Quando nel ’90, la RAI mandò al macero i suoi quarant’anni di Radio Siciliana
di Salvo Sbacchis
Era il 1938, quando ancora Eiar, dal teatro Bellini di Palermo, la Rai diede inizio alle trasmissioni radiofoniche annunciando «Qui radio Palermo, avamposto dell’Italia in libertà!».
Dopo la guerra, gli studi Rai poi furono per circa un quarantennio al numero 19 di Via Cerda. Un palazzo in uno stretto vicolo vicino i portici di via Ruggero Settimo, tra piazza Politeama e piazza Massimo. Da lì furono trasmessi servizi sui fatti locali siciliani di fine Novecento, dai servizi “veristi” sui minatori di zolfo, a quelli sul terremoto della Valle del Belice del ’68, assieme a tutta una lunga serie di trasmissioni di artisti, poeti e intellettuali, incentrati sul popolo siciliano.
Sul finire del Novecento poi, nel 1990, la sede di Palermo chiuse i battenti ponendo fine a quel periodo che può essere definito come la “stagione d’oro della Rai di via Cerda”, unico “palcoscenico” di tanti personaggi che da ogni parte della Sicilia stabilivano quotidianamente un piacevole filo diretto con il lo pubblico siciliano. Via Cerda non raggiunse mai la fama delle altre quattro sedi di produzione regionale come Milano, Roma, Torino e Napoli, vetrine delle più belle voci fonogeniche d’Italia. Ma, anche senza grandi mezzi, alcuni pionieri della radio di Palermo come Pino Badalamenti, Ignazio Brusca, Rita Calapso, Maria Cefalù, Gabriella Savoja, Biagio Scrimizi e Giuseppe Valenti, vi produssero programmi “artigianali” ma sempre di altissimo livello professionale. Erano i tempi eroici del “Ficodindia”, il supplemento domenicale de “Il Gazzettino di Sicilia” messo su dagli attori del Teatro Stabile di Catania, da Turi Ferro e i suoi seguaci Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Fiorella Mari, Mariella Lo Giudice e Miko Magistro.
Come furono anche gli anni di Sciascia e di Bufalino, di Giuseppe Fava, Ignazio Buttitta ed Enzo Biagi; di attori e registi come il premio Oscar Giuseppe Tornatore, l’attore Luigi Lo Cascio quello dei “Cento Passi”, lo scrittore Andrea Camilleri padre del Commissario Montaslbano, l’attore Gigi Burruano, il drammaturgo Franco Scaldati, lo scrittore Michele Perriera, l’indimenticabile Pino Caruso, il regista di teatro Accursio Di Leo, Michele Guardì, e tanti tanti altri, tra questi anche il poeta pecoraio Giardina. Voci di altri tempi.
Ma il più atteso, la domenica, a ora di pranzo, era l’appuntamento con “Don Totò”, la celebre maschera cabaret ideata e portata in radio da Renzino Barbera attraverso il “Ficodindia”, la trasmissione di intrattenimento domenicale che ironizzava sulla tipica famiglia siciliana anni sessanta.
Ebbene, nel trasferimento dalla vecchia sede Rai di via Cerda a quella di viale Strasburgo del 1990, la sede regionale della Rai in Sicilia non ne ha più memoria. Di tutto il materiale registrato negli anni di via Cerda non c’è più traccia. Quarant’anni di storia radiofonica siciliana andata al macero.
Oggi, quindi, il ricercatore, l’agiografo, che volesse riascoltare qualcuna delle trasmissioni di allora non dispone pi di nastri. Un tesoro inestimabile perso per sempre, e con esso gran parte del patrimonio storico radiofonico siciliano dagli anni Sessanta.
Ad esempio, che fine hanno fatto le trasmissioni come “Il Ficodindia”, il “Mister X” con Michele Perriera, gli “Incontri con Fava” con Giuseppe Fava de I Siciliani, il “Da Messina con Amore” con Adolfo Celi, i “Processi celebri” di Silvana Polizzi, le interviste a Renato Rascel e Carlo Campanini, o quelle a Renato Guttuso ed Enzo Maiorca, il “Teatro fuori le mura” del regista Accursio Di Leo, i servizi sul terremoto del Belice del 1968 o sulle eruzioni dell’ Etna? Oppure, le collaborazioni di Pippo Spicuzza, di Enzo Randisi, e tutti gli altri portatori di creatività siciliana, degli anni in cui Pino Valenti finiva la diretta radiofonica per cominciare subito la registrazione televisiva dell’ adattamento di un racconto di Garcia Marquez, utilizzando un attore di Teatès come Adriano Giammanco al fianco di Enrica Bonaccorti.
A ricordare questi pionieri era rimasto un gong di ottone, quello usato da Pino Badalamenti e Paola Lory quando intervallavano col suo suono la pubblicità scritta a macchina sulle veline e letta in diretta.
Ebbene, anche quest’ultimo cimelio, a ricordo dalla saletta di registrazione, è sparitto assieme a tutti i nastri.
Nella foto sala di registrazione della Rai di via Cerda (1980)