Un Europa dei diritti, del rispetto delle differenze, che guardi alla riforma della giustizia, che tuteli ogni liberà e ogni diversità. Chi non la vorrebbe. Chi non la auspicherebbe? Un’Europa dove le crisi possano essere fonte di crescita e non di continue guerre, un’Europa più equa, più solidale, più pacifica, più inclusiva.
Basterebbe partire da una fragilità che in pochi vogliono accogliere
«Neanche il 36simo suicidio, quello di una donna di 64 anni che si è tolta la vita nella sua cella del carcere di Torino soffocandosi con un sacchetto di plastica, sembra avere smosso le coscienze. La sua è la condizione che vivono molti detenuti nelle carceri italiane che, se non seguiti adeguatamente, rischiano di esplodere».
Esordisce così Rita Bernardini, che si candida a fare parte del Parlamento europeo con la lista Stati Uniti d’Europa come capolista nella circoscrizione Isole e presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino. Ex membro del Consiglio Generale del Partito Radicale, nel mood della lotta radicale c’è sempre stato lo sciopero della fame. Anche in vista di questo importante appuntamento europeo, non poteva mancare una dimostrazione di così forte protesta.
La proposta di legge sulla Liberazione anticipata speciale, necessaria per ridurre il sovraffollamento nelle carceri italiane, già incardinata alla Camera dei Deputati grazie a Roberto Giachetti e a Nessuno tocchi Caino, era stata sospesa in Commissione giustizia per il voto delle europee. Calendarizzata per il 24 giugno, dopo 28 giorni di sciopero della fame, ha ripreso a mangiare.
Che le condizioni dei detenuti siano disperate è una situazione generale
La Corte europea parla di trattamenti inumani e degradanti anche in virtù del fatto che il personale è poco rispetto al numero di detenuti che si riescono a seguire. Qui non si parla solamente di spazi ristretti nei quali possono muoversi, ma anche del fatto che subiscono le conseguenze di tutta una serie di carenze perché si riducono le attività trattamentali e i detenuti non possono essere curati perchè le liste di attesa sono lunghissime, quindi i problemi crescono a vista d’occhio.
Il carcere è sempre il luogo in cui vengono inviate le persone in disagio sociale
Parliamo di stranieri, tossicodipendenti, poveri, prostitute, anche se queste ultime non sono una percentuale altissima. Chiunque entra in carcere, anche se la sua posizione è ottima nella società, subisce. Ma la cosa certa è che è più facile che in carcere ci finiscano i poveri.
Questo il senso di questo provvedimento sulla liberazione anticipata speciale?
Si, sfoltire le carceri perché ci sono molte persone vicino al fine pena che potrebbero essere reimmesse nella società, ma i vuoti sono enormi. Non si fa un investimento serio sulle misure alternative che permetterebbero di seguirle fuori. Il sistema carcerario ha fallito perché, se l’istituto penitenziare restituisce il 70-80% di recidivi, che tipo di lavoro ha fatto? Ogni anno costa tre miliardi e mezzo a fronte di una spesa complessiva della giustizia di 10 miliardi: il 35 per cento va all’amministrazione penitenziaria, una cifra sbalorditiva se pensi al risultato che otteniamo. Mentre, sulle misure alternative, quindi parlando di misure di comunità, l’investimento si aggira sui 500 milioni. Gli assistenti sociali? Troppo pochi rispetto a quanti necessitano di essere seguiti. Quando, invece, devono occuparsi di una persona in misura alternativa, individualizzando l’evoluzione che hanno avuto nel loro percorso di detenzione, come possono aiutarlo a trovare un lavoro, magari anche risolvendo problemi di famiglia legati al fatto che molti hanno figli con problemi psicologici o anche solo di abbandono scolastico?
Cosa porterà in Europa?
Ovviamente la battaglia sulla giustizia, che è europea. Ci sono situazioni a macchia di leopardo. Per esempio, alcune conquiste che per noi sono ancora lontane, come quella dei rapporti intimi, in Europa sono da tempo una certezza, anche in luoghi dove le carceri sono un obbrobrio, sporche, sovraffollate.
Avete idea di quante telefonate ha a disposizione in Europa un detenuto di media sicurezza? Ne può fare una di un’ora e mezza al giorno, mentre da noi ha solo dieci minuti all’interno delle 24 ore. Mettiamoci nella situazione di chi ha moglie, figli piccoli, genitori. Possono incontrarsi, poi, solo una volta alla settimana sempre per un’ora. Se consideriamo pure che molti detenuti., specialmente quelli dell’alta sicurezza, arrivano da altre regioni, capite bene che tipo di ulteriore isolamento subiscono. Non è questa una battaglia di diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti?
Diritti che vanno garantiti a tutti, qualunque sia la loro condizione sociale. Questo vuol dire puntare a un’Europa inclusiva, solidale, accogliente, con un welfare garantito e che difenda tutte e tutti.
Per Lidia Tilotta, candidata del Pd, la sua chiarezza e trasparenza affonda anche nella sua professione di giornalista, vicecaporedattore di Rai Sicilia, che le richiede obiettività e quella sensibilità necessaria per offrire una narrazione che arriva al cuore.
Partiamo dai giovani. In questa Europa dove si posizionano?
Non esistono i giovani, ma non esistono neanche le donne come abbiamo sempre inteso, nel senso che un ragazzo come mio figlio che sta facendo il dottorato di ricerca a Firenze non sarà mai come un altro giovane che non la possibilità di fare quel che vorrebbe per realizzare la sua vita. In questa considerazione inserisco ovviamente anche i migranti. Io i giovani li ho incontrati nelle scuole dove sono andata portando due libri che ho scritto proprio a questo scopo. Quando tutti, ma proprio tutti, mi dicono “non pensavamo che fosse così”, allora c’è un problema. Per questo dico che dobbiamo riflettere bene su quello che vogliamo dire e fare perché non possiamo rimanere nella nostra bolla, scollati da tutta la realtà.
Il lavoro?
Vogliamo anche un’Europa che sblocchi quell’ascensore sociale che ha garantito chi, come anche me, ha realizzato quel che voleva fare nella vita, senza per forza di cose dovere provenire da famiglie agiate. Serve un patto per il progresso sociale nel senso che dobbiamo garantire il salario minimo europeo. Ci stiamo battendo per la partita di genere che non esiste non solo in Sicilia, anche se nella nostra regione il 30 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici è povero. Si, povero. Non dovremmo allarmarci?
Che Europa contribuirà a costruire?
Nella nostra idea di Europa i diritti sociali senza di diritti civili non vanno bene. La politica non è semplificazione e liquidità, ma è gestione della complessità. C’è chi vuole alzare i muri. L’accoglienza smettiamola di affrontarla come emergenza perché è un fenomeno anche economico, spesso dovuto alle nostre scelte scellerate. Il ruolo dei parlamentari è di occuparsi dei grandi temi facendo in modo che non ci siano derive, ma è anche ascoltare gli elettori, i bisogni dei territori e trasformarli in progettazione per poi riportare tutto alla base. Questo non è certo uno slogan, ma la sintesi di un processo partecipativo che ci coinvolge tutti.
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