Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

La vera soluzione finale

Quando si racconta il conflitto tra Israele e Palestina è inevitabile ricordare l'Olocausto, la cui soluzione finale era la cancellazione di un popolo. Oggi come ieri, quello palestinese è il popolo di turno

di Victor Matteucci

Riconoscimento

I governi di Spagna, Irlanda e Norvegia hanno annunciato l’intenzione di riconoscere formalmente lo Stato di Palestina.

A marzo i capi di governo di Spagna, Irlanda, ma anche di Malta e Slovenia, avevano pubblicato un comunicato congiunto in cui parlavano della necessità del riconoscimento dello Stato di Palestina «per la pace e la sicurezza» nella regione. La Spagna aveva approvato una risoluzione per il riconoscimento dello Stato di Palestina già nel 2014, dieci anni fa.

La decisione segue di poche settimane (10 maggio 2024) il riconoscimento dell’Assemblea dell’ONU della Palestina  come membro effettivo dell’ONU. Dal 2012 la Palestina godeva dello status di Stato, non membro, ma osservatore presso le Nazioni Unite, conferitole dall’Assemblea generale (ris. 67/19), di fronte all’impossibilità di raggiungere in seno al Consiglio di sicurezza un consenso sulla domanda di ammissione presentata nel 2011.

Inoltre, fa seguito alla sentenza della Corte Internazionale di perseguire Netanyahu per crimini di guerra. Il primo ministro spagnolo Sánchez, socialista, annunciando il riconoscimento dello Stato di Palestina per il prossimo 28 maggio, ha dichiarato che “il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu continua a bombardare ospedali e scuole, a punire donne e bambini con la fame e il freddo (…) Non possiamo permetterlo. Abbiamo l’obbligo di agire. In Palestina come in Ucraina, senza doppi standard”.

Sembra chiaro che le mobilitazioni di piazza in tutto il mondo, le università occupate, il boicottaggio di Israele, l’interruzione di rapporti diplomatici di molti Paesi, la causa intentata all’AIA dal Sudafrica, abbiano avuto il loro peso. Il conflitto Israeliano Palestinese ha, dunque, prodotto una profonda divisione all’interno dell’Occidente tra la società civile e i Governi. La posizione dei Governi è apparsa nel corso dei mesi chiaramente antipopolare e insostenibile con il rischio di delegittimare le stesse democrazie occidentali svelandone i doppi standard (cioè, le ipocrisie) a cui si riferisce Sanchez.

Espulsione e deportazione

La decisione spagnola, irlandese e norvegese, insieme alle altre risoluzioni ONU e della Corte Internazionale, punta a impedire che si continui il genocidio a Gaza con la prevista operazione a Rafah e la deportazione dei palestinesi nel Sinai, in territorio egiziano, come avevano proposto gli israeliani e gli Usa che avevano concesso all’Egitto, l’azzeramento completo del debito (135 miliardi di dollari) in cambio dell’accoglienza e della  naturalizzazione dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza.

Per il momento, il presidente egiziano, Al-Sisi, ha respinto la proposta. Il Cairo intende attenersi alla risoluzione della Lega araba che, dopo la Guerra dei sei giorni, aveva affermato che, spostare i palestinesi e naturalizzarli, non sarebbe stata una operazione umanitaria, ma una manovra per liquidare la loro causa.

Obiettivo, uno Stato unico

D’altra parte, è noto che il ministro Smotrich, sia l’autore di un “piano di soggiogamento” che prevedeva di costringere all’esodo palestinesi da Gaza, lo stesso che aveva dichiarato: «l’Autorità palestinese è un peso e Hamas è una risorsa.”

Pubblichiamo, qui di seguito, a conferma, la nota del ministero israeliano dell’Intelligence che prospetta tre opzioni per il futuro di Gaza. È stata redatta sotto la direzione della ministra Gila Gamliel, è intitolata “Alternative per una direttiva politica per la popolazione civile di Gaza” e raccomanda, appunto, l’espulsione dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza nel Sinai egiziano.

