Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

“Limones y Lirios” è la personale firmata da Pedro Cano diretta da Laura Romano.

di Redazione

Oltre trenta acquerelli realizzati dal maestro spagnolo  raccontano, in queste opere prodotte tra il 2012 e il 2013, la delicata pregnanza di un mondo floreale spontaneo e mediterraneo, attraverso gigli, giaggioli e limoni. Il catalogo (elle dizioni), a cura di L. Romano, contiene anche un poemetto inedito sul tema dei limoni di Piero Longo.

 

di Aldo Gerbino

 

Per Lirios tremuli 

Appaiono quali lamelle vibratili: impervie euforie dell’acqua appena addolcite in forma di gigli marini, di bianchi calici nell’attesa d’una qualche stilla d’ambrosia o del moto spregiudicato degli iris silvestri, tutti distribuiti sul pentagramma d’acquerelli che Cano ha disposto per gli occhi, per le mani, per il cuore. Ancor meglio aggettano incerti metabolismi botanici: succhi endolinfatici, sollecitando, in Pedro, il tatto, il contatto, la possibilità di percorrere, per così dire, il tragitto d’una foglia, fino a conquistare un petalo, il bianco furore dell’intimo corpo del fiore, lacerato per destino, fragile sino all’imponderabilità: frantumabile essere, disseccato, turgido, immoto nelle pause tra flessibili respiri. Si raccoglie, da queste immagini, la loro sensibilità organica, la loro sensitività; ecco perché il petalo si concede al volo, al sospiro, al desiderio di ombra proprio partendo dalla luce, oppure immergendosi in quella materia di pena che essi, i gigli, riposti a volte tra iris spontanei e scarni, emanano dalla profondità del loro calice.

Luttuosa pena, si diceva, e che Lorca colse già nell’assolutezza del bianco, quale incombenza di mortale ferita. Ora è il giglio selvatico ad insistere, offerente, sulle tracce in apparenza abbandonate da Pedro Cano: con quel procedere – ritengo – privo d’intenzione; e, proprio per questo, reso incolpevole, innocente, tanto lieve da celarsi alle spalle di una sostanza umbratile, selenica. Eppure in tale levità pare annidarsi il contrario delle lieve trasparenza offerta dagli ectoplasmatici lirios, e, forse in virtù di questo, ci suggeriscono del peso alieno del mondo, di quanto in esso vi giaccia d’irrisolto, di quel taglio inconfondibile che è invece posseduto dall’oscurità. Ecco il fiore: foglie, fusto, pistilli, corolle incise dal palpitare del gesto inconfondibile di Pedro, mosso nel ragguaglio costante di pervadente manipolatore di biologie fatte proprie, assunte per eluizione nel suo corpo, quasi immagazzinate nel suo stesso ordine cellulare.

Sospetto che Pedro conservi nel pensiero primario d’artista questa fragile essenza, tale visionaria e pur sicura fortezza. Mi pare che egli stesso possieda quei movimenti nastici i quali, come per rami e fronde, si dirigono verso un specifica sorgente, un tactismo, nel modo in cui, per altre vie, avviene nei “Fiori di campo” tanto amati da De Pisis, e, per poi far ritorno alla propria area di fuoco, al proprio baricentro in una quiete transitoria. Allora questi lirios s’aprono, se vogliamo, prima d’ogni altro fiore, nel suo animo, così irruente così gentile, per travasarsi nel tono deciso e sentimentale della mano, un presentimento in quel che di sensuale, nella maniera ricordata da Emilio Cecchi, è sepolto nell’ «amore pei fiori», non altro «che un’oscura trasposizione di lirismo sessuale», e che qui appare obliato nel ventre di tali fragili e pur tenaci tessuti, ma anche per quel condividere, come accade nel narciso, una parte consistente dell’albero genico tanto prossimo all’umano organismo.

Ora son gli occhi di Pedro che stanno acquattati dietro l’arco flebile del pistillo cromo, spruzzato di vernice liquorosa, germinale, posto nella contemplazione di una piega, di un sussulto, di ogni possibile erosione, dell’ambigua virginale pellicola, per usare una pertinente aggettivazione dannunziana, in quanto a volte, – son convinto, – proprio nell’iperbole, il tutto si mostra più vero, più tangibile: unico possibile linguaggio come accade per la fioraia Victoria, – il personaggio della Diffenbaugh, – la quale attribuisce ai gigli il senso non orgoglioso della regalità, e ai giaggioli il gesto aperto del messaggio. Messaggeri di regale e casta pregnanza, dunque, i lirios di Pedro si auto-scarnificano sino all’essenziale, ma lasciando sul tappeto tutto quanto è servito per la costruzione del suo tessuto floreale, della sua più antica materialità. Essi si proiettano nel velluto oscuro del viola, mentre con il nero viene sancito il perimetro dei petali, dei sepali, nella volontà di rafforzare quel bianco lattescente appena vergato dall’acqua, o divaricato su di un piano inchiostrato, tra azzurri scoscesi e fondi. Da tale sottrazione Pedro sembra distillarne il valore lirico appena accostato ad un vago eroismo di morte, simile all’immagine consegnataci dalla parnassiana Chimera firmata, nel 1908, dal palermitano Achille Leto, in cui spontaneamente, tra le esistenze, «fiorivan prode di gigli»; qui è l’impronta d’un affetto vaporizzato e necessario, impalpabile e concreto come l’intima visione della sua Región de Murcia. Ora il coagulo è bolla di luminescenza: sono lirios tremuli punti da un bagliore effimero ma penetrante, cui soltanto il diffuso crepuscolo di Blanca riesce, con molta probabilità di memoria, a filtrarne i bisbigli; ma è il tocco di Pedro a discioglierne, per acquarello, la sensualità come dal vetro rosso di lontani versi: quelli che, in Majorca, chiusero per sempre e in limpida cecità l’esemplare dīwān di Hamdis.

La mostra inaugurata venerdì 4 ottobre si protrarrà fino al 30 c.m. E’ visitabile presso la Galleria Elle Arte in via Ricasoli 45, con esclusione della Domenica, ogni giorno dalle 16,30 alle 19,30

 

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.