Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

L’IDEATORE IRREQUIETO

di Redazione

Due luoghi, una mostra: un genio  a Palermo. L’ampia retrospettiva dedicata a Gino Morici alle gallerie Corimbo (di via Principe di Belmonte 12) e Sarno (di via Emerico Amari 148) dal 25 maggio al 16 giugno.  

di Salvo Ferlito

Un itinerario artistico all’insegna della perenne irrequietezza. Un continuo peregrinare fra generi e linguaggi – quello che ha contraddistinto Gino Morici – in grado di mappare fedelmente non solo il singolo profilo dell’autore, ma di ergersi a puntuale regesto di quanto accaduto nelle arti visive siciliane durante il ‘900.

Grafico, pittore, scenografo, costumista, arredatore, Gino Morici è stato artista versatile e completo, capace di effondere la propria ideatività e sviluppare il proprio gesto in maniera multiforme, però sempre con una resa di notevole inventiva e raffinata qualità.

Il vasto corpus delle sue opere su carta (dai semplici schizzi e divertissement fino ai dipinti completi o ai progetti dettagliati) costituisce per tanto una testimonianza di rilevante valore, atta a ricostruire con accuratezza i suoi personali nomadismi e ad inquadrare il suo operato nella convulsa temperie del secolo trascorso.

Pur nella fedeltà al verbo figurativo, Morici è stato fra quegli artisti isolani realmente capaci di cercare e trovare moduli espressivi fattivamente innovativi, e in quanto tali non più ossequiosi nei confronti d’una tradizione veristica ormai percepita come vieta ed obsoleta.

Proprio i disegni giovanili di fine anni ’20 inizi anni ’30 rivelano un’attenzione per le novità novecentiste di matrice casoratiana (come nel melancolico e assorto menestrello de La follia del 1928 o nell’ascetico e ripiegato San Francesco del 1932) o per certe suggestioni di ascendenza espressionista (riferibili alla grafica di Grosz e Dix o alla cinematografia di Lang, come nell’inquietante scena d’omicidio de La piazza) decisamente in controtendenza rispetto al prevalente conformismo estetico insulare e piuttosto in linea con quanto in atto nel panorama nazionale e in quello centroeuropeo.

Non una semplice imitazione di dettami visuali provenienti dall’esterno, ma una sentita e compiuta capacità di fare propri dei nuovi strumenti lessicali, filtrandoli attraverso la personale sensibilità ed impregnandoli d’una peculiare cifra stilistica.

Il tipico linearismo (dal segno nevrile e guizzante), il sapiente tonalismo delle cromie (dalle articolazioni dei toni seppia della giovanile fase “casoratiana” alle policrome liquefazioni quasi informali della tarda produzione botanica e paesaggistica), la pungente ironia delle narrazioni (ben percepibile nel suo dandistico Autoritratto col gatto o nella serie degli Hidalgos con la loro specifica carica di proiezione soggettiva) sono tutti connotati stilistici che hanno tipizzato l’agire di Morici, emancipandolo da discepolati schematici ed acritici e rendendone a pieno la singolarità psicologica e la cifra di eccentrico protagonista.

Artista completo e al contempo fuori dalle righe, “classico” (di quella “classicità” che è pertinente a chi padroneggi totalmente le tecniche e i linguaggi) e tuttavia “infrattivo” (per quella insofferenza per l’ovvio e  il déjà vu che caratterizza gli ingegni liberi ed irrequieti), Gino Morici è senza dubbio una delle personalità più rilevanti della temperie artistica isolana dell’intero ‘900, degna non solo d’una generica riscoperta, ma d’una capillare e attenta valorizzazione, che possa infine restituirle il ruolo che le spetta nella storia.

Un paradigma cui guardare attentamente ancor oggi, senza la lente distorsiva delle mummificazioni museali o delle pedestri manovre di mercato,  per far comprendere a fondo che cosa significhi essere un vero artista, perfettamente calato nel flusso della propria attualità.

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