Recuperata la memoria storica di Quintino di Napoli, fra i protagonisti dell’avanguardia artistica insulare del secondo ‘900, grazie all’antologica di sue opere pittoriche e scultoree allestita alla galleria XXS di via XX Settembre
di Salvo Ferlito*
Essere scientemente immersi nel flusso della contemporaneità pur mantenendo un vincolo indelebile con le categorie estetiche della terra avita.
E’ stato questo il connotato saliente che ha contraddistinto l’ideare e agire artistici di Quintino di Napoli: artista siciliano d’avanguardia, che nel corso della seconda metà del ‘900 ha saputo coniugare qualitativamente le esigenze di ricerca e sperimentazione preminenti nel panorama artistico internazionale con quel gusto e quell’attenzione per il dato di natura che da sempre animano e tipizzano le arti visuali isolane.
Cosmopolita e filoneista, e al contempo depositario d’una rilevante tradizione familiare, Quintino di Napoli ha pertanto incarnato una tipologia d’intellettuale e d’artista per più versi assai rara e inusuale alle nostre latitudini, riuscendo infatti a contemperare l’agognata apertura verso il nuovo e il mirato recupero del retaggio artistico insulare. Pioniere della cinematografia documentaristica (fra i fondatori della Panaria Film), grafico, pittore e scultore, di Napoli si è non a caso distinto per la non comune capacità di esaltare la pregnante vis ottica della materia autoctona (sabbia, pietre, rocce), senza però indulgere a consuete e obsolescenti tentazioni figurali, ma ricorrendo piuttosto a soluzioni sintattiche e linguistiche mutuate dalle coeve correnti d’avanguardia (dall’astrazione geometrica allo spazialismo e all’optical art), sì da pervenire a una perfetta e singolare crasi visuale fra fedeltà naturalistica e pulsione innovativa. Non può quindi sorprendere che tutta la produzione pittorica dei primi anni ’60 sia percorsa da un continuo riferirsi al mare, alla terra e al cielo di Sicilia (Orizzonte 1964, Cerchi concentrici 1965, Campo siderale 1965), ma sempre in una essenzialità estrema e minimale, come a voler depurare il violento dato di natura fino a farlo precipitare sulle superfici quale mero sublimato di valenza allusiva. E tutto ciò grazie ad un’armonica ed equilibrata mistura di materie scabre ed escrescenti (ponderati inserti di sabbia e di conchiglie) e di controllati e tonali cromatismi (prevalenti monocromi o accostamenti per lo più binari di colori), a testimoniare la fattiva possibilità di intrecciare l’innovazione linguistica e il senso di appartenenza ad un preciso contesto storico e geografico.
Un rapporto, quello fra adeguamento al nuovo e persistenza di elementi ancestrali, che si esplicita in tutta la sua plastica evidenza nei perimetri dell’attività scultorea, ove l’apertura alla contemporaneità avviene (forse ancor più che nei dipinti) nella piena esaltazione dell’intrinseca beltà della materia siciliana. Già le ardesie incise nel ’60 davano chiara indicazione d’una non comune capacità di valorizzazione delle potenzialità insite nei materiali scelti; ma sono soprattutto le pietre, i tanti sassi di Sicilia ad hoc selezionati e lavorati (Sasso intarsiato con avorio e corallo 1981, Cometa di Halley I 1982, Sasso falciato I 1989, Lava di fuoco 1993), a dare la misura d’un pensare e d’un agire tipici d’un artista realmente in grado di coniugare retaggio personale e influssi cosmopoliti. Nessuna artificiosa e stucchevole manipolazione, in queste irretenti e fascinose opere, ma una rara attitudine alla enucleazione della “naturale” vis estetica, attuata attraverso semplici composizioni-scomposizioni geometriche o ben mirati inserti di vario tipo (madreperla, avorio, corallo, vetro o pigmenti). Piccoli capolavori di ingegno artistico, atti non solo a storicizzare un percorso individuale, ma primariamente a testimoniare un’assoluta attualità (e non una semplice “temporaneità”) che vada al di là dei vincoli del tempo e della mummificazione storiografica
*critico d’arte