Sono poco più di un miliardo le persone al mondo che soffrono la fame. A fronte di questa devastante situazione di povertà mondiale, emerge il paradosso dello spreco di cibo. Come trasformare lo spreco in risorsa, attraverso il recupero delle eccedenze.
di Luca Licata
Più di un miliardo di persone, al mondo, soffre la fame. In Italia, poco meno del 13 per cento delle famiglie vive in uno stato di povertà relativa e quasi l’8 per cento in uno stato di povertà assoluta. In Sicilia, la metà della popolazione vive in condizioni di deprivazione, rappresentando la regione con il più alto tasso di povertà dell’intera Penisola. Le cifre riguardano uno stato di povertà relativa e assoluta e, in molti casi, malnutrizione o, addirittura, denutrizione. Insomma, i dati sono veramente allarmanti su tutto il Pianeta.
Lo spreco di cibo
A fronte di questa devastante situazione di povertà mondiale, che si estrinseca prevalentemente nella fame, emerge il paradosso dello spreco di cibo. La FAO stima, al mondo, uno spreco alimentare di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo all’anno in Europa, di 180 kg annui pro-capite in Italia, di 149 kg annui, sempre pro-capite. Ogni anno, finiscono tra i rifiuti quasi 9 milioni di tonnellate di prodotti alimentari.
Più del 30 per cento del cibo in distribuzione finisce nella pattumiera, completando la catena di sprechi che inizia nella fase di produzione, continua lungo la fase di trasformazione, prosegue in quella di commercializzazione, e termina in cucina. In Italia si sprecano mediamente il 17 per cento dei prodotti ortofrutticoli acquistati, il 15 per cento di pesce, il 28 di pasta e pane, il 29 di uova, il 30 di carne e il 32 di latticini. Insomma, sembra che, ogni anno, un terzo della produzione mondiale di cibo venga sprecato. Una quantità che potrebbe sfamare quattro volte gli 805 milioni di persone denutrite sulla Terra.
Le cause dello spreco di cibo
Le cause che determinano le eccedenze di cibo che, poi, si traducono in rimanenze e, quindi in sprechi, sono molteplici. Queste si avvicendano nelle varie fasi dalla produzione alla consumazione. La prima fase in cui si comincia a determinare la prima forma di spreco riguarda la produzione. Una fase compromessa dai limiti tecnologici, dai fattori climatici, dal surplus di produzione, dalle dinamiche slegate tra domanda e offerta e, quindi, impatto sui prezzi. Poi, abbiamo la fase di trasformazione industriale. Anche qui, limiti tecnici di processo, nonché errori nei calcoli previsionali. A questa segue la fase di distribuzione con grosse difficoltà di previsione della domanda, danni al prodotto durante il trasporto e lo stoccaggio. Infine, la fase di consumazione, in cui si riscontra, talvolta, un’eccedenza nell’acquisto, tal’altra un eccesso di porzioni preparate o di dosi utilizzate, ma anche errori di conservazione e di interpretazione delle etichette. Nella sostanza, le cause dello spreco alimentare destinato a uso domestico sono da ricercare, in primo luogo, nell’acquisto di prodotti in quantità superiori al necessario, soprattutto quando il consumatore è attratto da promozioni e offerte speciali. A questo si aggiunge una non corretta lettura delle date di scadenza degli alimenti. Ci si confonde facilmente tra diciture come “da consumarsi entro” o “da consumarsi preferibilmente entro”.
Conseguenze dello spreco del cibo
Il modello economico degli ultimi decenni, basato su un consumismo esasperato, ha permesso al fenomeno dello spreco alimentare di raggiungere livelli insostenibili e, moralmente, inaccettabili. Tutto questo diventa ancora più difficile da accettare se si considera che quanto viene prodotto basterebbe già oggi a sfamare ogni abitante della Terra. Inoltre, disfarsi degli alimenti destinati al consumo produce conseguenze negative sotto il profilo ambientale ed economico oltre che etico. Sotto il profilo ambientale, possiamo dire che nella fase di produzione, c’è uno spreco di risorse idriche ed energetiche utilizzate per la produzione. Sotto quello economico, basti pensare che solo in Europa, si tratta di una perdita di denaro, pari a un valore di circa 37 miliardi di euro e un costo per famiglia di 450 euro all’anno. Insomma, è importante riflettere sul fatto che produrre tutto questo cibo ha richiesto energia, terra, acqua, tempo, carburante, risorse naturali e umane, denaro e una certa quantità di inquinanti per essere prodotto, trasportato, trasformato, confezionato, conservato, venduto, acquistato, nuovamente trasportato e conservato a casa.
