Il greggio del petrolchimico di Gela, per la cattiva gestione dell’Eni, l’incuria politica, e la mancanza di investimenti per la manutenzione e una corretta gestione, sta inesorabilmente distruggendo e contaminando l’intero ecosistema circostante
di Patrizia Romano
Il greggio sospinto dal vento, raggiunge, inesorabilmente, le spiagge, invadendo e contaminando l’intero ecosistema circostante e arrecando, con il suo liquido nero sino alle viscere, danni irreversibili pure sulla popolazione. Lo spietato e inflessibile killer è il greggio del petrolchimico di Gela che, in soli sei mesi, a causa di due gravi incidenti, ha arrecato danni irreversibili.
I disastri e le loro dinamiche
Incidenti che si ripetono con una frequenza sempre maggiore. Lo scorso giugno, una prima catastrofe ambientale ha colpito l’intera area, passando, anche il quel caso, sotto l’indifferenza di tutti coloro che ne hanno responsabilità. Per circa un’ora, l’olio nero fuoriuscito dal petrolchimico ha coperto il fiume omonimo della città per alcune centinaia di metri, arrivando fino alla foce del mare. Una fuoriuscita di petrolio che ha riversato in acqua non meno di una tonnellata di greggio emulsionato. La fuoriuscita è partita dall’impianto Topping 1 della raffineria gelese, l’impianto utilizzato per le primissime fasi della raffinazione dell’oro nero. Al momento dell’accaduto, l’impianto era tornato in funzione da una settimana appena, dopo che era stato bloccato per undici mesi. Un periodo abbastanza lungo da logorare i sistemi di sicurezza dello stesso impianto. Sappiamo che il liquido si è allargato sino alla foce del mare, ma l‘esatta estensione della contaminazione ambientale rimane ancora un’incognita.
Il secondo incidente, invece, risale a pochi giorni fa e ha provocato la fuoriuscita di circa 400 litri di petrolio greggio che dal petrolchimico gelese si è riversato, anche in questo caso, in mare, raggiungendo il tratto antistante al porto di Gela, fino a spingersi, a poco a poco, sull’area circostante il fiume Dirillo nei pressi di Marina di Acate. In quest’ultimo caso, le cause della fuoriuscita sono stata attribuite a un piccolo foro apertosi sulla condotta lungo il pontile che collega la raffineria Eni alle navi petroliere. E, sempre in quel caso lì, tutto ciò che è stato fatto per rimediare ai danni è stato quello di tentare di bonificare la zona colpita. Operazione effettuata, con una semplice ruspa, dagli stessi operai dell’Eni e dalla Capitaneria di Porto.
Un territorio martoriato
La situazione è diventata ormai insostenibile: sistematicamente il mare e le coste circostanti vengono martoriate dalle conseguenze degli incidenti che si verificano, sempre più frequentemente.
Ciò che lascia ancora più sconcertati, è che l’intera area circostante sia stata dichiarata a rischio ambientale, dal Ministero dell’Ambiente e dalla Regione Sicilia, da ben 23 anni.
Nient’altro che un atto formale che, nella realtà, ha lasciato nell’indifferenza le istituzioni locali e regionali, anche se ha spinto alla programmazione di un piano di risanamento per il quale sono stati stanziati, sino ad oggi, quasi 30 milioni di euro. Una cifra non indifferente con la quale, però, non è stato fatto niente. In poche parole, soldi presi e buttati a mare come lo stesso greggio del Petrolchimico.
Gli attivisti del luogo, e qualche movimento alternativo, come il Movimento 5stelle hanno denunciato migliaia di volte alle autorità competenti questo perenne disastro ambientale, diventato, ormai, per l’area gelese, una costante.
Eppure, ci sono tutti i presupposti per chiedere, ai sensi dell’articolo 452-quater del codice penale, un risarcimento all’Eni per danni ambientali e grave pericolo per la salute pubblica.
Le legittime richieste avanzate dalla popolazione, l’allarme lanciato dagli attivisti locali, la zona particolarmente colpita, la lenta e inesorabile mortalità dell’ambiente, per la classe politica si disperdono nel nulla. “Neppure i media – sostiene Aurora Guccione, consigliere del Movimento 5 Stelle del Comune di Acate – mostrano il benché minimo interesse e, come le istituzioni politiche, continuano a lasciar passare il delicato caso nell’indifferenza. Non si capisce bene – continua – cosa si aspetti, ancora, dagli effetti futuri. Tutto viene insabbiato nel silenzio”. Un silenzio che, nel frattempo, porta con sé distruzione, morte e tanta desolazione.
Due disastri che hanno compromesso ulteriormente le condizioni ambientali della zona.
