Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Marcinelle, 8 agosto 1956. Quando eravamo noi gli africani

Il disastro di Marcinelle che provocò la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 immigrati italiani ha le stesse ragioni delle morti sul lavoro che si consumano quotidianamente ancora oggi in Italia, le cui vittime sono gli immigrati, i precari e i pensionati a partita IVA. La storia non cambierà chiedendo il permesso e le morti saranno sempre, e solo, incidenti.

di Victor Matteucci

C’era una volta un bambino che, in piedi al centro di una di quelle vecchie cucine delle case contadine, guardava morire lentamente il nonno immobilizzato su una grossa sedia. L’uomo respirava a fatica con dei tubi di plastica che entravano nel naso e che erano collegati ad una grossa bombola di ossigeno a forma di cilindro alle sue spalle. Il bambino era affezionato al nonno e gli piaceva ascoltarlo mentre gli raccontava storie incredibili di viaggi e avventure, ma quella che il bambino preferiva era la storia della nascita degli uomini neri. Secondo il nonno, le verdi collinette di Charleroi e di Marcinelle nascondevano un segreto: la terra sotto l’erba era nera.

L’origine degli uomini neri

Sotto l’erba c’era il carbone e tutti i bambini che giocavano lì, quando tornavano a casa, erano sempre completamente neri. Così, giocando tra il carbone tutti i giorni, a questi bambini era cambiato il colore della pelle e quando andavano a scuola i ragazzi bianchi li prendevano in giro chiamandoli “Pied noir” (piedi neri), come i francesi chiamavano i figli degli immigrati algerini che guidavano i battelli a carbone.

 Poi un giorno, aveva raccontato il nonno, c’era stata una grande esplosione sottoterra, a Marcinelle, la mattina dell’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier. Diceva che alcuni uomini con la pelle nera vivevano la sotto per gioco e per fumare di nascosto. Così era accaduto che qualcuno avesse acceso una sigaretta e avesse provocato l’incendio, che, infatti, era stato causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica. L’incendio, era partito inizialmente nel condotto d’entrata d’aria principale, aveva riempito di fumo tutto l’impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 immigrati italiani. L’incidente diceva il nonno era stato il terzo per numero di vittime tra gli immigrati italiani all’estero dopo i disastri di Monongah e di Dawson.

Ecco perché, concludeva il nonno, non bisogna mai fumare ed è pericoloso nascondersi sottoterra per giocare. Lui si era salvato proprio perché non aveva mai voluto fumare.

C’è sempre qualcuno più a sud

Anni dopo quel bambino scoprì la verità. Dopo la Seconda guerra mondiale, il Belgio, paese di dimensioni modeste, si era ritrovato con poca manodopera disponibile, soprattutto per il lavoro nelle miniere del bacino carbonifero della regione della Vallonia. I belgi non erano più disposti a fare lavori logoranti e pericolosi e si era cercata  manovalanza all’estero. “Il 23 giugno 1946 fu firmato il Protocollo italo-belga che prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori in cambio di carbone. Nacquero così ampi flussi migratori verso il paese, uno dei quali, forse il più importante, fu quello degli italiani verso le miniere belghe. Nel 1956, fra i 142.000 minatori impiegati, 63.000 erano stranieri e fra questi 44.000 erano italiani” (Wikipedia).

Marcinelle. La miniera della morte che oggi è sito UNESCO

Il “pozzo I” della miniera di Marcinelle era in funzione sin dal 1830. Era privo delle più elementari norme di sicurezza e la sua manutenzione era ridotta al minimo necessario. Tra le altre funzioni, questo pozzo serviva da canale d’entrata per l’aria. Il “pozzo II”, invece, operava come canale d’uscita per l’aria. Il “pozzo III”, in costruzione, aveva delle gallerie connesse con i primi due, ma esse erano state chiuse per diverse e valide ragioni. Gli ascensori, due per pozzo, erano azionati da potenti motori posti all’esterno. In alto, su grandi tralicci metallici, erano poste due molette, enormi ruote che sostenevano e guidavano i cavi degli ascensori. La maggior parte delle strutture all’interno del pozzo era in legno. Questo perché, da sempre, il legno era il materiale più comunemente impiegato, ma anche perché, a una tale profondità, il cavo dell’ascensore potesse oscillare in modo tale da giungere a strisciare sulle traverse. Quindi, per evitare l’usura prematura del cavo, si dava preferenza alle strutture in legno. L’aerazione era assicurata da grandi ventilatori, posti all’esterno, che aspiravano l’aria viziata tramite il “pozzo II”.

