Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Ipab siciliane nel baratro

Nate in nome della pietas e caritas generis humani, le Ipab siciliane, sono diventate oggi uno degli esempi più eclatanti di scelleratezza del genere umano...

di Patrizia Romano

Nate in nome della pietas e la caritas generis humani, le Ipab, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza sono diventate oggi uno degli esempi più eclatanti di scelleratezza del genere umano. Viaggio nel torbido mondo delle Ipab siciliane, ormai nel baratro

 

di Patrizia Romano

La pietas e la caritas generis humani hanno generato, nel corso degli anni, le ‘Opere Pie’, nate in Italia nel Medioevo, e precursori delle più attuali Onlus. I principi che le hanno poste in essere sono sempre stati il soccorso e il sollievo alle persone bisognose.
Nel tempo anche lo Stato ha riconosciuto i diritti degli indigenti e degli emarginati, utilizzando l’opera svolta proprio dalle Opere Pie. Nel corso degli anni, queste strutture sono, così, diventate Istituti Pubblici di Assistenza e Beneficenza, ossia Ipab, quasi una legittima emanazione dello Stato dal quale le Ipab devono seguire le principali direttive. In seguito, a poco a poco, subentrano la burocratizzazione e la lottizzazione politica delle Opere Pie, diventate Ipab, svuotandole dai principi e dai valori che le avevano generate.ipab-
Terreni svenduti. Magazzini pieni di attrezzature ginniche nuove di zecca lasciate a marcire. Un enorme patrimonio immobiliare, valutabile in oltre decine di milioni di euro, inutilizzato. Speculazioni. Personale non remunerato da anni. E, poi, utenti bisognosi lasciati privi di assistenza. Contenziosi aperti e mai chiusi.

La mappa delle Ipab siciliane

Numerosi gli esempi di scelleratezze commesse in nome della pietas e della caritas generis humani. Tra i casi ribaltati prepotentemente sui media, l’Ipab Principe di Palagonia e Conte di Ventimiglia. Una struttura che non riesce da tempo a pagare gli stipendi ai dipendenti, nonostante un patrimonio immobiliare enorme. Ciò testimonia anni di cattiva gestione che, lentamente e inesorabilmente, hanno condotto l’ente verso il crac finanziario. L’Ipab è arrivata con l’acqua alla gola. Per mesi e mesi non è riuscita neppure a pagare gli stipendi ai propri dipendenti.

Il caso di Fondo Raffo, i cui terreni nel 2009 sono stati ceduti in permuta dall’Ente all’immobiliare Ma.Lu, di cui è legale rappresentante Zamparini, è uno dei più torbidi nell’ambito delle Ipab. La cessione era stata fatta per 7 milioni di euro contro i 28 stimati dalla perizia dell’Agenzia del Territorio di Palermo. Sintomo di una cattiva gestione, che non ha valorizzato l’enorme patrimonio immobiliare. I terreni sono stati permutati, seguendo parametri antecedenti al 2007, poiché in quell’anno è stata apportata una variante al Piano regolatore che ha trasformato quelle aree che avevano in parte vincolo di inedificabilità assoluta, destinandone una parte ad attività commerciale, quindi modificandone in modo radicale il valore economico. Questi fatti sono stati rilevati anche dall’Agenzia delle Entrate che, dopo aver richiesto un’apposita relazione di stima all’Agenzia del Territorio, ha richiesto all’Ipab una maggiore imposta di registro per 1.800.000 euro.
Il materiale era stato acquistato grazie a un progetto regionale del 2010 che prevedeva un intervento finanziario straordinario mirato prioritariamente al potenziamento dei servizi offerti e del loro livello qualitativo a beneficio delle fasce più deboli dagli stessi enti assistiti. Gran parte del progetto non andò in porto, utilizzazione delle attrezzature comprese.
La vicenda ha avuto sviluppi che hanno portato l’ente a intraprendere una azione legale contro la Ma.Lu. Spa.

Lo scorso 7 Ottobre è stato dato mandato all’avvocato Todaro di dar luogo ad un’azione legale nei confronti della Ma.Lu., visti i notevoli danni subiti dall’ente, ma il responsabile del settore dell’ente, con una nota rivolta al commissario dell’Ipab Foresta, lo ha invitato ad intraprendere medesima azione legale di risarcimento nei confronti degli amministratori pro-tempore dell’Ente, anticipando che, in caso contrario, lei stessa avrebbe provveduto  ad informare dell’accaduto sia la Procura sia la Corte dei Conti.
Un patrimonio immobiliare enorme, quantificabile in decine di milioni di euro, ma casse quasi vuote e dipendenti senza stipendio per lunghi mesi: questa la situazione delle Ipab siciliane. E questo nonostante una dotazione immobiliare di tutto rispetto, che dovrebbe garantirgli una certa solidità economica. Dovrebbe, perché, di fatto, parecchi immobili sono sfitti e alcune proprietà non sono state monetizzate a dovere.
Cosa dire su Palazzo Grassellini, di proprietà dello stesso ente, occupato senza nessun evidente segno di effrazione e dal quale, a quanto pare, è stato asportato parte di un pavimento di grande valore.
Mancata produzione dei documenti necessari, ricorsi redatti senza il supporto probatorio, mancato deposito del fascicolo di parte del monitorio. Questi gli elementi dei contenziosi persi dall’ente col Comune di Palermo per circa 2 milioni di euro.

