L’attività estrattiva di idrocarburi rappresenta uno dei settori più complessi che ha attraversato nei decenni l’intero globo terrestre. Dai semplici dibattiti politici alle guerre sanguinarie e, nel mezzo, tanto e tanto altro ancora. Una panoramica globale dell’attività per confonderci ‘in toto’ le idee
Servizi di Clara Di Palermo e Patrizia Romano
Idrocarburi sì. Idrocarburi no. Questo il dilemma che da decenni, ormai, affligge i paesi europei che li possiedono nel proprio sottosuolo. Questione ambientale, economica, politica? Sicuramente tutte quante le ‘querelle’ che ruotano attorno al grande fenomeno dell’estrazione di idrocarburi rappresentano, nel loro insieme, uno degli aspetti più complessi che ha attraversato nei decenni l’intero globo terrestre. Dai semplici dibattiti politici alle guerre sanguinarie e, nel mezzo, tanto e tanto altro ancora: tutto, in nome dell’oro nero.
In Italia, poi, a tutto questo si aggiungono informazioni spudoratamente pilotate o disinformazione totale. Entrambe, comunque, generano tanta, ma, veramente, tanta confusione.
Non è facile, dunque, neanche per gli organi di informazione più intransigenti, informare con obiettività, senza rischiare di generare ulteriore confusione tra i lettori. Per non cadere in faziosità e, soprattutto, per dovere di cronaca, cercheremo, viste le circostanze (imminente referendum ndr), di mantenere un atteggiamento neutrale, in primo luogo circoscrivendo la nostra analisi alla Sicilia.
Intanto, cominciamo col dire che lo sfruttamento dei giacimenti in mare, per quante cautele possano adottarsi, metterebbe, il condizionale è d’obbligo, a rischio uno dei principali patrimoni naturalistici italiani, nel nostro caso, il Mediterraneo, con un impatto pesante sul turismo e sulla pesca, oltre a qualche rischio di salute cui vanno incontro gli abitanti del luogo.
Ma quanto questo accade realmente? Proprio questa rappresenta l’annosa questione che divide la popolazione comune, escludendo, naturalmente, quei soggetti che dall’estrazione degli idrocarburi, petrolio in primo piano, traggono ingenti interessi esclusivamente a proprio consumo.
Vogliamo, in questa sede non calarci nel vivo del referendum del 17 aprile, sul quale apriremmo, a poche ore dal voto, un dibattito inutile, nonché già ampiamente dibattuto e, sul quale, non ci resta che stendere un velo pietoso. Cercheremo, pertanto, di analizzare gli aspetti generalistici che riguardano l’estrazione di idrocarburi e le ‘discutibili’ conseguenze dello sfruttamento, a torto o a ragione, dei giacimenti marini.
Aspetto ambientale – Il parere degli ambientalisti
L’impatto ambientale, nel nostro Paese è l’aspetto che ha spaccato di più l’opinione pubblica. Opinione che i cittadini sono chiamati a esprimere soltanto in occasione del referendum, con la disinformazione di cui accennavamo prima. Per il resto, la vera scelta è rimessa allo Stato, esclusivo proprietario del territorio sul quale ricadono i giacimenti, e le compagnie Oil & Gas.
Secondo autorevoli associazioni ambientaliste, come Lega ambiente, Wwf, Greenpeace, eccetera, un eventuale incidente, dal punto di vista ambientale, potrebbe causare danni alle coste siciliane incalcolabili, così come devastanti potrebbero essere gli effetti che anche piccole quantità di greggio disperso in mare potrebbero avere sulle coste.
Il mar Mediterraneo – insistono gli ambientalisti – è un mare chiuso; un solo incidente, quindi, basterebbe a distruggere tutto per centinaia d’anni! La sola perdita fisiologica della raffineria, moltiplicata per il numero totale dei pozzi, non sarebbe più trascurabile, ma avrebbe di certo un impatto sull’ambiente circostante.
Le ricerche si stanno estendendo in altri territori, inclusi luoghi protetti e ad alto rischio sismico, quindi con gravi conseguenze sulla salute e sull’ambiente, così come in aree marine notoriamente sismogenetiche, cioè in grado di produrre terremoti. In particolare, sono le aree sul cui fondo soggiacciono vulcani ancora attivi, ma non visibili perché sommersi dalle acque. Nei nostri mari ne esistono 12; tutti sottoposti a continui bombardamenti in nome dei ricchi giacimenti.
Nel 2010, e queste non sono considerazioni degli ambientalisti ma cronaca, il governo Berlusconi firma un piano di monitoraggio subacqueo dei vulcani sommersi nel mar Tirreno e nel canale di Sicilia. Un piano che prevedeva una precisa localizzazione dei vulcani e uno studio approfondito degli stessi, prima di procedere alle trivellazioni. Un piano, quindi, mirato a prevenire i rischi di possibili tsunami. In barba al piano di prevenzione, però, sono state concesse numerose autorizzazioni, che hanno consentito alle varie società petrolifere di procedere direttamente alle operazioni di perforazione.
Un danno ambientale ed economico – dicono i sostenitori dell’ambiente – per creare nuovi pozzi petroliferi, destinati a esaurirsi in breve tempo.
