Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

L’ “era” del rimpianto

Il rimpianto produce una cascata di reazioni emotive negative come vergogna, senso di inadeguatezza, tristezza legate a comportamenti ed eventi appartenenti al passato...

di Redazione

Noi esseri umani siamo campioni di sofferenza. Accumuliamo esperienze da quando nasciamo, ma soprattutto idee e interpretazioni di queste esperienze. Spesso è proprio il modo in cui processiamo la realtà che ci racconta perché questa stessa realtà, anche quando sia causa di sofferenza, non riusciamo a cambiarla

 

dott.ssa Marina Li Puma*

Accade che il tormento e l’inquietudine diventino il colore dominante delle giornate, l’unico sapore dei pasti che si consumano e un velo impercettibile che avvita l’anima ad una sola espressione del volto, quella di chi convive con l’eco lontana del fischio di un treno che è andato via, forse per sempre.
Spesso in questa maratona del patimento l’unico vero avversario è quella parte di noi che potrebbe anche consentirsi di godere di una vita capace di offrire qualcosa, con i suoi chiaroscuri e che riconosca in un sano divenire le proprie controverse vicissitudini, ma, di frequente, trascendiamo le effettive umane vicende che, ahimè, possono gettare in un tornado doloroso le esistenze di tutti noi e ci infrattiamo in oscuri sentieri tutti mentali, appiccicosi come la resina che ci tengono in ostaggio a volte anche per anni. Uno di questi è il rimpianto.
Da che mondo e mondo il pianto, liberatore naturale di emozioni, è quel ricalibratore energetico che ci bagna gli occhi e ammorbidisce il cuore e quasi fossimo un terreno arso e riarso dal tempo, dalle costrizioni e dal dolore muto, troviamo nutrimento nelle lacrime, capaci di levigare le asprezze delle nostre maschere quotidiane. Ristabilisce la connessione sociale e l’impegno empatico reciproco, non solo tra i propri affetti più cari, ma anche con la rete interpersonale più ampia, mettendo in condivisione un fardello emotivo troppo grande da sopportare in solitudine. Quindi piangere è importante tanto quanto ridere. Entrambi esprimono, segnalano emozioni e costruiscono ponti con il mondo. Il rimpianto è tutta un’altra storia. Equivale ad intentare una causa di recupero crediti con la vita, seguiti, però, da un cattivo avvocato: il dubbio. E’ spesso un’operazione emotiva implosiva e intrusiva che nasce e si sviluppa nel privè della nostra psiche. Il rimpianto produce una cascata di reazioni emotive negative come vergogna, imbarazzo, senso di inadeguatezza, tristezza legate a comportamenti ed eventi appartenenti al passato, situazioni da cui non ci si riesce a staccare e che continuano ad essere agenti determinanti dell’andamento del nostro presente.

Rimpiangere una persona che non c’è più è sicuramente uno dei modi più umani che abbiamo di sentirne l’assenza e immergerci nel suo ricordo, per tenerla con noi ogni volta che possiamo. Ma rimpiangere occasioni mancate, parole che nessuno ci ha detto o scenari che non si sono verificati e che nella nostra testa assumono il valore di snodi capitali del nostro destino, rispetto ai quali non smettiamo mai di giocare a “come sarebbe stata la mia vita, se” equivale a guidare la macchina con la retromarcia sempre inserita o a vedere e rivedere una scena, sperando che per magia il finale ad un certo punto cambi. Guardare al passato per andare avanti, diventa “fissare” il passato per rimanere dove si è. In un’epoca come la nostra, veloce, frenetica e in cui la felicità è un prodotto che si acquista su amazon, una delle cose più invidiate non è tanto la presunta o reale gioia di vivere dell’altro, ma la capacità e il coraggio di chi può ancora consentirsi di provare il dolore. Vivere di rimpianti è un modo per contemplare passivamente ciò che non va nella propria vita(brooding); è una forma di ragionamento astratto che si serve di ruminazioni infinite atte a lasciare aperti tutti i quesiti che i nostri dubbi costruiscono.

Forse, in quest’era, intrisa di “futuro”, rintanarci nel passato, con una spinta uguale e contraria, diventa quasi una difesa compensatoria, una difesa che,però, impone un prezzo alto: immola il nostro presente all’invisibile “colla” del “sempre uguale” e appende la nostra esistenza al chiodo fisso di un tempo che non riesce a scorrere.

*Psicoterapeuta

 

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