I casi citati sono solo alcune delle numerose storie torbide che riguardano le Ipab siciliane.assistenza-familiare

Situazione altrettanto incresciosa è rappresentata dall’Ipab Regina Elena di Castellammare del Golfo: una struttura fatiscente e abbandonata. Di fronte all’emergenza immigrati, l’Ipab Regina Elena si trasforma in centro di accoglienza straordinaria per migranti, attraverso la costituzione di un’associazione temporanea tra la stessa Ipab e la cooperativa Letizia, riconducibile all’alcamese Norino Fratello, ex deputato regionale noto alle cronache giudiziarie per avere patteggiato una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Il commissario dell’Ipab, all’epoca della costituzione dell’associazione, è Francesca De Luca, candidata sindaco ad Alcamo per le amministrative del 2012.
Le condizioni in cui gli ospiti, una settantina circa, hanno vissuto è tra le più drammatiche. La struttura ha sempre versato in un totale stato di abbandono e le condizioni igienico sanitarie sono sempre state pessime. Inoltre, gli utenti sono lasciati alla sbando e privi dei necessari servizi di assistenza e di aree dedicate alle sole donne e ai bambini.
La cooperativa ‘Letizia’ che ha il compito di gestire la struttura, è allo sbando più degli ospiti e non più in grado di provvedere a quanto stipulato. Diversi dipendenti risultano assenti, con conseguenti ripercussioni sulla gestione complessiva. Tra l’altro, l’Ipab ha vissuto contemporaneamente una situazione paradossale con le dipendenti storiche dell’istituto, che sono state impiegate nelle cucine, svolgendo il proprio lavoro senza percepire stipendio per anni.

Altra situazione drammatica, soprattutto sotto il profilo economico finanziario, è rappresentata dall’Ipab Oasi Cristo Re di Acireale. Purtroppo la fusione con le Ipab Santonoceto e Pennisi Alessi non risolverebbe il corto circuito venutosi a creare all’Oasi Cristo Re, causato dall’abbattimento della retta dell’ASP e dal taglio delle risorse della Regione.
Il Sindaco si dice rammaricato della difficile situazione dell’Ipab Cristo Re e delle difficoltà dei dipendenti, ma non si è mai mosso per rivedere al rialzo le rette, 42 €, che il Comune paga per i servizi che l’Oasi Cristo Re svolge, che sono oggettivamente insufficienti a coprire le spese che gli standard della Regione impone. Quanti utenti sono indirizzati dal Comune presso le strutture pubbliche, come l’Oasi Cristo Re, e quante invece vengono indirizzati in strutture private?
Situazione di incertezza sul futuro gestionale dell’istituto socio assistenziale Burgio – Corsello di Canicattì, da quasi due anni sotto la guida di vari commissari straordinari nominati dalla Regione. Si continua imperterriti a prorogare gli incarichi a commissari straordinari.

L’Ipab Casa di Ospitalità S. T. B. G. di Campobello di Licata dimostra come la responsabilità del dissesto economico delle Ipab e della loro lentezza nel trasformarsi in Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona Asp sia addebitabile alla classe politica. Ad essa viene suggerito che la nomina dei membri dei consigli di amministrazione delle Ipab avvenga in modo trasparente, attraverso una graduatoria pubblica, stilata in base alle competenze e alla professionalità.

Situazione organica delle Ipab
Scandalosa pure la gestione del personale. La tendenza è sempre stata quella di favorire il parente o l’amico a danno di tutte le altre unità lavorative. Pensiamo, per esempio al caso di una dipendente, ora in pensione, che avrebbe ricoperto il ruolo vacante di economo a seguito di un concorso interno indetto senza ricorrere a concorso pubblico. Tutto ciò senza alcuna riserva per il personale interno e con il requisito della laurea, che alla dipendente in questione mancava. Chi paga le conseguenze di questa situazione, oltre all’utenza, è il personale. E’ giusto che le responsabilità vengano addossate a chi, in maniera criminale, attraverso abusi di ufficio e omissioni, continua a commettere delitti contro la pubblica Amministrazione di tipo erariale, patrimoniale, eccetera, costringendo i dipendenti a lavorare senza retribuzione. Non c’è dubbio che si tratta di un complotto finalizzato a mettere le mani sul patrimonio e fare gestire i servizi ai privati.
Troppo facile scaricare la responsabilità sui dipendenti, che magari resistono all’idea di trasferimenti o mobilità.