Hamas, Olp e Anp

Hamas è stato fondato nel 1987 dai Fratelli Musulmani ed è sostenuto, tra gli altri, da alleati dell’Occidente come Turchia e Qatar. Va ricordato che “Hamas discende direttamente da un precedente movimento islamico interessato principalmente alla fornitura di istruzione, assistenza sanitaria, aiuti alimentari e altri servizi sociali ai palestinesi che soffrono sotto l’occupazione israeliana. Questo gruppo è stato finanziato dalla monarchia saudita e dallo stesso governo di Israele! Quest’ultimo ha fornito al movimento terreni, edifici e una non piccola misura di incoraggiamento”, come raccontava Alan Nasser su Montly Review.

Quando Hamas nacque, durante la prima intifada, il movimento islamista era visto come un combattente utile contro la sinistra e contro l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Arafat (OLP). Hamas ora governa la Striscia di Gaza ed è molto apprezzato dai palestinesi per la sua risoluta opposizione a Israele, che, dal canto suo, ha utilizzato l’organizzazione per dividere il popolo palestinese.

Hamas crebbe criticando la laica Organizzazione nazionalista per la liberazione della Palestina (OLP), dominata dalla fazione Fatah guidata da Yasser Arafat che aveva rinunciato all’obiettivo a lungo termine di liberare tutta la Palestina storica scegliendo una politica di negoziato che aveva portato agli Accordi di Oslo del 1993.

Il sito di giornalismo investigativo statunitense The Intercept ha pubblicato un elenco di rivelazioni che meriterebbero ampia diffusione: https://theintercept.com/2018/02/19/hamas-israel-palestine-conflict/

Il Qatar avrebbe fornito ad Hamas nella Striscia di Gaza oltre 1,1 miliardi di dollari dal 2012 al 2018, con l’approvazione del governo israeliano, così riferiva il quotidiano israeliano Haaretz nel 2019. E in quell’anno, Netanyahu sbloccò altri 200 milioni di fondi del Qatar diretti a Hamas. In una riunione del suo partito Netanyahu disse, all’inizio del 2018, che “coloro che si oppongono a uno Stato palestinese dovrebbero sostenere il trasferimento di fondi a Gaza, perché mantenendo la separazione tra l’Autorità Palestinese (ANP), in Cisgiordania, e Hamas, a Gaza, impedirebbero la creazione di uno Stato palestinese“, così come ha riferito The Times Of Israel in un articolo intitolato “Per anni Netanyahu ha sostenuto Hamas. Ora ci è esploso in faccia”. (Rete Voltaire – 31 ottobre 2023)

Il gas dietro il tentativo di deportazione dalla Palestina

Tuttavia, lo scontro tra Hamas e Israele nasconde altri segreti. Intanto, la circostanza improbabile che Israele non sapesse dell’attacco di Hamas, visto che i servizi egiziani affermano di aver avvertito Israele di un probabile attacco terroristico e vista la nota efficienza del Mossad.

Ma soprattutto, dietro il genocidio di Gaza e il tentativo di deportare i Palestinesi da Gaza, c’è il GAS. Infatti, dal momento che le ragioni capitalistiche vanno sempre ricondotte a ragioni economiche, va anche ricordato che un giacimento di gas era stato scoperto nel 2000 dalla British Gas, la quale, nel 1999 aveva firmato un accordo di esplorazione di 25 anni con l’ANP che conferiva ai palestinesi la giurisdizione marittima fino a 20 miglia dalla costa di Gaza. All’epoca il governo israeliano aveva approvato la perforazione e la British Gas scavò due pozzi.

Nell’ottobre 2023, ENI si era aggiudicata diverse licenze per esplorare il mar Mediterraneo orientale al largo di Gaza, dove c’è una Zona economica esclusiva ricca di gas.

Uno studio di avvocati, tuttavia, ha invitato ENI a fermarsi, poiché Israele avrebbe indetto la gara di concessione su un’area marina che apparteneva alla Palestina.

Il 6 febbraio 2024, lo studio legale Foley Hoag Llp, con sede a Boston, negli Stati Uniti, ha inviato un avviso per conto di quattro associazioni arabe – Al Mezan center for human rights, Al Haq, Palestinian centre for human rights (Pchr) e Adalah – invitando la compagnia energetica Eni a non intraprendere attività nelle aree marittime della Striscia di Gaza che appartengono alla Palestina.

