Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Memorie reperti

di Redazione

 

I collages e i pastelli dell’artista inglese Peter Bartlett in esposizione alla galleria Elle Arte di via Ricasoli fino al 24 maggio

di Salvo Ferlito

 

Una stratificazione apparentemente casuale, ma in realtà tanto armonica quanto dettagliata. Accumulazioni ed assemblaggi di svariati materiali di risulta (carte, cartoncini, reti di plastica, legnetti), orchestrati in un contrappunto di polifonica cromia, come a voler configurare quel lento e progressivo sedimentarsi di ricordi ed esperienze che contraddistingue il percorso esistenziale d’ogni artista (e più in generale d’ogni individuo).

Sono questi i caratteri formali e narrativi dei collages realizzati da Peter Bartlett: opere di formato contenuto, ma di forte impatto visuale, ideate e poste in essere quasi a ribadire l’indiscussa valenza allegorica delle arti visive, vocate – ancora una volta – al racconto ed alla rappresentazione dei processi e delle dinamiche intrapsichici con cui si attuano la strutturazione e la definizione della personale identità. Un aspetto, per così dire, “itinerante” (nel senso stretto della raffigurazione metaforica delle percorrenze estetiche ed affettive dell’artista), che trova proprio nel sedimento visuale, nel precipitato materico, nell’improvviso coloristico gli strumenti espressivi con cui dar corpo a quella idea di “memoria residuale” che è in fondo il dato costitutivo d’ogni maturo immaginario.

Come avvenuto per altre esperienze artistiche del secolo trascorso, il materiale di scarto viene elevato da Peter Bartlett al rango di strumento esteticamente rilevante, acquisendo il ruolo semiotico di traccia apparentemente poco nobile, però inattesamente in grado di farsi portavoce di profondi e complessi significati. E’ proprio l’intervento dell’artista, il suo determinante contributo ideativo e gestuale, a far sì che quanto abitualmente ritenuto di poco o nullo valore assurga al ruolo  di medium espressivo, capace di funger da vettore di idee, istanze e poetiche, e – in definitiva – da vessillifero d’una articolata “visione del mondo” che conferisca senso compiuto all’essere ed esistere. E’ il valore aggiunto estetico – che nel caso di Bartlett si sostanzia della raffinatezza degli accostamenti e delle composizioni, nonché della brillantezza dell’articolazione coloristica che agisce da tramatura unificante –, dunque, a tributare alla materia bruta la piena dignità dell’opera d’arte, attuando quell’alchimia di natura visuale che fa di quanto solitamente informe un manufatto in grado di irretire e comunicare con modalità di tipo simpatetico.

Così strutturati, i collages di Peter Bartlett si configurano pertanto come la fedele mappatura d’una variegata stratificazione interiore ed esistenziale, riproponendo – per sintesi visiva – quel caotico e casuale accumulo di “memorabilia” d’ogni genere che caratterizza tipicamente gli studi degli artisti, e che è a sua volta metafora tangibile del sovrapporsi ed intrecciarsi di vicende umane e ricerche artistiche. Un dato – quello della “memoria residuale” tradotta allusivamente in immagini evocative – che si registra parimenti nell’altrettanto elegante produzione pittorica a pastelli: una serie di piccoli dipinti ove il segno si ancora di più a suggestioni figurali (tralasciando, quindi, quelle atmosfere astrattiste ed informali che intridono ampiamente i suddetti collages) e in cui – non per nulla – l’esibita mediterraneità di luce e di colore si pone quale evidente estroflessione di vissuti personali. Quelli di Peter, infatti, non sono i semplici “souvenir d’Italie” d’un artista nordico che faccia il bilancio visivo del proprio (e attualizzato) “Grand Tour” da artista e gentiluomo, ma piuttosto il preciso resoconto di quella ibridazione culturale cui egli è andato incontro decidendo di trasferirsi in Italia (in terra di Toscana, per l’esattezza) e portando a compimento un percorso di crescita e maturazione relazionali ed intellettuali.

L’esuberanza coloristica, il riverbero luminoso, il riferimento fitomorfico, sempre composti in una aggraziata e ponderata articolazione, sono dunque altrettante tracce mnesiche che ci parlano d’una storia personale ove l’apertura all’altro ed al nuovo sono i tratti distintivi e dirimenti. Nessuna chiusura localistica, nella visione estetica di Peter Bartlett, né alcuno sciovinistico autocompiacimento, ma quella disponibilità alla contaminazione dello sguardo e all’allargamento delle ottiche che è non solo il connotato saliente dell’arte contemporanea (e in fondo di qualsiasi tempo) ma il prerequisito obbligato – da sempre – d’ogni evoluzione culturale dell’umanità.

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