Aspetto economico-finanziario
E’ vergognoso rilevare quanti soldi siano stati spesi per le Ipab dalla Regione nell’ultimo anno e come sono stati spesi. Proviamo a dare i numeri. La Regione per l’anno 2014 ha speso 4 milioni 245 mila Euro, di cui 1.000.000.00 annuo, circa, ritornano nelle tasche dei commissari straordinari, nominati dall’assessore. Sino a oggi, sono stati nominati circa 50 commissari. In poche parole, il 25 per cento, circa, ritorna alla Regione. Se si esamina l’incremento complessivo del disavanzo di amministrazione delle 140 Ipab, circa 35 milioni di Euro, tra il 2012 e il 2013, esso è aumentato di circa 2 milioni di Euro. Ciò determina che l’incremento del disavanzo (in tempo di crisi) è prodotto per il 50 per cento da 150 Enti che assistono 2 mila utenti, tra i quali molti non autosufficienti e dal 50 per cento dalla Regione per consentire il pagamento dei compensi ai commissari straordinari

Le  Ipab in Sicilia sono, ormai, al capolinea. La Regione, infatti, vuole eliminarle per i troppi debiti accumulati nel corso degli anni. Certo la loro chiusura porterebbe alla perdita di lavoro di centinaia di unità lavorative impiegate presso le opere pie, ma la situazione è veramente grave: queste strutture di pubblica assistenza e beneficenza,  hanno un buco di oltre 35 milioni di euro che cresce di circa un milione e mezzo ogni anno, una platea di 2.000 dipendenti di cui 750 a tempo indeterminato, con ritardi nel pagamento degli stipendi che arrivano anche a sfiorare i due anni.

Lo scorso piano finanziario regionale prevedeva di mantenere in vita, tra le 139 rimaste, solo quelle più grandi, cioè quelle con un volume di bilancio di almeno 500 mila euro e che svolgono ancora attività. In questo modo, ne resterebbe in vita una sessantina delle 140 esistenti. Le altre verrebbero liquidate e il personale trasferito agli enti locali.

Aspetti giuridici relativi alla privatizzazione delle Ipab
Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, meglio conosciute come Ipab, sono disciplinate dalla legge numero n. 6972 del 1890. Una legge che definisce tali le Opere Pie e gli enti morali che forniscono assistenza ai poveri, fornendo istruzione, avviamento professionale e un miglioramento morale ed economico.
In passato, questi enti nascevano per volontà di un benefattore che aveva destinato parte di un patrimonio a de­terminate finalità caritative. In altri casi, invece, venivano costituiti da gruppi, laici e religiosi, che creavano un’organiz­zazione, anch’essa per fini caritativi. In altri casi ancora, si trattava di strutture già costituite dal pubblico.
Il pubblico esercitava, comunque, sempre un certo controllo. Infatti, le Ipab si consideravano pubbliche proprio in virtù di questo controllo molto più incisivo che nei confronti di altre organizzazioni private.
Non si trattava peraltro di una novità della leg­ge del 1890 voluta da Francesco Crispi, la scel­ta pubblica nasceva già in epoca precedente e risaliva al 1862. Anche in pieno periodo liberale, caratterizzato da una limitazione dell’intervento statale, si era sentita l’esigenza, di controllarle in modo incisivo, de­terminato.
È in ogni caso intuitivo che, se una istituzione è pub­blica, c’è un controllo maggiore rispetto all’istituzione privata. Possono esser­vi abusi, distrazioni di patrimoni, ma la garanzia che esso rimanga destinato alle esigenze originarie di assistenza, è indubbia­mente assai più ampia.
La legge del 1890, fino a quando non vi sarà una nuova legge quadro sull’assi­stenza, è quella cui si deve fare riferimento efor­nisce una garanzia abbastanza precisa di desti­nazione dei patrimoni alle finalità assistenziali.

Il personale delle Ipab è personale inquadrato nel contratto degli enti locali perché le Ipab infraregionali e regio­nali facevano parte della organizzazione pubbli­ca locale. Chiaramente, se la norma non prevede nulla, un’altra legge, quella siciliana, pur essendo non soddisfacente, ha risolto il problema con inquadramenti par­ticolari: il rapporto di lavoro pubblico si trasfor­merà in rapporto privato con le garanzie più li­mitate proprie del settore privato.

Ci si auspica che la Magistratura intervenga tempestivamente per scongiurare situazioni più gravi e per mettere fine a questa illegalità diffusa che regna nelle Ipab.

 

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