La riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi reca con se un potente elemento di discriminazione tra cittadini, che si collega al crescente divario tra Nord e Sud, con gli effetti di desertificazione culturale, sociale ed economica in atto nella Società meridionale.
di Gaetano Armao*
La riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi reca con se, tra le diverse e gravi anomalie che la dottrina ha generosamente evidenziato, un potente elemento di discriminazione tra cittadini, che si collega al crescente divario tra Nord e Sud, con gli effetti di desertificazione culturale, sociale ed economica in atto nella Società meridionale.
Tali effetti, determinati dalle politiche economiche degli ultimi quattro anni, hanno aggravato la crisi di competitività e la marginalizzazione del Mezzogiorno rispetto all’Europa e appesantito il divario interno del Paese.
Sul divario sociale ed economico si innesta adesso la riforma costituzionale voluta dal Governo, che in autunno vedrà partecipare gli italiani al referendum confermativo, la quale, se da un lato non ha introdotto alcun elemento perequativo che pur era presente nella Costituzione entrata in vigore nel ’48 (ma poi eliminato dalla revisione voluta dal PD nel 2001), pone le basi per un consolidamento del divario anche nella rappresentanza dei territori.
La confusionaria riforma del Senato prevede, infatti, la riduzione a 100 del numero dei Senatori, dei quali 95 rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Dei 95 senatori nominati su base elettiva, 21 sono scelti tra i sindaci, e gli altri 74 nell’ambito dei Consigli regionali, sulla base delle indicazioni degli elettori.
Il numero dei senatori assegnati a ciascuna regione è correlato al peso demografico, ma con il limite minimo di due senatori per Regione.
Mentre il riconoscimento al Presidente della Repubblica della nomina di ben 5 senatori gli conferisce un potere equivalente alla rappresentanza che hanno circa 4 milioni di cittadini, con effetti incisivi anche sugli equilibri politici di quella Camera.
Dalle richiamate previsioni della revisione costituzionale deriva una grave discriminazione nei confronti dei siciliani e dei sardi che perdono rappresentanza parlamentare in favore degli italiani delle regioni speciali del nord.
Discriminazione che non si sarebbe realizzata in termini così marcati, ad esempio, riducendo anche il numero dei deputati (mantenuto inalterato) e lasciando a 200 quello dei senatori, in modo da mantenere immutato il numero complessivo dei parlamentari della Repubblica raggiunto dalla revisione costituzionale.
Ma andiamo ai numeri: senatori assegnati con la revisione Renzi
Valle d’Aosta, ab.126.806 2 (1+1)
Prov Bolzano, ab. 504.643 2 (1+1)
Prov Trento, ab. 524.832 2 (1+1)
Friuli-VG, ab. 1.218.985 2 (1+1)
Speciali del Nord (ab. 2,3,m) senatori 8 (1 ogni 287.000)
Sicilia, ab. 5.002.904 7 (6+1)
Sardegna, ab. 1.639.362 3 (2+1)
Speciali del Sud (ab. 6,6 m) senatori 10 (1 ogni 660.000)
Senatori assegnati attualmente
Valle d’Aosta, ab.126.806 2 (1)
Trentino AA., ab. 1.025.000 (7)
Friuli-VG. Ab. 1.218.985 2 (7)
Speciali del Nord (ab. 2,3,m) senatori 15 (1 ogni 153.000)
Sicilia, ab. 5.002.904 7 (25)
Sardegna, ab. 1.639.362 3 (8)
Speciali del Sud (ab. 6,6 m) senatori 33. (1 ogni 200.000)
Come si può agevolmente cogliere da questi dati, la confusionaria riforma Renzi, che mantiene in vita il bicameralismo, rendendolo claudicante, invece di invertire la tendenza, rafforza e consolida il divario nel Paese.
Se si riporta la proporzione sulla rappresentanza politica riconosciuta a un cittadino di Bolzano e a uno di Palermo i risultati sono ancor più sorprendenti:
– nel primo caso 250.000 cittadini saranno rappresentati da un senatore,
– nel secondo saranno 714.000.
Sicché, un cittadino di Bolzano conta nella rappresentanza al Senato poco meno di tre volte di uno di Palermo.
