Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

La moda attraverso i decenni

di Redazione

L’arte di nascondere o mettere in evidenza la propria personalità in relazione al periodo in cui si vive

di Anita Sorano 

Dopo la prima guerra mondiale i sistemi sociali vengono rapidamente distrutti, la società inizia  a mutare e con lei anche la sua immagine. L’ascesa della media borghesia porta un nuovo stile di vita. Le donne partecipano sempre più alle attività del mondo esterno e iniziano  a ricercare indumenti  più pratici e funzionali. Così stilisti e artisti creano nuovi tipi di vestiario. Importante nel settore moda è l’impatto  dell’Haute Couture parigina, combinazione di  eleganza e opulenza.

La prima linea di abbigliamento considerata D’ Art Nouveau viene  lanciata dallo stilista Paul Poiret, una linea che non richiede  l’uso del corsetto. Siamo nel 1903, i tagli sono dritti e le forme ampie. Il  desiderio di Paul Poiret  non è quello di liberare le donne dal “corsetto” bensì di ricercare una nuova forma di bellezza, spostando l’attenzione dalla cintura alle spalle. Da quel momento, la moda del XX secolo passa da una forma artificiale, basata sul corsetto, a una più naturale,  sostenuta da un reggiseno.

Accanto all’alta borghesia,  una fiorente classe, definita ‘nouveau riche’, trasforma il look femminile in modo significativo. Le lunghezze da sotto la caviglia si spostano  verso il ginocchio. Avvengono cambiamenti  anche nelle acconciature nel trucco e nella biancheria intima.

Nel 1910, fa  la sua comparsa, su tutte le spiagge, il Costume da Bagno che, come mai in passato, scopre parti del corpo femminile. Viene così introdotto anche l’abbigliamento da mare, e la moda  di indossare pantaloncini nelle località balneari.

L’icona  per eccellenza  è rappresentata da Coco Chanel, fondamentale in questo nuovo aspetto della moda femminile. La stilista disegna  abiti comodi, semplici ed eleganti con un’innovativa combinazione di jersey e fogge prese in prestito dall’abbigliamento maschile. Disegna anche Cardigan, ‘calzoni da yacht’ alla marinara e pigiami da spiaggia. Chanel crea una nuova etica dell’abito e propone un nuovo stile per le donne che vogliono condurre  una vita attiva.

Nel frattempo a Parigi fa la sua apparizione l’aristocratica italiana  Elsa Schiaparelli. Anche lei trova che la donna debba essere libera di esprimersi nell’abbigliamento, ma, al contrario di Coco Chanel, predilige materiali alternativi.

Amante dell’arte in tutte le sue forme,  trasferisce nelle sue creazioni i colori, le immagini, l’estrosità e i nomi  che caratterizzano questa forma di espressione ,ispirata ad opere e sculture, creando anche delle collezioni esclusive di accessori (cappelli, orecchini, guanti). Antagoniste per stile, Coco Chanel ed Elsa Schiaparelli sono le promotrici delle tendenze dell’Haute Couture , ma  intuiscono che la formula vincente  è quella in serie: Prêt-à-porter.

Con la diffusione  della cultura di massa e dei  tessuti artificiali, l’abbigliamento  ‘pronto-da-indossare’  soddisfa i veri bisogni del mercato. Un  prodotto di massa ma di buona qualità, che renda la moda popolare. Da sempre l’abito è l’espressione del nostro modo di essere. Negli anni 60 I giovani scoprono che mostrare il corpo è il metodo più efficace per differenziarsi dalla generazione anziana. Come manifestazione  di disprezzo della società, realizzano  a mano i propri abiti e nutrono una predilezione per i jeans logori. Il jeans appartiene ad uno di quei capi in grado di superare barriere, generazioni ,sesso classe sociale e nazione.

Gli stilisti trasformano i jeans in capi di moda. La gerarchia  del mondo della moda, che collocava l’Haute Couture in cima alla piramide, crolla. Da allora le mode di strada, e di tutti quelli che hanno a che fare con il mondo dello sport e dello spettacolo,  hanno  grande influenza  sul nostro look .

Oggi la moda è fatta di innovazione ma anche di rievocazione di tutto ciò che è stato .

Non esiste presente senza passato.

Disegno realizzato da Francesca D’Arpa

 

 

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