Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

L’immigrato e le sue risorse

di Redazione

La sempre maggiore stabilizzazione delle famiglie immigrate ha modificato il quadro complessivo dell’immigrazione in Sicilia, ben lontano dallo stereotipo del migrante che lascia il proprio paese solo per delinquere, a tutte spese dell’economia italiana. Analisi di un fenomeno in crescita

 

di Fabio Vento 

I tragici eventi legati ai recenti sbarchi di profughi africani a Lampedusa hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica, non senza qualche torsione ideologica, il tema del fenomeno migratorio nel nostro Paese. In questo contesto la Sicilia, che pure continua a registrare numeri ben inferiori a quelli propri delle regioni settentrionali, per via delle inferiori possibilità occupazionali, occupa una posizione peculiare. Da ormai più di trent’anni è una porta che dall’Africa introduce in Europa, facendo da ponte fra culture, etnie e religioni profondamente diverse. E già da secoli è crocevia di migranti provenienti dall’Europa, dall’Asia e dall’Africa mediterranee, animati dai più svariati propositi: dal commercio alla ricerca di lavoro, senza contare le fughe da guerre e persecuzioni. 

A documentare con dati e cifre il fenomeno dell’immigrazione in Sicilia concorrono svariati dossier, primo fra tutti il XXII rapporto Caritas e Migrantes (2012), che provocatoriamente, con il titolo ‘Non sono numeri’, dissuade da una lettura meramente statistica. “L’Italia –  dichiara Santino Tornesi, direttore dell’ufficio Migrantes di Messina – ci dà una visione miope dell’immigrazione e propone un modello sociale basato sulla precarietà in cui lo straniero è buono finché serve, e stiamo ancora a discutere sulla cittadinanza ai minori nati in Italia o sul diritto di voto alle amministrative per i regolari”. 

A fine 2011, la Sicilia si attestava intorno al tre per cento del totale degli immigrati in Italia. E’ la Romania, il principale paese di provenienza, con un tasso pari al 17,8 per cento del totale, seguita da paesi come la Tunisia (15,1 per cento), il Marocco (9,6 per cento), lo Sri Lanka (8 per cento), l’Albania (6 per cento) e la Cina (4,6 per cento). Resta l’Europa, comunque, il continente maggiormente rappresentato (39,6 per cento) seguito a ruota dall’Africa (35,1 per cento) e in secondo luogo dall’Asia (20,9 per cento). Palermo, Catania, Messina e Ragusa registrano il più alto numero di stranieri residenti: circa il 70 per cento di tutti i migranti presenti in Sicilia, con una preponderante prevalenza femminile. In particolare, a Palermo è nutrita la presenza di cittadini tamil dello Sri Lanka e del Bangladesh, ma con una sempre maggiore crescita della componente femminile di origine rumena. A Trapani e a Ragusa, prevale la componente tunisina, mentre Agrigento, Caltanissetta ed Enna hanno visto, soprattutto negli ultimi anni, crescere in numero la comunità cinese. 

Per comprendere il contributo delle comunità immigrate al settore del lavoro in Sicilia, occorre incrociare altre due fonti: il rapporto della Banca d’Italia sull’economia siciliana del 2010 e i censimenti Inail relativi al 2008. I cittadini immigrati coprono in Sicilia l’8,6 per cento del totale dei lavoratori in regione: circa la metà di essi sono impegnati nel settore dei servizi, soprattutto a Messina, Palermo e Catania, e in particolare in alberghi, ristoranti e in attività commerciali. Segue l’industria, prevalentemente nelle aree metropolitane e nel settore delle costruzioni, e infine l’agricoltura, concentrata in particolare nei territori di Trapani e Ragusa. Proprio nelle campagne, la crisi economica ha visto i tradizionali lavoratori maghrebini cedere il passo a ‘nuove leve’, più a buon mercato, provenienti dall’est europeo. 

Prevale ancora la forma di lavoro dipendente; sempre più immigrati, però, acquistano casa e danno vita ad imprese che offrono lavoro anche ad italiani: una realtà che investe più delle altre la città di Catania. Una nota di rilievo del report Caritas/Migrantes è che il denaro guadagnato, oltre che ad incrementare il Pil italiano di una misura pari all’11 per cento del totale, è fonte di ricchezza per gli stessi Paesi di provenienza. “Secondo le statistiche – dichiara Tornesi – un cinese in Italia ne mantiene quattro in patria, ma fa ancora più impressione – aggiunge – il dato del piccolo paese del Tajikistan, il cui prodotto interno lordo è composto per il 45 per cento dalle rimesse mandate dai connazionali all’estero.» 

La sempre maggiore stabilizzazione delle famiglie immigrate ha portato, negli ultimi vent’anni, a una veloce crescita del numero di minori di origine straniera, che è passato dallo 0,19 per cento del totale degli studenti in Italia nel 1990, all’8,4 per cento nel 2011. Sono più di 21.000 a frequentare la scuola in Sicilia, pur senza la cittadinanza. “Nonostante molti siano nati qui – conclude Tornesi – e quindi rappresentino la seconda generazione, questi ragazzi non godono degli stessi diritti e delle stesse possibilità dei nostri figli. Anche per questo dobbiamo ripensare al nostro modello di integrazione, basato sull’urgenza, sulla prima accoglienza e sull’esclusione”. 

Un quadro complessivo, com’è facile notare, ben lontano dallo stereotipo del migrante che lascia il proprio paese solo per delinquere, a tutte spese dell’economia italiana. Uno stereotipo che, nelle parole degli organizzatori del dossier, dovrebbe confrontarsi con la nostra stessa memoria storica: anche noi italiani, e siciliani in particolare, siamo stati e siamo tuttora un popolo di migranti.

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