Computando i componenti medi per nucleo familiare in Sicilia (2,51) una famiglia siciliana, facciamo di Siracusa, gode di una rappresentanza minore di un simpatico abitante di Merano.
Se si considera il divario economico (dati ISTAT 2013) rinveniamo proporzioni per certi versi simili.
Il Pil pro capite di Bolzano si attesta 37 mila Euro contro quello di Palermo che raggiunge appena i 16 mila 800 Euro, il primo è più del doppio del secondo.
La discriminazione della rappresentanza così supera, addirittura, il divario economico esistente e purtroppo crescente tra Nord e Sud del Paese.
Basti ricordare che – come precisato da Svimez nell’ultimo rapporto presentato solo qualche giorno fa (http://www.svimez.info/images/COMUNICATI/2016/2016_05_20_competitivita_com.pdf) – il Sud registra un forte divario nella maggior parte degli indicatori di competitività rispetto alla media europea. In particolare, nelle infrastrutture il Sud si è fermato nel 2013 a 41,6, registrando così un calo di 4 punti percentuali rispetto al 2010, mentre il Nord e’ cresciuto nello stesso periodo da 48,6 a 50. Ancora più rilevante è il deficit nella qualità delle istituzioni meridionali che si attesta a 36,6 contro il 51,4.
In breve, riconoscendo maggiore rappresentanza ai cittadini delle Regioni ad autonomia differenziata del Nord rispetto a quelle del Sud, che peraltro sono isole, la riforma Renzi ne altera la legittimazione politica, li discrimina e consolida anche a livello politico il crescente divario Nord-Sud (si pensi allo sbilanciamento verso Nord delle decisioni che saranno assunte dal Senato), riconoscendo così sul piano della rappresentanza politica i drammatici esiti di scelte perpetrate sul piano economico.
In questo modo, invece di rafforzare il ruolo dei territori insulari, sempre più deboli, favorendo la coesione economica, sociale e territoriale, questa raffazzonata riforma consolida quella delle regioni più ricche, e così rafforzando le tendenze in atto all’emigrazione intellettuale, la desertificazione culturale ed imprenditoriale del Sud ed in particolare delle Isole.
È vero che la variabile maggioranza governativa, dopo l’endorsement conseguente alla rottura del ‘patto del Nazareno’, ha avuto necessità di voti in Senato per l’approvazione della riforma costituzionale e quelli dei partiti regionali (del Trentino A.A. e se.la Val d’Aosta) sono risultati determinanti, ottenendo così il massimo risultato per la rappresentanza del loro territorio.
Qualcuno potrebbe affermare che, ad esempio, negli U.S.A. il numero dei senatori è sempre di 100 e che ne sono assegnati due per Stato. Ma non si può dimenticare nella democrazia americana il Senato è costituito con forti connotati compensativi poiché gli Stati Uniti sono uno Stato federale. Mentre la revisione costituzionale del Governo Renzi tende a ridurre notevolmente le competenze legislative delle Regioni (in prospettiva anche per le speciali, quantomeno con l’applicazione della c.d. “Clausola di supremazia”), concentrandole a livello statale.
È quindi fuorviante il riferimento alla democrazia americana cui ricorrono i sostenitori di Renzi.
Se ne deve dedurre che la combinazione degli effetti della riforma sul piano delle competenze e del peso nella seconda Camera, squilibrato in favore delle Regioni speciali del nord, marca ancor di più l’impatto delle differenze territoriali sulle decisioni legislative.
Va poi ricordato che con la legge elettorale approvata lo scorso anno (l.6 maggio 2015, n. 52 c.d. ‘Italicum’) si prevede che i capilista siano scelti dai partiti in un numero abnorme di circoscrizioni (10), è quindi plausibile ritenere che in molti casi saranno fatti eleggere alla Camera nelle circoscrizioni regionali anche candidati che non hanno alcuna relazione con il territorio.
Ne deriva un sistema che, nel raccordo tra riforma costituzionale e legge elettorale, penalizza fortemente la rappresentanza territoriale.
*Docente di diritto amministrativo nell’Università di Palermo