Un vero e proprio mercato del clandestino: gente in cerca di una vita migliore, di un Paese che offra le giuste garanzie democratiche, ma spesso in balia di organizzazioni che lucrano sulle loro fatiche, sui loro viaggi e sui loro sogni
di Giuseppe Patti
Sia in Italia che in Sicilia, il tasso di immigrazione è aumentato. Alcuni arrivano via mare, altri via terra, e altri ancora via aria. L’attenzione si concentra, giustamente, sui primi, i quali affrontano viaggi così rischiosi da rimetterci spesso la vita – si pensi che solo nel 2016 sono morte nel Canale di Sicilia 5.022 persone – tuttavia, anche chi non attraversa il mare, si sottopone a condizioni pressapoco servili, inumane, oppure si affida a veri e propri maghi della truffa per un misero visto, generando un reale mercato del clandestino, dove gli artefici, per lo più italiani, sanno ben maneggiare le leggi a loro illegale piacimento.
Ovviamente, è da precisare, che sono molti a richiedere adeguatamente l’asilo nel nostro Paese – 123.600 nel 2016 secondo l’Interno – tuttavia, per cause economico-sociali, c’è chi nella disperazione si consegna all’ignoto di turno, avido di denaro.
Rientrano in questo mercato i braccianti indiani: non arrivano come clandestini, per raggiungere l’Italia non usano barconi, ma aerei. Alla base stanno solide organizzazioni che trafficano esseri umani, ricavando da ognuno anche fino a 8 mila euro. In cambio, i migranti hanno un biglietto e un permesso di tre mesi come stagionali. Il costo è esorbitante, tanto da indebitare se stessi o l’intero villaggio, solitamente con lo stesso “datore di lavoro” per cui dovrà lavorare gratuitamente sino all’estinzione del debito.
Spesso, i braccianti vengono ingaggiati da caporali del loro stesso Paese: all’alba li caricano sui furgoni e li portano a seminare o raccogliere nei campi delle aziende italiane, ma non basta. Dai lavoratori pretendono anche delle personali tasse giornaliere: di solito 5 euro per il trasporto, 3,50 per il panino, 1,5 euro per ogni bottiglia d’acqua consumata. Ma il caporale è solo l’ultimo anello di questa associazione, sopra di lui – nel 90 per cento dei casi – un italiano, avvocato o commercialista, insomma un professionista, nostro connazionale che gestisce il giro delle case, degli affitti e dei permessi di soggiorno. Al di sopra di questi c’è il capo vero e proprio dell’organizzazione, quasi sempre un uomo della malavita locale che si occupa del mercato del clandestino.
In Sicilia, se non direttamente, questi “agricoltori” arrivano tramite voli nazionali, o più semplicemente trasportati con automezzi, dando vita ad un vero e proprio flusso migratorio interno, dove i destinatari non vedono l’ora di ricevere nuova e conveniente manodopera.
In particolare, i paesi siciliani cuciti in questa rete dello sfruttamento, sono: nella zona centro-occidentale, S. Giuseppe Jato, Partinico, Enna, Naro e Canicattì; nella zona centro-orientale, Capo d’Orlando, Rocca Lumera, Bronte, Palagonia, Niscemi, Altopiano Ragusa, Cassibile, Avola Florida e Ragusa.
Tale meccanismo, in maniera sostanziale, viene adottato non solo per i braccianti indiani, ma anche per i migranti di nazionalità orientale, non destinati ai campi, e per i quali la faccenda si fa meno cruenta e disumana.
Per loro, un’agenzia procura i visti turistici. Arrivati in Italia, è la volta delle agenzie immobiliari per trovare una sistemazione provvisoria. Poi serve il permesso di soggiorno, ottenibile grazie ad una semplice assunzione – falsa – in un negozio o in un ristorante. Qui entrano in ballo gli studi dei commercialisti, italiani ma anche cinesi: i nuovi arrivati vengono assunti dai loro connazionali, già residenti, il tutto per finta e a suon di mazzette.
Una volta ottenuti i permessi, si licenziano non appena riescono ad aprire un’attività in proprio e il ciclo ricomincia.
Un mercato molto proficuo, che scatena la fantasia di ciechi e ottusi imprenditori. Alcuni, addirittura, si cimentano nella fabbricazione di matrimoni falsi, usufruendo di una rete di collaborazioni e del cosiddetto “ricongiungimento familiare”, previsto dall’ordinamento italiano. Se poi nel pacchetto è prevista la cittadinanza, allora la sposa italiana, – a cui spetta un bel gruzzolo – potrà divorziare solo dopo 24 mesi, cioè non appena il pagante – il migrante – acquisterà la cittadinanza. Per il resto, come fotografi, amici e parenti – naturalmente falsi – presenti al matrimonio civile, erano di competenza degli “imprenditori” italia. E si ricomincia da capo.
Il mercato del clandestino stuzzica l’appetito anche delle mafie locali, e a chi gli è legato; lo dimostrano le diverse inchieste, prima fra tutti quella su “Mafia Capitale”. – Tu hai idea di quanto ci guadagno sugli immigrati? – si vanta Salvatore Buzzi, signore delle cooperative rosse, in un’intercettazione – il traffico di droga rende meno. E in effetti, esaminando le voci di spesa del ministero dell’Interno, e il valore degli appalti per la costruzione di nuovi centri d’accoglienza, si parla di un giro di miliardi di euro, – mica bruscolini! – dove, tra l’altro, la Sicilia è protagonista: sino al 30 novembre 2014 gli immigrati presenti in tutti i centri della Penisola erano 65 mila, e un terzo risiedevano nelle strutture siciliane.
La partecipazione mafiosa è rimasta sempre sotto traccia; le cosche sono sempre state interessate a gestire l’attività collegata perché più redditizia, ma inchieste giudiziarie delle procure di Palermo, Agrigento, Siracusa e Catania, hanno dimostrato che i clan danno agli scafisti assistenza a terra e il sostegno logistico come fossero dei latitanti della mafia, in cambio di una percentuale non indifferente sui traffici dei migranti.
Certamente non c’è da stupirsi se in Sicilia – e in Italia – quando si discute di immigrazione e accoglienza brillano gli occhi a tanti.