Sembra, infatti, anche se le informazioni anche qui sono discordanti, che le riserve di petrolio si stiano esaurendo. Per questa ragione, secondo dati riportati dai dossier prodotti dalle associazioni ambientaliste, in particolare Lega Ambiente, le compagnie petrolifere stanno utilizzando nuovi metodi di estrazione, costosissimi. Tra queste, il fracking, ovvero la frantumazione delle rocce in profondità, mediante iniezioni di sostanze chimiche, infiltrate ad alta pressione.
Ma come stanno le cose, in realtà? C’è altro petrolio e altro metano da sfruttare? Alcuni esperti dicono di sì. Nomisma Energia, per esempio, la società di ricerca in campo energetico e ambientale, afferma che in Italia ci sia una dorsale del petrolio e del gas che parte da Novara, si estende lungo l’Appennino fino in Calabria e in Sicilia. E dicono, pure, che la produzione potrebbe facilmente raddoppiare. Basterebbe perforare dove già si sa che gli idrocarburi ci sono. Secondo l’Eni, Ente nazionale idrocarburi, per cercare petrolio e gas, una volta venivano fatte anche 700 trivellazioni l’anno. Adesso ne bastano soltanto 5.
Referendum. Dentro gli interessi economici
Se tanti dubbi sull’estrazione di gas e petrolio sorgono attorno alla questione ambientale, non pensiamo possano sorgerne attorno alla questione economica. Qui, crediamo di non avere dubbi: il settore delle estrazioni di petrolio e gas è in assoluto tra i più a rischio corruzione, con un tasso del 25 per cento di corruzione percepita (dato Trasparency). L’alta propensione alla corruzione nel settore delle estrazioni di gas e idrocarburi è dovuta principalmente alla sproporzione tra la forza contrattuale ed economica messa in campo dagli operatori economici titolari e/o gestori degli impianti e la debolezza politica ed economica dei territori dove questi impianti insistono concretamente. Meccanismo perverso che alimenta disuguaglianze e ingiustizie sociali.
In Italia, prendendo in esame i principali scandali degli ultimi anni, sono state almeno un centinaio le persone indagate (e in alcuni casi già condannate) per reati ambientali e sanitari e 92 quelle sotto indagine per reati legati a corruzione, truffa e frode fiscale, per un totale di 200 persone, circa, tra cui molti alti dirigenti e funzionari, per non parlare, poi, degli imprenditori.
Sono molte le storie emblematiche che viaggiano tra illegalità, corruzione e inquinamento ambientale. Il Centro Oli di Viggiano, di Tempa Rossa (Pz), Augusta (Sr), la vicenda relativa alla piattaforma Vega A al largo delle coste di Pozzallo (Rg), la storia delle raffineria di Gela, di Cremona e di Livorno.
Referendum. Aspetto occupazionale
Abbastanza incerti i dati sull’occupazione del settore delle trivellazioni: Assomineraria, l’associazione delle industrie di settore, ha più volte sostenuto che l’intero comparto occupa di 13mila persone; la Filctem, la federazione dei lavoratori chimici della Cgil, sostiene che ci sono circa diecimila addetti solo a Gela e Ravenna. Sarebbero, invece, novemila gli occupati in tutto il settore, tra piattaforme e a terra, stando ai dati comunicati da Isfol, ente pubblico di ricerca sul lavoro. Certamente, sulle piattaforme si lavora tanto e si lavora a ciclo continuo, ma le nuove tecnologie consentono anche di svolgere una parte del lavoro in remoto.
Nel dibattito si inserisce il Presidente di Confcommercio Catania, Piero Agen, che afferma che il futuro ci impone di guardare ad altro. “Confcommercio Catania ha condiviso la linea del voto, innanzi tutto e del Si come scelta – dice Agen -. Dovremmo guardare alle nuove fonti rinnovabili su cui c’è ancora tantissimo da scoprire per puntare sul lavoro per i nostri figli e su un futuro migliore! Il turismo è la nostra carta vincente – ribadisce Agen – e, notoriamente, non ha molto a che vedere con il petrolio, peraltro, poco presente in Italia”.
L’attività estrattiva e la pesca
Nel sentire vari pareri, con l’intento di offrire un quadro più chiaro possibile, non siamo riusciti ad avere una posizione ufficiale da chi dal mare riceve tanto, ossia i pescatori.
Chiacchierando con alcuni esponenti del settore della pesca, questi, a titolo assolutamente personale, ci hanno detto che il referendum per loro è più un fatto politico che altro. Perché paradossalmente, ed è una considerazione che fa riflettere, dato che attorno alle piattaforme delle trivelle non si pesca, lì i pesci si riproducono in quantità e, una volta grandi, si spostano e vanno a ripopolare altre zone del mare. Pertanto, per la pesca non costituiscono un problema, semmai un aiuto, in quanto diventano questi delle “camere di gestazione”.
Qualcuno più polemico, suggerisce che gli ambientalisti, dopo anni di lotta alla pesca, accusata di uccidere indiscriminatamente la fauna marina (come fu per le spadare, ndr), adesso si nascondono dietro ai pescatori strumentalmente, solo per ragioni di posizioni politiche.
Chiudiamo con una provocazione: ma avete idea di quanti posti di lavoro darebbe la dismissione e, quindi, lo smantellamento, di piattaforme e trivelle?