La realizzazione di Morgan ci riporta a un tema caro alla fantascienza e riscoperto negli ultimi tempi dal cinema: l’intelligenza artificiale
di Massimo Arciresi
Quello dell’intelligenza artificiale, la quale renderebbe robot e replicanti autonomi nel pensiero e perciò potenzialmente pericolosi per l’uomo (che dovrebbero invece agevolare e proteggere), era un concetto che allo scrittore Philip K. Dick piaceva molto, e non per niente il cinema l’ha saccheggiato. Se ci limitiamo alle opere derivate da romanzi e racconti sfornati dall’autore americano (scomparso precocemente nel 1982), non c’è solo Blade Runner di Ridley Scott, ma anche Impostor (2001) di Gary Fleder e, in qualche misura, Screamers (1995) di Christian Duguay. Sul tema esistono poi le incursioni di Kubrick, con il mitico 2001: Odissea nello spazio (1968) e ovviamente A.I. (2001), ereditato però da Spielberg. Quindi, passando attraverso i classici Alien e Terminator (ma potremmo citare anche il leggero Corto circuito e perfino personaggi di Star Trek e Star Wars), si arriva addirittura ad alcuni ironici ibridi italiani, come il pessimistico Io e Caterina (1980) di Sordi o il surreale Un amore su misura (2007) di Pozzetto. L’imminente Morgan, thriller incentrato su un ambiguo androide femmina creato in laboratorio sulle cui azioni indaga Kate Mara (con lei recitano fra gli altri Toby Jones, Michelle Yeoh, Jennifer Jason Leigh e Paul Giamatti), film che peraltro segna l’esordio alla regia di Luke Scott (guarda caso figlio di Ridey), ci fornisce lo spunto per tornare su un argomento che è di nuovo assai gettonato nella settima arte, specialmente se diamo uno sguardo ad alcuni lungometraggi usciti nel corso del 2015.
Al di là del lambiccato Terminator Genisys (quinto capitolo della saga con il cyborg venuto dal futuro – qui si azzuffa con… se stesso – per evitare la nascita di un “condottiero” che si opporrà allo strapotere delle macchine), orchestrato da Alan Taylor, la tematica è in un certo senso nascosta ma ben presente in un blockbuster spettacolare del calibro di Avengers – Age of Ultron di Joss Whedon, in cui il potentissimo nemico dei Vendicatori (per quei pochi che non lo ricordassero: Captain America, Iron Man, Thor, Hulk, ecc.) citato dal titolo, mosso e doppiato, in originale, da James Spader, è frutto di un esperimento finito male, un programma che acquista inopinatamente “coscienza” e decide che spazzare via l’umanità è l’unico rimedio per salvare il pianeta.
Si svolge tra una trentina d’anni lo spagnolo e un po’ statico Automata di Gabe Ibáñez (che sembra ispirarsi direttamente a Io, robot del 2004 di Alex Proyas con Will Smith, la cui impronta fantascientifica discendeva dichiaratamente dagli scritti di Isaac Asimov), nel quale l’agente assicurativo Antonio Banderas indaga sulle inquietanti capacità di alcuni umanoidi di ripararsi; curiosa la partecipazione dell’ex-moglie (nella vita) del protagonista, Melanie Griffith, nel 1987 già al centro di un action di serie B d’argomento consimile, Bambola meccanica mod. Cherry 2000. C’è poi Humandroid, nome “italiano” dell’interessante Chappie (diretto dal sudafricano Neill Blomkamp), ovvero un droide poliziotto (gli dà movenze tramite il motion capture Sharlto Copley, fedelissimo del regista) reso senziente dal giovane ingegnere Dev Patel, avversato dallo scorretto collega Hugh Jackman e dal quadro Sigourney Weaver. Se mettiamo da parte la “falsa bimba” Raffey Cassidy di Tomorrowland – Il mondo di domani di Brad Bird (viaggio in una dimensione fantastica con George Clooney e Britt Robertson), si culmina in Ex_Machina, acuto debutto dietro la macchina da presa dello sceneggiatore Alex Garland, tutto giocato sulla tensione e la competizione tra uno scienziato isolato (Oscar Isaac) e un suo dipendente (Domhnall Gleeson) che ha l’opportunità di affiancarlo; oggetto della contesa (e del desiderio) è la donna meccanica (il recente premio Oscar Alicia Vikander) creata dal primo, in grado di manipolare e sedurre. È l’avvenire?