Insieme alla britannica Dana Petroleum Limited – una filiale della South Korean national petroleum company –, all’israeliana Ratio Petroleum e altre tre compagnie, infatti, ENI ha ottenuto la licenza di operare all’interno della cosiddetta “zona G”, un’area marittima che sta nelle acque territoriali palestinesi adiacente alle rive di Gaza, dove imperversa la carneficina contro i civili palestinesi per opera del governo israeliano.

Più precisamente, il 62% della zona G, rientrerebbe nei confini marittimi dichiarati dallo stato della Palestina nel 2019, in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Unclos), la cosiddetta Montego Bay, di cui la Palestina è firmataria. Ma la querelle sulle licenze per esplorare il gas al largo della Palestina si protrae da diversi anni fa (https://www.lifegate.it/eni-gas-gaza)

Quando si parla di soluzione finale la memoria va subito all'orrore dell'Olocausto, ma non è molto diverso quello che accade da anni ai palestinesi, popolo di turno da eliminare, purtroppo con la complicità dell'intera Europa

Armi e basi aeree dall’Italia

È evidente che i contratti di ENI, una partecipata pubblica, abbiano influito sulle posizioni italiane che, non a caso, si è astenuta all’ONU; ma non è tutto.

Secondo Antonio Mazzeo, giornalista e peace-researcher,  intervenuto di recente a un dibattito tenutosi ad Alcamo per la Palestina promosso da “Terra Insumisa”,  “vi sarebbero gravi coinvolgimenti italiani nel conflitto Israelo- Palestinese.”

Infatti, oltre all’accordo di recente concluso con ENI per l’estrazione di idrocarburi davanti le coste di Gaza, “l’Italia fornisce a Israele gli elicotteri per l’addestramento nella base di Beersheva, deserto del Negev, e i caccia ora usati per la distruzione di Gaza. Protagonista la Leonardo, società pubblica italiana. Ma più del doppio delle vendite è l’ammontare degli acquisti. L’Italia è il maggior acquirente di missili spike (400 milioni di euro) da montare su aerei, navi e mezzi terrestri, del tipo di quelli attualmente utilizzati nel massacro di Gaza. E di droni, che Israele sta mettendo in vetrina con il resto della sua produzione bellica in una ‘Fiera di morte’ che non ha eguali.

Inoltre, aerei Gulf stream, di produzione USA, ma con apparecchiature israeliane, sono in dotazione all’Aeronautica Militare di Pratica di Mare, da cui partono per missioni di intelligence nella guerra Russia-Ucraina. E Sigonella, in Sicilia, è la base di transito degli aerei americani carichi di armi che, provenienti dalla base di Ramstein, in Germania, proseguono per Beersheva. Sempre da Sigonella, decollano i droni Global Hawk, che effettuano operazioni di intelligence, ovvero individuano a Gaza i ‘target’ (obiettivi affollati di civili) che verranno poi colpiti con droni o cacciabombardieri. ( Cfr. Pressenza 27.11.23 – Fausta Ferruzza – Redazione Palermo

A cercare, si può ricostruire la storia, se abbiamo il coraggio di farlo. A cercare, si può scoprire  che alla base c’è il peccato originale dell’Europa illuminista e colonialista (il rapporto con le terre e i popoli “altri” rappresenta il lato oscuro della coscienza occidentale), c’è il conflitto storico tra ebrei e gentili fin dai tempi di Vico, c’è il ruolo nel finanziamento degli Stati Europei, tra il ‘700 e l’800, e il controllo di banche e grandi infrastrutture da parte delle lobbies ebraiche (la famiglia Rothschild in primis), c’è il nazismo, che perseguitò e sterminò “un popolo senza terra” e, infine, c’è il sionismo, con cui si era trovata una terra “senza popolo”. La vera soluzione finale. I palestinesi, in tutto questo, sono solo il popolo di turno da cancellare, così come era accaduto per i nativi americani che, con la loro semplice esistenza, e con l’eventualità di un loro riconoscimento, rischiavano di delegittimare la sovranità americana e di contestare la proprietà delle terre.  

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