Nel poema “L’ultimo viaggio”, Giovanni Pascoli immaginava che il furbo Ulisse, dopo essere tornato ad Itaca, non potesse non sentire il bisogno di “ripercorrere” il proprio viaggio a ritroso, alla ricerca del proprio passato e a riprova del suo significato; mette così fine al viaggio schiantando la nave contro le mute Sirene, ormai pietrificate e trasformate in scogli proprio a causa del fallito sortilegio contro il giovane Ulisse.
di Giovanna Calabretta
Non ci sembra casuale, quindi, che l’ultima tappa espositiva della mostra personale di Benedetto Poma dal titolo “ Le sirene di Ulisse” sia proprio la città di Cefalù, scrigno e contenitore delle pietre incise che furono muse silenziose di questa medesima mostra.
L’autore catanese racconta infatti che, proprio davanti alla collezione glittica, custodita ed esposta nel Museo Mandralisca di Cefalù, ha trovato l’ispirazione per la realizzazione delle opere, esposte inizialmente presso la Galleria KoArt di Catania (a cura di Dora Marchese), successivamente presso la Fondazione Mazzullo di Taormina (a cura di Carmen Bellalba) e attualmente presso l’Ottagono di Santa Caterina di Cefalù (a cura di Rosalia Liberto). La mostra vede quindi il “viaggio” come elemento espositivo fondamentale, che ha nutrito la stessa collezione, incrementandola (inizialmente le opere esposte a Catania erano 10, per poi diventare 15 a Taormina e infine 24 a Cefalù).
Le opere, esposte presso l’ex chiesa di Santa Caterina d’Alessandria di Cefalù, sono state poste attorno alle gemme, alcune delle quali, costituiscono fisicamente il centro geometrico della mostra: esposte in un totem nel cuore della grande aula, mentre sul pavimento un testo in circolo riporta il passo dell’Odissea in cui compaiono le Sirene. Alla nostra domanda perché proprio le sirene, Poma risponde che sono, a suo parere, “le figure femminili emblematiche del desiderio che è destinato a rimanere inappagato”.
La gemma, come un cammeo, entra a far parte dell’apparato decorativo d’impronta liberty: in “Medusa” serve ad impreziosire l’elsa della spada che sarà strumento di morte della creatura mitologica (raffigurata con tratti somatici presi in prestito dalla stessa curatrice); in “Ares” diventa gioiello incastonato sul bracciale che arma l’avambraccio, ai piedi di Afrodite diviene ciottolo sulle rive del mare da cui nacque mentre il “Centauro” lo indossa come pendaglio al polso della mano che regge un violino senza corde. I temi sono quelli classici del mito, che si nutrono della letteratura greca e romana, andando a ritroso in una ricerca figurativa che nasce principalmente dalla linea e dal disegno, molto grafica nel tratto mentre il segno viene affiancato dall’uso sfumato del colore, come fosse un affresco scolorito dal tempo e dal decadimento della materia.
Le figure dalle forme umane nella maggioranza dei pezzi, sono inanimate statue di marmo bianco, divinità fredde e frammentate, su cui in primo piano si staglia o una natura morta, o un “mimo”, un saltimbanco, una sirena; come fossero attori di un piccolo teatrino, tanto caro a quell’estetica barocca che traspare in tutta la produzione in catalogo. Il barocco, in generale, attinge al repertorio classico, all’uso del simbolo, della metafora e dell’allusione al mito o al sogno: l’imitazione della natura diventa così finzione e messa in scena. Il barocco di Poma è un omaggio alla pietra antica che, come materiale di spoglio, viene decontestualizzata e rigenerata a materiale scenografico di antiche favole.
Ci chiediamo se può questo piccolo e delizioso mondo antico, farsi carico del presente. Può definirsi contemporanea quell’arte che replicando figure classiche, propone copie di copie di un mondo estinto, conservate come residuo di un pensiero ormai quasi impensabile? Non abbiamo una risposta. Quello che possiamo dire è che l’indole conservativa di un museo già di per se stessa dovrebbe farsi garante di una perpetua memoria: e nell’attimo in cui il “presente”, in veste di visitatore, si muove davanti a teche espositive, in quel preciso contesto spaziotemporale, avviene il contatto tra la storia e la vita. Questo “contatto” può divenire quindi materia da rielaborare per nuove esecuzioni – come nel caso di Poma – tenendo bene a mente che il “contemporaneo” in arte si riferisce comunque ad un tempo che si svolge “contemporaneamente” al presente – tangibile o metafisico – dell’autore dell’opera.
E in riferimento al pretesto che ha dato vita a questo viaggio, ci sembra doverosa una considerazione: i musei sono ricchi di collezioni di reperti e oggetti antichi che, anche se esposti, raramente vengono fruiti in seno alla propria unicità, riuscendo a “rivivere” e ad entrare nel presente pallidamente, solo per essere “parte” di una collezione. Quello che il Museo Mandralisca ha messo in atto con il nuovo allestimento per le gemme incise della collezione Pirajno (studiate e pubblicate nel 2014), a nostro parere, è la chiave di volta di un interessante approccio con la nostra storia e con l’arte che abbiamo ereditato.
Adoperando le parole della professoressa Maria Clara Ruggieri Tricoli, siamo dell’idea che “non basta, alle volte, conservare le cose in una bella vetrina, se non c’è (…) un meccanismo comunicativo che le faccia tornare nuove e intere (…), che le faccia tornare in uso”.
E le gemme, incastonate nelle tele dipinte da Poma, uscendo da un museo noto principalmente per il capolavoro di Antonello da Messina, diventano testimonianza di una strategia museale che si sta dimostrando palesemente efficace.
Le Sirene di Ulisse di Benedetto Poma
a cura di Rosalia Liberto
Ottagono di Santa Caterina, Piazza Duomo, Cefalù
29 settembre- 20 ottobre 2016
tutti i giorni dalle 10 alle 22
testi in catalogo: Carmen Bellalba, Rosalia Liberto; Dora Marchese, Aurelia Nicolosi
Catalogo: Edizioni Mandralisca