Vito Parrinello racconta il suo teatrino Ditirammu, tra ricordi dolcissimi e il timore di una chiusura
di Alessia Franco
Ripercorrere la storia del teatrino Ditirammu è come farsi raccontare dal suo fondatore, Vito Parrinello, una storia di famiglia da qualche generazione fa a oggi.
In realtà le storie sono due, anzi tre. E si intrecciano senza soluzione di continuità: quella di una famiglia sui generis, quella di un teatro simbolo della città e quella di Palermo. E per quanto uno ci provi, non le si riesce a staccare.
Mentre parla, Vito Parrinello sgrana i ricordi di famiglia come perle di un rosario: emergono, da un passato mai morto, le figure di una nonna enfant prodige, che a cinque anni sbalordì tutti nell’esecuzione della Marcia turca di Mozart e che partecipò a un concorso per mandoliniste nella storica esposizione nazionale del 1891. Di quel bisnonno editore di Giuseppe Pitré medico e capostipite della moderna etnografia siciliana, che spesso curava i pazienti che non potevano pagare in cambio di loro racconti e musiche. Di quel Pietro Cutrera da cui i Parrinello discendono, che fu maestro di cappella al teatro Carolino, oggi il Bellini, e che rilevò lo spazio che oggi occupa teatro Garibaldi.
Il teatro Ditirammu di via Torremuzza, nel quartiere storico della Kalsa, nasce ufficialmente nel 1995: ma la data indica il luogo fisico, la casa-dei-ricordi punto di raccolta di una storia che parte da una famiglia in cui fare arte e condividerla era del tutto normale.
«Era un modo per stare insieme, scandiva la vita perfino in cucina o quando avevamo ospiti. A loro offrivamo questi nostri tesori, quello che avevamo di più bello e di più puro – racconta Vito Parrinello – il canto, la musica, la danza hanno sempre convissuto con la mia famiglia. E ora vivono nei figli miei e di Rosa, Elisa e Giovanni».
Rosa Mistretta, adorata compagna nella vita e sul palcoscenico, non viene da una famiglia di artisti. Ma anche lei il palco l’ha nel sangue: incontra Vito cantando e da quel momento non si separano più. In tutti questi anni hanno ripreso i triunfi, le nenie di Natale, i canti della Settimana Santa, raccolti nel celebre Martoriu. Quelli che vanno in scena sono insieme riti e spettacoli.
Sul sito manca l’edizione 2013 di Martoriu. E fa impressione: sì, la parola giusta è questa. Non è una dimenticanza del webmaster, è (molto più tristemente) una mancanza di fondi. E per la stessa ragione, nelle scorse settimane, il Ditirammu ha organizzato una vendita dei costumi di scena per raccogliere i soldi dell’affitto e per fare un altro spettacolo. In vendita ci sono anche i due vestiti di Nicù, storico personaggio di Elisa e della sua ludoteca, che da anni accompagna i bambini nel mondo delle fiabe. Li hanno comprati entrambe le mamme: Nicù non può uscire dalla sua casa e vagare disperata in cerca di ricovero, dopo avere dato una casa a tanti.
Il rischio è che anche il Ditirammu chiuda i battenti, e che i ricordi e le memorie di una città vaghino fino a dissolversi, perché nessuno più li ricorda. E fa impressione.