Italia, questione giustizia
Sentenza del tribunale di Roma: i migranti non possono essere deportati nei campi organizzati in Albania perché provengono da Paesi terzi considerati non sicuri dalla Corte di Giustizia Europea a cui la Giustizia italiana deve uniformarsi.
Risposta del Governo (Meloni, Tajani, Nordio): “È la politica che decide, la giustizia deve applicare le leggi! sentenza abnorme” – Il Governo ha convocato un CDM lunedì 21 ottobre per emanare un decreto-legge che ribadisca la legittimità dei trasferimenti dei migranti in Albania.
Israele, questione giustizia
Il governo di Netanyahu toglie alla Corte Suprema la facoltà di bloccare le decisioni dell’esecutivo giudicate “irragionevoli”.
“Un passaggio democratico necessario per ricalibrare l’equilibrio fra i vari rami dello stato”. Così in Israele il primo ministro Benjamin Netanyahu ha giustificato in diretta TV l’approvazione di una legge che toglieva alla Corte Suprema la possibilità di opporsi alle decisioni del governo giudicate “irragionevoli”.
Secondo l’Israel Democracy Institute, il disegno di Levin indebolirebbe significativamente il sistema giudiziario del Paese, dando un potere quasi illimitato all’esecutivo. I sostenitori sono invece convinti che sia necessario riportare nei ranghi il potere giudiziario, ormai completamente inaffidabile e troppo forte rispetto all’esecutivo.
Ungheria, questione giustizia
“Il 19 aprile di dodici anni fa, il Parlamento ungherese approvava il nuovo testo costituzionale (si chiama Legge Fondamentale), aprendo una stagione di riforme dello Stato nelle quali la giustizia avrebbe occupato un posto privilegiato. Gli articoli relativi all’ordinamento giudiziario (artt. 25-28), a prima vista in continuità con il testo costituzionale preesistente, risaltavano tuttavia per una certa laconicità e per il non-detto rispetto a quanto affermavano.
A livello più appariscente, il nuovo testo modificava la denominazione della Corte suprema, recuperando quella pre-comunista (Kúria). (….) A distanza di pochi mesi (legge n. 61 del 14 giugno 2011), erano poi introdotti nuovi requisiti per i candidati alla presidenza della Kúria. Ciò preannunciava la strategia di cattura della magistratura da parte della maggioranza parlamentare e avrebbe dato luogo a una controversia risolta (ma senza effetti sostanziali determinanti) dalla Grand Chamber della Corte europea dei diritti dell’uomo nella nota decisione Baka v. Hungary del 23 giugno 2016.
A questa misura, una seconda ne era seguita che aveva permesso una vera e propria “epurazione” della magistratura.
Una misura epurativa nella sostanza e ben nota nella storia della giustizia europea, la quale ha poco da invidiare al decreto con cui Luigi Napoleone, il primo marzo 1852, aveva revocato centotrentadue giudici. L’effetto delle misure prese dalla maggioranza del partito Fidesz è stata infatti la revoca di un quarto dei giudici della Corte suprema e circa metà dei presidenti di corte regionale o provinciale.”
(… ) L’ultimo capitolo della saga giudiziaria ungherese: la “legge insalata” del dicembre 2019
Con l’approvazione in tempi molto brevi di un disegno di legge presentato lo stesso dicembre, il Parlamento ungherese introduceva una serie disposizioni di ordine procedurale e istituzionale che, nelle pieghe di una normativa eterogenea (legge omnibus, chiamata in maniera folkloristica “legge insalata”), mirava a obiettivi assimilabili a quelli dell’abortita riforma della giustizia amministrativa.
Una visione d’insieme delle riforme qui richiamate ci offre l’immagine incrementale ed erratica di due ondate riformatrici successive (2011-2012 e 2018-2019) che riflettono il pragmatismo tipico dell’ideologia politica orbaniana e una concezione del diritto che, pur nel quadro di un apparato formale, appiattisce la dimensione giuridica sulla dimensione politica. Da questo punto di vista, se si ricorre alla tripartizione proposta da Ugo Mattei delle tradizioni e dei sistemi giuridici, il decennio segnala uno scivolamento dalla dimensione del rule of law a quello del rule of politics (by law).
(…) Venendo alla ratio, allo spirito delle riforme, si può dire che l’obiettivo perseguito non sia un controllo totalizzante degli organi giurisdizionali, anche perché il poter rivendicare un certo grado di indipendenza delle corti può essere esso stesso fattore di legittimazione per il sistema politico. Quello a cui si è mirato, in maniera chirurgica, è l’allineamento della magistratura soprattutto nei casi giudiziari più scottanti, laddove possibile” ( cfr. Simone Benvenuti – GIUSTIZIA INSIEME 29 aprile 2023).
Ragionevolezza
In Israele il tema della “ragionevolezza” è entrato drammaticamente nell’attualità a gennaio 2023, dopo che l’Alta Corte di Giustizia aveva impedito ad Aryeh Deri, leader del partito ultraortodosso Shas, di ricoprire il ruolo di ministro della Salute e dell’Interno, a causa di una condanna per evasione fiscale, corruzione, tangenti e frode. La sua nomina è stata così ritenuta “estremamente irragionevole”, una decisione che ha messo alle strette Netanyahu, costringendolo a negare l’incarico a uno dei suoi più fedeli e potenti alleati. (ISPI)
In Italia, invece, il problema del potere giudiziario che ostacolerebbe il potere esecutivo e legislativo si pone dalla metà degli anni ‘90 ma, nell’ottobre 2024, con la recente questione migranti e la figuraccia albanese, ha toccato un livello di scontro inedito.
