rostagno risultavano compatibili con quelli di altri omicidi attribuiti con sentenze di condanna a Mazzara.

Altro imputato nel processo è il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga, anche lui già ergastolano come Mazzara. Secondo i collaboratori di giustizia, Virga organizzò quel delitto su ordine del patriarca della mafia belicina don Ciccio Messina Denaro. Rostagno, giornalista in una tv privata, Rtc, con i suoi interventi “era diventato una camurria”. Come ha raccontato ai giudici la figlia Maddalena, “stava facendo il terapeuta di una città” che aveva scelto (e mantiene) la connivenza con i poteri forti, mafiosi quanto politici. Rostagno fu ucciso il 26 settembre del 1988. Per l’accusa, fu Mazzara a sparare, già killer di altri delitti. Il delitto sarebbe rimasto senza processo se non fosse stato per l’ex capo della Mobile Linares e un poliziotto vecchio stampo, Nanai Ferlito, i quali fecero scoprire che, nonostante anni di indagine (“malfatte” è stato sentito dire più volte in aula), non erano mai stati fatti i confronti balistici. La perizia confermerebbe, dunque, che quello di Rostagno è stato un delitto di mafia, nonostante per anni questa verità sia stata negata.

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