Cause del disastro
L’impianto è stato posto sotto sequestro per esigenze probatorie e di cautela, aprendo un’inchiesta per disastro colposo e danneggiamento aggravato. Nel corso delle indagini, gli inquirenti hanno accertato il mancato funzionamento della valvola di sicurezza, quella, cioè, che dovrebbe impedire la fuoriuscita del greggio dall’impianto. Inoltre, sempre gli stessi inquirenti, hanno registrato forti carenze nella gestione e nella manutenzione dell’impianto, soprattutto sotto il profilo della sicurezza.
E’ facile dedurre che gli impianti necessitano, già da parecchi anni, un serio investimento mirato e diretto alla manutenzione straordinaria. Investimenti che si aggirerebbero tra i 5 e 7 miliardi di Euro e che i vertici dell’Eni avevano assicurato già da un bel pezzo, senza mai effettuarli. In 10 lunghi anni, sono stati investiti, invece soltanto 300 milioni di euro, destinati soltanto a operazioni di bonifica riparatorie, dopo danni irreversibili.
Gela è stata martoriata: i suoi boschi distrutti, il mare inquinato, l’aria resa irrespirabile, il tessuto sociale disarticolato, la popolazione si è ammalata. E tutto questo… per decenni.
Aspetto sanitario
La situazione diventa ancora più grave se poniamo l’attenzione sull’aspetto squisitamente sanitario. Nell’area sulla quale ricade l’impianto, cioè l’intero territorio gelese, sono molto diffuse le malformazioni genetiche. La percentuale a Gela di neonati venuti alla luce con malformazioni genetiche sembra essere sei volte superiore rispetto al resto della Penisola. Molto diffusa è per esempio l’ipospadia, una malformazione congenita dell’apparato genitale, che solo ad Augusta colpisce il 132 per mille dei bambini nati. Molti sono anche i bambini microcefali. Si calcola che soltanto nel 2002 sono stati 512 i bambini nati malformi.
In un primo momento, gli igienisti pensavano che, con le operazioni di bonifica, il numero di malformazioni neo-natali si riducesse. Il numero, invece, è rimasto tale e quale. Così, come sono rimaste identiche le aspettative per l’imminente futuro. Il petrolchimico di Gela è responsabile di numerosi danni pure al resto della popolazione, che si ammala sempre più di tumore e di altre gravi patologie. Anche la percentuale di patologie oncologiche a Gela è più elevata rispetto al resto d’Italia. E per il prossimo futuro, cosa bisognerà aspettarsi? Questo non è dato saperlo. La situazione, infatti, contiene in sé tanti punti oscuri.
Fra le sostanze imputate ci sono anche gli idrocarburi, le diossine, il mercurio e l’arsenico.
Anni fa, è stata eseguita una serie di analisi sulla popolazione gelese, e su molti cittadini sono state riscontrate varie tipologie di veleni: rame, piombo, cadmio, mercurio e arsenico. In particolare, il livello di quest’ultimo nelle urine è superiore del 1.600 per cento rispetto a quello limite. Il rischio avvelenamento è quindi concreto per più di 20 mila persone.
E’ stato stimato che ogni anno sarebbero circa 50 le morti premature a causa della contaminazione ambientale, 281 i ricoveri per tumore e 2.700 quelli dovuti ad altre malattie sempre collegate all’inquinamento ambientale, come asma, bronchite cronica e patologie cardiovascolari
Insomma, l’inquinamento dell’Eni a Gela sta mettendo a dura prova l’intera popolazione, grandi e piccoli, le cui condizioni di salute sono sempre più cagionevoli.
Aspetto giudiziario
In seguito a un’indagine condotta dalla Capitaneria di Porto su un passaggio sottomarino realizzato dall’Eni per trasferire il greggio fino ai serbatoi dello stabilimento, la Procura gelese ha chiesto, nel dicembre 2010, il rinvio a giudizio di alcuni dirigenti della raffineria, nonché di tre funzionari delle ditte coinvolte nei lavori. Capo d’accusa? False attestazioni per ottenere il collaudo e il rilascio delle relative autorizzazioni, nonché occupazione abusiva del suolo demaniale marittimo.
La conduttura, lunga 3,4 chilometri, avrebbe dovuto essere interrata sotto il fondo marino per uno o due metri. I controlli, invece, hanno messo in evidenza che la linea di conduttura non ha minimamente rispettato i parametri previsti dal progetto. Tutto, quindi, è stato realizzato come se tali parametri fossero stati osservati.
Attualmente, ci sono ben 17 persone iscritte sul registro degli indagati: 10 direttori di stabilimento e 7 tecnici della sicurezza interna. Tutti considerati responsabili di omicidio colposo e di lesioni personali gravi. Il Comune di Gela e la Regione Sicilia si sono costituiti parte civile.