Il solito processo farsa contro i padroni

Le indagini e il processo che ne seguì fu segnato da omissioni, false notizie e depistaggi, proprio come accade ancora oggi quando si verificano gli incidenti sul lavoro che, appunto sono sempre etichettati come incidenti.

“Il processo in primo grado si svolse a Charleroi dal 6 maggio 1959 al 1º ottobre 1959. Le 166 parti civili erano difese da un collettivo d’avvocati, fra cui Leo Leone e Giorgio Mastino del Rio per conto dell’INCA. I dibattiti diventarono presto una battaglia di perizie di cui pochi, Corte compresa, erano in grado di capire qualcosa. Alla fine, i 5 imputati furono assolti. In appello, davanti alla 13ª Camera di Bruxelles, una sola condanna fu pronunciata, quella dell’ingegnere Calicis, condannato a 6 mesi con la condizionale e a 2 000 franchi belgi di multa. La società Bois du Cazier venne condannata a pagare una parte delle spese e a risarcire, per circa 3 milioni di franchi, gli eredi delle vittime che non erano loro dipendenti (Stroom e Waldron). Fu fatto ricorso in cassazione, la quale rinviò la causa (ma solo per certe materie) a Liegi. La fine della vicenda giudiziaria avvenne il 27 aprile 1964 con un accordo tra le parti” (Wikipedia).

L’emigrazione italiana

Tra il 1861 e il 1985 dall’Italia erano partiti quasi 30 milioni di emigranti. Come se l’intera popolazione italiana di inizio Novecento se ne fosse andata in blocco. La maggioranza degli emigranti italiani, oltre 14 milioni, partì nei decenni successivi all’Unità di Italia, durante la cosiddetta “grande emigrazione” (1876-1915).

Altrettanti diedero luogo ad una seconda ondata si verificò negli anni ’50.

Negli Stati Uniti, che da poco avevano abolito la schiavitù, si diceva che gli italiani non fossero bianchi, “ma nemmeno palesemente negri. Il presidente Usa Richard Nixon intercettato nel 1973 fu il più chiaro di tutti. Disse: “Non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio è che non si riesce a trovarne uno che sia onesto”.

Secondo l’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), il numero di cittadini italiani che risiedono fuori dall’Italia è passato dai 3. 106 251 del 2006 ai 4. 973 942 del 2017, con un incremento pari al 60,1% (“Focus” 30 luglio 2018 – Storia dell’emigrazione italiana. Giuliana Rotondi). Inutile aggiungere cha la stragrande maggioranza erano meridionali.

Abbiamo voluto dimenticare

La condizione di sviluppo ineguale in Italia tra nord e sud, o di sottosviluppo italiano, unica in tutto l’occidente per dimensione e squilibri, è la ragione per cui è stato possibile disporre cinicamente, in nord Europa e in America, di una continua estrazione di manodopera di riserva. Dagli anni ‘50 del secolo scorso (ma in realtà dall’inizio del novecento) una continua emorragia di risorse umane, con o senza competenze, sono state sradicate, prelevate e spedite nei vari Paesi occidentali, o verso le regioni del nord Italia per compensare la carenza di lavoro, per attuare il lavoro di rischio o, semplicemente, per contrarre il costo del lavoro. Questa funzione estrattiva di risorse umane a basso costo è tutt’ora in atto ma, nell’era del capitalismo culturale, l’offerta è riferita a risorse umane munite di competenze intellettuali. Solo per citare i dati più recenti, sono stati circa 80.000 i laureati trasferitisi dal sud nel biennio 2020-22 con una perdita per il sud, negli ultimi 20 anni, di circa 200.000 laureati, con una percentuale di coloro che restano al sud che è non va oltre il 5%).

D’altra parte, in Italia come all’interno dell’occidente, c’è sempre stata una divisione tra aree di produzione e sviluppo e aree di risulta e smaltimento. Tra aree per bianchi e aree per “piedi neri”. Ma questa storia di emigrazione e di deportazione l’abbiamo dimenticata, da quando siamo diventati come i belgi di Marcinelle, che non volevano più fare i minatori e che avevano chiamato gli italiani. Da quando siamo diventati “bianchi” e abbiamo scoperto che c’è qualcuno più a sud di noi da far morire al posto nostro.

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4 risposte

  1. Caro Victor, non conoscevo il giudizio “profondo ‘” del presidente Nixon, mi lascia basito di come si possa essere così offensivo, superficiale e anche ignorante e contemporaneamente guidare un paese di sicura democrazia come gli Stati Uniti d’ America che dire complimenti e grazie per il lavoro di informazione che fai.

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