Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

La sorte dei beni confiscati

Libera ci illustra la mappa dei beni confiscati alle mafie, riutilizzati. In Sicilia sono 267 soggetti diversi impegnati nella gestione beni immobili confiscati alla criminalità organizzata 22% terreni agricoli 20% locali commerciali, capannoni 18 % riguardano appartamenti In Sicilia sono 7406 i beni immobili confiscati e destinati 7328 gli immobili ancora in gestione

di Redazione

Beni confiscati alle mafie. Dall’estremo Nord all’estremo Sud, i beni, patrimonio esclusivo di cosa nostra si trasformano in beni comuni e condivisi. Ad entrarne in possesso sono associazioni, cooperative sociali, il mondo del volontariato. Sono loro i i protagonisti della trasformazione di questi beni.

Il censimento di Libera dei beni confiscati alle mafie


Libera ha censito i beni confiscati alle mafie che sono stati riutilizzati. Dal censimento è emerso che sono 947 soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli Enti locali. Tutti beni suddivisi in 18 regioni e in più di 350 comuni.
Il 28 per cento, che corrisponde a 267 realtà associative si trovano in Sicilia. E a proposito della Sicilia, è opportuno dire che secondo dati emersi dall’
Anbsc, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, emerge che delle proprietà confiscate, solo circa 550 sono già destinate. Il resto è ancora sotto la gestione della stessa Agenzia.

La tipologia degli immobili

Nella ricerca Libera ha ricostruito la tipologia di immobili gestiti dai soggetti gestori in Sicilia. In molti casi la singola esperienza di riutilizzo comprende più beni confiscati, anche di tipologia catastale diversa. Il 18 per cento è costituito da appartamenti, abitazioni indipendenti, immobili. Il 16 per cento da ville e fabbricati su più livelli e di varia tipologia catastale, nonché palazzine. Il 22 per cento da terreni agricoli, edificabili e di altra tipologia (anche con pertinenze immobiliari). Mentre il 20 per cento è fatto da locali commerciali o industriali, capannoni, magazzini, locali di deposito, negozio, bottega e uffici.


I dati dell’Anbsc

Ritornando ai dati dell’Anbsc, in Sicilia sono 7406 i beni immobili (particelle catastali) destinati ai sensi del Codice antimafia. Sono invece in totale 7328 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati. Abbiamo visto quelle destinate, poco meno di 550. Mentre 979 quelle ancora in gestione, cioè quasi il doppio.

Dai dati del Ministero della Giustizia,

Secondo la Relazione del Ministero della Giustizia, i procedimenti relativi alle misure di prevenzione patrimoniali, nel giugno del 2021, sono 10.500. E hanno subito un incremento di 498 unità rispetto ai 10.002 rilevati nel giugno del 2020.
L’area in cui emerge il maggior numero di procedimenti iscritti tra il 2019 e il 2021 è l’area meridionale. Scendendo più nel dettaglio in merito alla distribuzione geografica degli uffici procedenti, può segnalarsi come nel triennio 2019-2021 siano stati iscritti 246 nuovi procedimenti in Sicilia, 218 in Calabria, 184 in Campania. I distretti giudiziari di Reggio Calabria (166), Napoli (164) e Palermo (152) risultano quelli con il numero maggiore di nuovi procedimenti iscritti nel triennio.


Un’opportunità di impegno responsabile per il bene comune

“Dal 1996 – commenta Libera – la restituzione alla collettività de patrimonio sottratto alle organizzazioni criminali è diventata un’opportunità di impegno responsabile per il bene comune. La dimensione etica dei percorsi scaturiti dalle esperienze di riutilizzo per finalità sociali si trova, infatti, nella corresponsabilità. Quella corresponsabilità che ha trasformato quei beni da esclusivi a beni comuni e condivisi.

Il grande cambiamento

Raccontare quello che avviene ogni giorno sui beni confiscati alle mafie vuol dire raccontare il cambiamento continuo. Un cambiamento che ha come obiettivo prioritario quello di dare vita a nuove pratiche di economia e di sviluppo sostenibile“. I risultati raggiunti in termini di aggressione al patrimoni delle mafie, e le numerose esperienze positive di riutilizzo sociale, richiamano l’attenzione sulle criticità. Criticità ancora da superare e sui nodi legislativi ancora da sciogliere che richiedono uno scatto in più da parte di tutti.

Proposte

Per queste ragioni, chiediamo con urgenza e rilanciamo una serie di proposte. In primo luogo, prevedere l’attuazione della riforma del Codice Antimafia del 2017 nelle sue positive innovazioni. Contestualmente, assicurando una gestione efficiente dei beni. Una buona gestione che vada dalla fase del sequestro fino alla confisca definitiva. Ma, soprattutto, che si svolga con una maggiore celerità nelle procedure di destinazione. Non solo. Anche nell’attribuzione di adeguati strumenti e risorse agli uffici giudiziari e all’Agenzia nazionale.
Rendere il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati +uno strumento di crescita e sviluppo economico per le comunità territoriali, tramite adeguate forme di progettazione partecipata e di collaborazione tra Enti locali e terzo settore.

Maggiore trasparenza


Aumentare la trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni, attraverso la piena e completa accessibilità alle informazioni riguardanti i beni confiscati. Ciò affinché sia da stimolo per la partecipazione democratica dei cittadini e delle cittadine.
Utilizzare una quota del Fondo unico giustizia, delle liquidità e dei capitali sequestrati e confiscati a mafiosi e corrotti. Un’operazione fatta al fine di sostenere il percorso di destinazione e di assegnazione dei beni confiscati. Ma anche per promuovere forme di imprenditorialità giovanile, di economia sociale e mutualismo. Evitare che tanti beni immobili possano rimanere “accantonati”, in attesa delle verifiche dei crediti in buona fede, e successivamente destinati alla vendita. Tutelare il lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate, sostenendo la rinascita di queste esperienze e la loro continuità produttiva. Tutto ciò anche attraverso la costituzione di cooperative promosse dagli stessi lavoratori.


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