Storia del petrolchimico gelese
Lo stabilimento è nato nel secondo dopoguerra, alla fine degli anni 50’, per volontà di Enrico Mattei, in un momento di particolare fervore economico e ha rappresentato, ai suoi esordi e per tanti anni ancora, un punto di riferimento molto importante sul piano occupazionale per tutto il territorio. Così è stato, perlomeno, al momento della sua nascita. La raffineria ha, certamente aiutato l’economia locale e in parte l’urbanistica con la costruzione del villaggio di Macchitella. Purtroppo, però, ha prodotto deturpazioni e danni molto seri all’ambiente, precludendo lo sviluppo di altri settori dell’economia, soprattutto quello turistico.
Ma cosa spinse il fondatore dell’Eni a realizzare il petrolchimico gelese? Enrico Mattei pensava di creare un grande polo industriale fra Gela, Augusta e Siracusa allo scopo di sfruttare il petrolio greggio che era stato trovato nel ragusano e il gas naturale trovato, invece, nel territorio di Gagliano Castelferrato. Alla luce di questi eccezionali ritrovamenti, vennero costruiti grandi impianti di raffinazione nel polo petrolchimico siracusano, nonché un grande impianto petrolchimico lungo la costa di Gela.
Così, il polo siracusano produceva benzina, gasolio e olio combustibile, mentre il polo gelese produceva concimi chimici e polimeri per la produzione delle materie plastiche.
Tutto procedeva bene e secondo i programmi del ricercatore, considerato un avanguardista rispetto ai tempi. Tutto procedeva bene, però, fino al giorno in cui Mattei perdeva la vita in un incidente aereo che, di incidente, però, ha sempre avuto ben poco. In realtà, la tragedia fu provocata dallo scoppio in fase di atterraggio del suo aereo partito da Catania. Questo evento, ancora avvolto nel mistero, ma considerato un attentato mai chiarito, poneva fine a tutti i suoi progetti.
L’impianto del Petrolchimico
Il Petrolchimico di Gela è uno degli impianti più grandi e importanti d’Europa. Dal 2003, è rappresentata dalla Raffineria di Gela Spa, dopo essere stata parte di AgipPetroli. Dipende, comunque, da Eni, Divisione Refining&Marketing. Fino ad alcuni anni fa, occupava, tra dipendenti diretti e indotto, circa 1.800 unità lavorative.
La raffineria riceve ogni anno oltre 5 milioni di tonnellate di materia prima che viene, poi, trasformata in prodotti finiti da vendere sul mercato. Vengono, inoltre, prodotti 1530 MWh di energia elettrica derivanti dalla combustione dei prodotti residui dalla raffinazione. Lavora prevalentemente grezzi provenienti dai 7 pozzi EniMed situati a Gela, da Ragusa, dalla piattaforma Vega, dall’Egitto, dall’Iran, dalla Libia, dalla Russia e dalla Siria.
Le persone che lavorano alle dipendenze della Polimeri Europa sono circa 300, alle quali si aggiungono circa 3400 operai delle ditte esterne. La raffineria, inoltre, ha una capacità di raffinazione di 100 mila barili al giorno.
Situata a meridione della costa siciliana,produce prevalentemente combustibili per autotrazione e cariche petrolchimiche.
Le altre aziende che lavorano (o hanno lavorato) nel Petrolchimico sono Syndial, Air Liquide Italia Produzione, Ecorigen, Enichem Agricoltura, ISAF.
L’impianto di Clorosoda
Un caso a sé è rappresentato dall’impianto di Clorosoda, considerato l’impianto Killer. All`interno dello stabilimento petrolchimico di Gela c`è il sospetto che l`area Clorosoda sia la causa della morte di una quindicina di operai. Attivo dal ‘72 al ‘94, ha provocato, senza pietà, malattie oncologiche e alta mortalità a tutti quelli che ci lavoravano. All`interno del reparto, infatti, vi era un`elevata presenza bene esposta di sostanze chimiche. In primo luogo, il mercurio, che si teneva nelle celle in cui avveniva la scissione elettrolitica. Questa sostanza, per anni, è stata toccata con le mani ed esalata dagli operai, senza alcuna precauzione. L’altra sostanza altamente nociva è sempre stata rappresentata dal cloroetano, che è una delle sostanze che compone l`altamente cancerogeno cloruro di vinile. L’elenco continua con una serie di acidi molto potenti, come l`acido cloridrico e l`idrogeno solforato. Ciliegina sulla torta, il micidiale amianto, utilizzato un po` ovunque nell`edilizia italiana e fuorilegge dal ‘92.