Mattarella è intervenuto invocando il criterio della mediazione per evitare un conflitto istituzionale. Ma contrariamente al caso Israeliano, l’Italia è membro UE e dunque non ha l’autonomia sufficiente per sottrarre potere alla magistratura, se non vuole entrare in conflitto con la Corte Europea e tutto lascia supporre che la Corte costituzionale si opporrà ad eventuali decreti-legge di tipo eversivo.
Ma al di là dell’esito, quello che è evidente è che l’Italia si stia adeguando alla forma delle democrazie illiberali e autoritarie. Il premierato, l’autonomia differenziata, il decreto Sicurezza sull’ordine pubblico, la riforma della magistratura, il decreto Cutro e il piano di deportazione dei migranti sono segnali evidenti e inquietanti di una progressiva, e continua, deriva il cui step decisivo dipenderà dalle elezioni americane e, in particolare, dalla eventualità di una vittoria di Trump.
L’Idea di Trump, infatti, è di delegittimare le istituzioni sovranazionali a cominciare dalla NATO e dall’ONU. La strada sembra già tracciata e Italia, Ungheria e Israele sembrano i laboratori di sperimentazione dove si testa la sostenibilità di svolte autoritarie e di spinte nazionalistiche.
Israele, in particolare, approfittando della debolezza americana in una fase preelettorale ha, in pochi mesi delegittimato la Corte di Giustizia europea e l’ONU senza alcun timore.
Dichiarazione ONU: Israele viola il diritto umanitario internazionale. Una Commissione ONU rileva crimini di guerra e contro l’umanità negli attacchi israeliani alle strutture sanitarie di Gaza e nel trattamento di detenuti.
Risposta. Netanyahu e IDF: “Non garantiamo sicurezza ONU; l’ONU è una palude antisemita”.
Dichiarazione della Corte internazionale di giustizia: l’occupazione e l’annessione da parte di Israele dei territori palestinesi sono illegali e le leggi e prassi discriminatorie israeliane contro i palestinesi violano il divieto di segregazione razziale e di apartheid”.
La mancata attuazione, da parte della comunità internazionale, delle raccomandazioni contenute in quell’opinione ha incoraggiato Israele a sfidare il diritto internazionale e a rafforzare la sua impunità.
Risposta. Netanyahu: “Una posizione antisemita da parte della Corte e del Sudafrica”
Stop alla globalizzazione
Quando Orban aveva interpretato il ruolo dei Presidenza di turno UE assumendo iniziative proprie che erano in totale conflitto con le posizioni UE riguardo all’Ucraina tutti hanno pensato che si trattasse solo di una mina vagante.
Ma l’idea di delegittimare le Istituzioni sovranazionali probabilmente è meno estemporanea di quel che si pensa e forse nasconde la volontà da parte di forse reazionarie di porre fine alla globalizzazione, almeno così come è concepita oggi. L’ipotesi più probabile è di un ritorno agli Stati Nazione ristabilendo non solo i confini ma anche ripristinando una autonomia nazionale che con la globalizzazione era stata ridotta alla mera gestione dell’ordine pubblico.
Questo conflitto tra Istituzioni sovranazionali e gli Stati Nazione riguarda prevalentemente l’Europa. La transizione europea dagli Stati nazionali all’UE ha determinato, infatti, che funzioni come giustizia, bilancio, politica estera, difesa, siano competenze ormai trasferite a FMI, BCE, Alta Corte di giustizia, Commissione Europea, NATO. Anche le politiche di sviluppo economico sono impossibili da attuare per qualunque Stato a causa, sia della programmazione europea (Green deal), sia della concentrazione dei capitali privati in società multinazionali, molte delle quali con sede nel paradiso fiscale olandese, o del loro trasferimento in fondi finanziari internazionali.
A tutto ciò si deve aggiungere il peso di una economia immateriale, dell’intelligenza artificiale, della rete e dei sistemi digitali che, per loro natura, hanno una dimensione globale.
Il nuovo ordine: il disordine
La questione di fondo è una architettura della forza sia a livello nazionale che internazionale. In cambio di una tolleranza delle forzature interne ai singoli Stati riguardo al diritto e alla libertà, gli Usa si riservano forzature internazionali con lo stesso criterio autoritario. La verità, molto più banale di quel che sembra, è che gli USA non sono disponibili né a un nuovo ordine mondiale multilaterale come propongono i Paesi BRICS, né ad essere risucchiati in una logica di globalizzazione in cui l’Europa possa strutturarsi come Stato Europeo legittimato e diventare un competitor indipendente; perciò, la soluzione Americana è che tutto il mondo, in primis l’Europa, sia politicamente frantumato e diviso, economicamente dipendente e militarmente subalterno a sé e ai suoi alleati che saranno selezionati di volta in volta secondo le necessità. In cambio, a livello interno, i singoli Stati potranno agire liberamente senza più dover sottostare al diritto internazionale, NATO, ONU, AIA ecc. proprio sul modello disordinato del “cortile di casa” sudamericano.