La posta elettronica ha valore legale? E’ possibile produrla come prova in un processo?
Avv. Dario Coglitore
Con l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie informatiche è ormai frequente tra privati scambiarsi messaggi di posta elettronica per trattare e concludere affari commerciali che non di rado degenerano in contenziosi.
Ci si chiede, quindi, se lo scambio di e-mail tramite account non certificati può essere validamente utilizzato come prova nell’ambito di un procedimento giudiziario.
La questione è stata più volte affrontata dai tribunali di merito i quali, tuttavia, sembrano ancora oggi ben lontani dall’aver trovato una risposta definitiva ed appagante.
Di norma, la semplice e-mail, non firmata digitalmente né certificata (per intenderci quelle inviate tramite caselle “pubbliche” quali Gmail, Libero, etc..), pur rientrando nell’ambito della nozione di documento informatico introdotta dall’art. 10 del DPR 445/00, successivamente modificato dall’art. 6 del D.lgs 10/02, rimane pur sempre una mera riproduzione meccanica, priva di sottoscrizione digitale, e come tale, ai sensi dell’art. 2712 c.c., fa piena prova dei fatti e delle cose in essa rappresentate solo “se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.”
Il disconoscimento deve essere circostanziato e concernere la capacità rappresentativa della realtà da parte del documento contestato e, quindi, la sua genuinità ed attendibilità.
Ne consegue che la posta elettronica tradizionale è utilizzabile in un giudizio civile ma la sua forza potrebbe venire meno, ed assurgere, tutt’al più, a mero elemento di prova, qualora l’altra parte ne contestasse la validità sostenendo, ad esempio, che il messaggio è stato alterato oppure negandone la paternità. A nulla rileverebbe, infatti, il dispositivo di riconoscimento tramite password per l’accesso alla posta elettronica, poiché quest’ultimo sarebbe privo della necessaria connessione logica con i dati elettronici che costituiscono il messaggio.
Utilizzando un semplice client di posta sarebbe possibile inviare e-mails che appaiano, prima facie, provenienti da altro mittente, così come non è particolarmente difficile alterare il contenuto dei messaggi presenti nella casella di posta se si dispone di un accesso diretto al server di posta.
Tuttavia, il Tribunale di Termini Imerese in una recente Ordinanza del 22.02.105 sostiene che il nome utente e la parola chiave necessari per accedere all’account di posta elettronica siano “l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica (art.1 CAD), ovvero la firma elettronica c.d. leggera.
L’e-mail non certificata, quindi, sarebbe liberamente valutabile dal giudice “in considerazione delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità”.
Non è raro che i giudici riconoscano validità alle semplici e-mails, sopratutto nell’ambito del procedimento monitorio dove il concetto di prova scritta ai fini della emissione del decreto ingiuntivo appare piuttosto “elastico”.
Nonostante ciò, qualora il contenuto del messaggio potrebbe assumere un ruolo determinante in giudizio, è consigliabile utilizzare – quando e se possibile – la posta elettronica certificata (PEC) la quale è a tutti gli effetti idonea a creare, per mezzo della firma digitale, dei validi “documenti informatici” e, come tali, perfettamente idonei ad essere utilizzati in tribunale.
L’apposizione della firma digitale, conferisce all’e-mail un elevato grado di certezza che la rende idonea ad assumere l’efficacia probatoria tipica dell’art. 2702 c.c. a norma del quale “la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.
Il meccanismo di funzionamento della PEC, infatti, dovrebbe garantirne l’impossibilità di una sua contraffazione: i gestori di simili caselle certificano la spedizione e la consegna del documento nonché la genuinità del relativo contenuto.