Tutti questi processi generano emissioni di CO2 (anidride carbonica), che aumentano ulteriormente se il cibo sprecato si trasforma in rifiuti e che contribuiscono al cambiamento climatico. L’altra conseguenza nefasta dello spreco di cibo si registra sul piano sanitario, dove, a fronte di 1 miliardo, circa, di persone che soffrono di malnutrizione, si conta un numero paragonabile che soffre delle conseguenze dell’eccesso di nutrizione, riportando malattie metaboliche, cardio-circolatorie, eccetera. Ogni anno, nel mondo si stimano 36 milioni di decessi per malnutrizione e 29 milioni di decessi causati da eccesso di cibo.
Trasformare lo spreco di cibo in risorsa preziosa
E’ possibile trasformare le grandi quantità di cibo sprecato in risorsa? Tale opportunità è, sempre più, al centro di numerose iniziative nei paesi sviluppati. Un processo virtuoso che parte dal concetto del riutilizzo delle eccedenze e, attraverso un circuito, arriva alla destinazione delle stesse eccedenze. Tutto ciò è possibile, intervenendo nell’ambito della prevenzione, della redistribuzione, del riciclo, del recupero e dell’eliminazione delle eccedenze. Questi tipi di intervento richiedono, in primo luogo, una valutazione quantitativa delle eccedenze per potere sviluppare i vari piani di intervento. In secondo luogo, accrescere la consapevolezza tra gli operatori investiti nella produzione, motivandoli e coinvolgendoli di più. Poi, migliorare le previsioni relative al consumo del prodotto. Inoltre, bisogna migliorare la progettazione del prodotto, entrando in un’ottica sostenibile. Infine, è importante semplificare, effettuando verifiche e revisioni di gamma alla luce dei possibili impatti in termini di eccedenze. L’obiettivo finale è quello di diffondere strumenti per l’identificazione, il monitoraggio e la gestione del processo complessivo, spingendo, quindi, tutti i soggetti coinvolti alla riduzione delle eccedenze. L’intervento più importante e più immediato rimane, comunque, quello della ridistribuzione del cibo in eccesso. Parliamo di una distribuzione diretta, destinata alla fetta di popolazione più indigente, attraverso il pieno coinvolgimento di tutte le componenti sociali.
In questo tipo di intervento, l’operatore principale è il volontariato che, in alcuni casi, è ideatore e promotore, in altri, invece, viene coinvolto attivamente nello sviluppo e nella realizzazione di iniziative. In ogni caso, si tratta di azioni volte a donare a chi vive in condizioni di estrema povertà il cibo destinato, altrimenti, alla pattumiera. Nella fase di distribuzione si rileva, però, che solamente 60 mila tonnellate annue vengano ridistribuite ad enti caritativi. Manca ancora la piena cultura della solidarietà. Il concetto di recupero delle eccedenze non sempre viene colto, soprattutto nella sua concreta possibilità di realizzazione. Creando una rete tra tutti i soggetti coinvolti si potrebbero raggiungere risultati migliori. Una direttiva molto semplice potrebbe essere quella che ogni supermercato o ogni privato dia il cibo invenduto a un’associazione o a un ente di volontariato, anziché buttarlo nella spazzatura. Nell’epoca degli smartphone e dei tablet, lo spreco si può combattere anche in digitale. Non manca uno spazio dedicato alle app, ai siti internet ed alla fantasia dei loro creatori. Sono sempre più numerose le applicazioni e le pagine web create nel nome del food sharing’ e per stimolare la lotta allo spreco di cibo.
Situazione in Sicilia
Le istituzioni dovrebbero avere un ruolo importante in questo processo. Il ruolo della Regione Siciliana dovrebbe essere quello di mettere a punto tutto il sistema, mettendosi a servizio di chi opera in questo settore. Nella realtà dei fatti, le istituzioni non intervengono minimamente, se non nell’organizzazione di convegni in cui possono presenziare con onori e onorificenze. Un ruolo importante in Sicilia è svolto, invece, dalle strutture caritative che operano su tutta l’Isola. Si tratta di 878 strutture che danno servizio a più di 320.00 persone. Senza la loro collaborazione nessuna azione sortirebbe effetto.
