di Aldo Gerbino
Imbattersi nell’ottocentesca “Guida pratica di Palermo” del vivido Enrico Onufrio, consente di scoprire, nel capitolo “La città”, come tal Enrico Ragusa, allora proprietario dell’albergo Trinacria, esercizio non più esistente e in quel tempo luminosamente affacciato nella baia della città fenicia, possedesse anche l’Hotel des Palmes. Il signor Ragusa, albergatore ed entomologo di fine Ottocento, è un colto e gioviale signore il quale, con fare invitante e persuasivo, prometteva ai viaggiatori alla conquista della ‘città felicissima’, – che s’erano allontanati dai territori aspri del nord, e soprattutto fuggiti dalla “bruma” e dalla “nebbia”, – di soddisfare unicamente, a favore di tali drappelli di “assiderati e rattrappiti”, quel loro sano desiderio di “scaldarsi al sole”. Proprio a loro l’illuminato padrone – sottolinea Onufrio – si rivolgeva con parole che suonavano così: «Dove volete alloggiare? Che n’ho per tutti i gusti. Se preferite un bagno d’azzurro, venite all’Hotel Trinacria. Dalle sue terrazze, dove si arrampica l’ellera e fioriscono gli oleandri, potete inebriarvi allo spettacolo del mare che si stende ai vostri piedi. Quel mare è sempre azzurro, è sempre sereno. Il sole lo inonda perennemente dei suoi raggi biondi. Il barcaiolo lo percorre con l’agile barchetta, e canta. In fondo, due isolette, Alicudi e Filicudi, si perdono nell’azzurro e nella luce. A destra il Capo Zafferano risplende cupamente al sole, con le sue balze turchine. A sinistra, al di sopra della bianca città, si rizza Monte Pellegrino, brullo e severo.» Poi vi aggiungeva, trasportato da una gioiosa partecipazione verso lo scenario naturalistico offerto dal luogo: «Se l’azzurro vi dà ai nervi, venite all’Hotel des Palmes. È un altro albergo di mia proprietà, fuori porta, in una strada silenziosa, immerso in una dolce solitudine. Non fo per dire, ma è un ottimo albergo. Invece che un bagno d’azzurro, potete prendervi un bagno smeraldino. Il verde vi è sparso, qua e là, a iosa. In un vago giardino fioriscono i limoni, i cedri e gli aranci. In un’immensa stufa le piante esotiche crescono timidamente, al calduccio. In una splendida villa si rizzano superbamente le palme, rosseggiano gli oleandri, le acque zampillano dalle fontane di marmo.»
Certo, l’entomologo e albergatore Ragusa non poteva sospettare che, proprio alle ‘Palme’, nel primo trentennio del secolo successivo, avrebbe avuto esercizio una magnetica quanto inquietante attrazione nei confronti d’una umana ‘bizzarria’, per usare un termine caro a Mario Praz, e che avrebbe condotto anche a tragici esiti. Ad esempio, nel novembre del 1926, l’hotel accoglie l’eccentrico parigino Jaques Rigaut, un dadaista tossicodipendente di 28 anni, deciso a non fare più ritorno a Parigi, col proposito di porre fine, anzitempo, ai suoi giorni terreni; non riuscendo nell’intento, arriverà persino a fingersi morto pur di evitare un ricovero terapeutico in Svizzera. Una pallottola da lui accortamente preparata gli trapasserà, per sua millimetrica volontà, il cuore, appena tre anni dopo la teatrale esperienza palermitana. Ancor più eclatante è il fatto occorso a Roussel, gotico intellettuale parigino, nell’afosa notte tra il 13 e il 14 di luglio del 1933, proprio nella pienezza del Festino in onore della Santuzza. La stanza numero 224 delle ‘Palme’che sporge, dal secondo piano, su via Ingham, è occupata dall’inquietante scrittore Raymond Roussel. Intorno alle dieci del mattino, sarà il facchino Antonio Kreuz a scoprirne il cadavere steso su di un materasso abbandonato sul pavimento. Roussel, sbarcato dalla motonave ‘Città di Napoli’ il 4 di giugno al molo palermitano di Santa Lucia, è accompagnato dallo chauffeur e dall’insinuante Marie Charlotte Fredez, alias Charlotte Dufrène, e, con loro, prenderà alloggio alle Palme.
La vicenda di Roussel, l’autore allucinato di “Locus solus” e delle “Nouvelle Impressions d’Afrique”, dopo i saggi firmati da Leonardo Sciascia con gli “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel” del 1971, e la “Concezione e realtà in Raymond Roussel” di Michel Leiris del 1975, ci viene più di recente narrata e ri-definita sul piano medico-legale e giudiziario da Antonio Fiasconaro nelle pagine del suo “Morte d’Autore a Palermo” (2013). Queste, calate in una architettura linguistica rastremata per nebulose essenze, si confrontano con le tangibili contraddizioni emerse dai superficiali rilievi della polizia. Siamo, così, ancor più colpiti dal fascino automatico di una vita e d’una scrittura simili, per intensità poetica, a quelle di un Antonio Bruno o ai versi di Mario Scalesi, autore dei “Poemes d’un Maudit’: lo “sciagurato sperduto tra il bestiame umano”. Roussel: “Genio allo stato puro”, così lo segna Cocteau, immerso nella spirale dell’immaginifico, poeta della “etoile au front”, pone quel verso alessandrino proprio della poesia tragica, al centro della sua esistenza, per consegnarlo, infine, al bagno soporoso degli ipnotici. Qui si rafforza la cifra della contraddittorietà, del “merveilleux” e del sentimento crudele dell’esistenza, ma su cui vi aleggia, sempre, e in maniera vorticosa, lo smalto imperscrutabile della grazia.