Marciapiede condominiale aperto al pubblico. Nella maggioranza dei condomìni esistono al piano terra locali che sono adibiti ad attività commerciali aperte al pubblico.
Non di rado tali locali sono caratterizzati da un’area pedonale antistante di proprietà condominiale contigua al marciapiede comunale e, quindi, liberamente accessibile dalla collettività.
In caso di sinistri derivanti da buche o avvallamenti presenti sul suolo non è sempre facile individuare il custode dell’area. Soggetto, obbligato a provvedere alla sua manutenzione affinché non si verifichino danni a terzi. E’ il caso del marciapiede condominiale aperto al pubblico.
La responsabilità, ci si chiede, va ricondotta al Condominio o al Comune? Oppure occorre individuare la proprietà dell’esatto punto in cui si è verificato il danno per attribuire la responsabilità?
La responsabilità secondo la Cass. Civ. n.16226/05
Secondo un condivisibile indirizzo della Suprema Corte di Cassazione, nell’azione intesa ad ottenere il risarcimento per una caduta provocata dalla presenza di insidie sul marciapiede antistante un edificio condominiale, in mancanza dell’accertamento della titolarità del marciapiedi in capo al condominio quest’ultimo non può essere chiamato a rispondere dei danni in nome dell’inadempimento ad un obbligo di gestione manutentiva, sussistente – piuttosto – in capo all’ente pubblico (Cass. Civ. n.16226/05 ).
La responsabilità della Pubblica Amministrazione
E’ difatti ius receptum della stessa Corte il principio secondo cui spetta alla P.A., oltre, naturalmente, alla proprietà della strada e dei marciapiedi laterali, anche la manutenzione tanto dell’una quanto degli altri (v. Cass. Civ. n. 4533/93, a mente della quale gli obblighi di manutenzione dell’ente pubblico, proprietario di una strada aperta al pubblico transito, al fine di evitare l’esistenza di pericoli occulti, si estendono alle banchine laterali, le quali, pur essendo normalmente precluse alla circolazione veicolare – a meno che non lo impongano esigenze del traffico – fanno parte della struttura della strada, essendo destinate al transito dei pedoni e, ove siano pavimentate, alla sosta di emergenza).
La responsabilità è di chi esercita l’effettivo potere materiale
Ciò posto, non va dimenticato che, nell’ottica dell’art. 2051 c.c. (con diritto del danneggiato di agire invocando la responsabilità, operante in via presuntiva, per danni cagionati da cose in custodia e incombendo sullo stesso la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre, una volta individuato il “custode” del bene, questi per liberarsi dalla presunzione di responsabilità per il danno cagionato deve dimostrare che esso si è verificato “per caso fortuito‟ ), “custode” della cosa è il soggetto che su di essa eserciti l’“effettivo potere materiale” (o “fisico”: è orientamento costante della Suprema Corte; v. ex multis Cass. civ. n. 2301/95, Cass. civ. n. 1332/94).
Chi è il custode
Il “custode”, quindi, è quello che materialmente e concretamente si trovi ad esercitare – a mezzo degli strumenti allo scopo funzionali ed in virtù del rapporto che abbia instaurato con la “cosa” – i poteri di controllo e di sorveglianza sulla cosa medesima.
Patologia del suolo
Ora, va osservato che, normalmente, nelle ipotesi di sinistro derivante da una insidia stradale, l’anomalia configurante una situazione di pericolo può essere ricondotta alla presenza di un tratto del marciapiede. Un tratto, la cui condizione di sconnessione e dissesto (es. mattoni rialzati) risulta non agevolmente percepibile dal singolo pedone. Trattasi, dunque, di “patologia‟ attinente alla condizione della pavimentazione pedonale, rispetto alla quale, anche a prescindere da un accertamento della titolarità in capo al condominio del tratto teatro del sinistro, il Comune va ritenuto intestatario di obblighi manutentivi e poteri di controllo e sorveglianza.
L’area non va trascurata
Il Comune il quale consenta alla collettività l’utilizzazione del marciapiede condominiale aperto al pubblico, per pubblico transito, di un’area di proprietà privata, fosse anche di natura condominiale (come un marciapiede), si assume l’obbligo di accertare che la manutenzione dell’area e dei relativi manufatti non sia trascurata.
Il principio del neminem laeder
Ne consegue che l’inosservanza di tale dovere di sorveglianza, per il principio del neminem laedere, integra gli estremi della colpa. Inoltre, determina la responsabilità per il danno cagionato all’utente dell’area. Non rilevando che l’obbligo della manutenzione incomba sul proprietario dell’area medesima (Corte di Cassazione, Ordinanza pubblicata in data 18.01.2018).
Atto di impulso causale
Grava pertanto, sul Comune convenuto l’onere di dimostrare, in presenza della materiale riconducibilità sopra individuata, l‟imputabilità di siffatti eventi a quello che si è definito “atto di impulso causale”. Questo è estraneo alla sfera di controllo del custode. Quindi la loro imputabilità al “caso fortuito”, al fatto colposo dello stesso danneggiato ovvero, ancora, al fatto colposo di soggetti terzi.
Il Comune non può scaricare sul pedone
Il Comune per svincolarsi dalla responsabilità non può semplicemente adombrare l’eventualità che il pedone potesse non aver osservato le comuni regole di accortezza. Regole, che gli avrebbero permesso di scorgere la presunta insidia, e conseguentemente, di evitare il verificarsi dell’infortunio.
Ma di un simile “fatto” il Comune ha l‟onere di fornire idonea prova.
E allora, in difetto della suddetta prova, è l’ente pubblico. Questi deve ritenersi responsabile dell’evento dannoso. Evento, provocato all’utente della strada dalla anomalia presente sulla pavimentazione pedonale e va, dunque, condannato al ristoro dei danni subiti dallo stesso.