La situazione del recupero delle eccedenze nella nostra Regione rispetto ad altre è difficile. Se ci confrontiamo con Lombardia e Veneto, manco a dirlo, siamo indietro. Se consideriamo il Meridione, invece, possiamo dire di essere perfettamente in linea. Siamo partiti appena nel 2013 recuperando 100 tonnellate. In Sicilia, emergono punti di forza, come la possibilità di stabilire forti legami tra tutte le strutture coinvolte. Uno dei settori produttivi in cui questa esperienza è maturata di più è quello dell’industria di trasformazione. L’altro settore è quello del fresco: una bella sfida, perché richiede una buona conservazione.
Il sistema più consolidato è quello della colletta, avviata nelle grosse catene. Con la colletta, si raccoglie, in un solo giorno, quello che si ottiene in un anno con tutti i vari tipi di approvvigionamenti esistenti.
In termini quantitativi il recupero delle eccedenze in Sicilia vale circa il 20 per cento del totale raccolto, cioè di 7.400 tonnellate. Per incrementarlo, si dovrebbe intervenire solo su 400 dei 2.500 punti vendita esistenti, attualmente sono appena 22 quelli che collaborano. Coinvolgendo questi 400, si recupererebbe lo stesso quantitativo raccolto mediamente in ciascuno di quelli operativi. Quindi, 2.660 kg l’anno, ottenendo, così, 1.040 tonnellate l’anno. Del resto, in Sicilia, la povertà è forte e molto diffusa. A Catania, si registra un forte aumento dell’incidenza degli italiani tra gli utenti della mensa. A Siracusa negli ultimi tra anni si è avuto un aumento dell’ 89 per cento, a Palermo nell’ultimo anno è aumentata del 30 per cento.
Aspetto legislativo
Il quadro normativo, anche se ha consentito passi in avanti nel settore, presenta ancora delle inefficienze. Nel 2003 è stata approvata la legge numero 155 la cosiddetta ‘legge del Buon Samaritano’, ai sensi della quale le Onlus sono considerate consumatori finali in riferimento alla responsabilità derivante da norme di sicurezza alimentare. Sempre nel 2003 fino a qualche anno fa, l’Unione Europea ha emanato numerosi Regolamenti contenuti nel cosiddetto “Pacchetto Igiene” per garantire la “sicurezza dell’alimento”, dal lato igienico-sanitario.
Nel 2013, invece, la legge numero 147 ha fissato una serie di requisiti fondamentali in tema di sicurezza per la cessione di eccedenze alimentari. Infatti, secondo questa legge, sia le Onlus sia i donatori di cibo devono garantire un adeguato stato di conservazione, trasporto, deposito e uso dei prodotti alimentari donati, ciascuno per la parte di competenza. FAO e Caritas Italiana, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Piacenza), l’Università degli Studi di Milano, hanno presentato un “Manuale di corrette prassi operative”.
Tuttavia anche a livello europeo mancano delle linee guida specifiche per la donazione e il recupero di eccedenze alimentari ai fini di solidarietà sociale, nonché un eccessivo appesantimento amministrativo, burocratico e, quindi, gestionale. In Sicilia, abbiamo il disegno di legge presentato all’Ars dal Pd, suddiviso in 7 articoli, che intende implementare il welfare di comunità, ridefinendo il ruolo della pubblica amministrazione, del volontariato, del mondo imprenditoriale.
La proposta di legge presentata alla Camera dal Pd siciliano si pone l’obiettivo di favorire, incentivare e semplificare molte buone pratiche che da tempo sono attuate nel territorio nazionale, ponendo una particolare attenzione nei confronti della riduzione dello spreco alimentare e del recupero e riuso delle eccedenze, ma anche di agevolazioni fiscali.
Aspetto fiscale
In questa direzione è necessario incentivare e agevolare la donazione di eccedenze alimentari anche dal punto di vista fiscale. In Italia, manca un vero e proprio incentivo alla donazione di eccedenze. Sono previste, invece, ‘agevolazioni fiscali’ che riguardano l’Iva (esenzione della donazione e possibilità di recupero dell’Iva versata per la produzione o acquisto) e le imposte dirette. Dall’altro lato, però, è necessario sostenere le attività di trasporto, stoccaggio e gestione delle eccedenze effettuate dalle organizzazioni non-profit.
Nel senso dell’agevolazione, della semplificazione burocratica e dell’incentivo è rivolto il testo-base della nuova legge, pronta per il confronto con il Governo. Riguarda l’uso sostenibile dei prodotti e l’allungamento del loro ciclo di vita attraverso la ritrasformazione, con linee-guida facilmente comprensibili da tutti.