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Niente mantenimento alla figlia maggiorenne abilitata all’esercizio della professione forense

Con la recente ordinanza n. 11472 pubblicata il 30 aprile 2021, la Suprema Corte di Cassazione è tornata a decidere sul diritto del figlio maggiorenne alla percezione del contributo destinato al suo mantenimento da parte del genitore obbligato, confermando ancora una volta la linea di orientamento “restrittiva” ancorata al principio di “auto-responsabilità”.

di Redazione

Niente mantenimento alla figlia maggiorenne che abbia conseguito il titolo di avvocato e che per l’esercizio della professione conduca in locazione uno studio, a prescindere dalla valutazione sull’indice di autonomia reddituale e dunque sul volume di affari derivante dall’attività svolta. È questa la conclusione a cui sono giunti i Giudici di Piazza Cavour nella ordinanza in commento, rigettando il ricorso interposto dall’ex coniuge nei confronti dell’altro, avverso la sentenza di merito che aveva negato il diritto della figlia maggiorenne alla percezione dell’assegno da parte del genitore non convivente.

Il motivo di doglianza sottoposto al vaglio della S.C., presupponeva difatti l’erroneità della pronuncia della Corte di Appello per non avere valutato il mancato raggiungimento della prova circa l’autosufficienza economica da parte della figlia trentenne, seppure in possesso del titolo di avvocato. 

Viceversa, il Collegio di legittimità, nel ritenere infondato il ricorso, ha ribadito come sia a carico del richiedente l’emolumento economico l’onere di dimostrare il mancato svolgimento dell’attività lavorativa tale da renderla economicamente indipendente, evidenziando come l’abilitazione della figlia all’esercizio della professione forense, e dunque l’avviamento della stessa alla libera professione, insieme alla titolarità di uno studio legale condotto in locazione, siano elementi sufficienti a presumere (appunto, fino a prova contraria) il venir meno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno.

Detta pronuncia si pone in perfetta linea di continuità con il recente orientamento giurisprudenziale volto a rinvenire nel raggiungimento della maggiore età il limite generale fissato per il riconoscimento di un mantenimento in favore del figlio, con la conseguenza che incombe su quest’ultimo l’onere di provare (anche in via indiziaria) che il diritto alla percezione dell’assegno permanga per l’esistenza di un percorso formativo o di studi, “in costanza di un tempo ancora necessario per la ricerca comunque di un lavoro o sistemazione che assicuri l’indipendenza economica” (Cass. Civ., n. 17183 del 14/08/2020); pertanto, “ai fini dell’accoglimento della domanda, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica – che è precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro”.

A tale riguardo, nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte richiamato il principio di “auto-responsabilità” (utilizzato come perno anche per il riconoscimento dell’assegno divorzile) gravante sul richiedente il contributo assistenziale, la cui applicazione richiede l’utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, in attesa dell’auspicato reperimento di un impiego più aderente alle proprie soggettive aspirazioni, senza che tuttavia possa permanere a carico del genitore l’obbligo di sostenere economicamente la prole “ad nutum”, ossia anche dopo un lasso tempo considerato ragionevole in forza del percorso formativo scelto. In particolare, il criterio di ragionevolezza attribuito al requisito temporale presupposto per il raggiungimento del traguardo educativo, implica che il percorso prescelto non dovrà protrarsi oltre il periodo coincidente con quello fisiologicamente previsto per il suo conseguimento, superato il quale si presumerà una condotta colpevolmente inerte del figlio alla propria emancipazione.

Nel caso di specie, il trascorrere del tempo successivo al termine della formazione universitaria, il conseguimento del titolo abilitante all’esercizio della libera professione, nonché la circostanza fattuale relativa alla conduzione in locazione di spazi adibiti a studio, costituiscono a parere della Corte indici di avviamento a quella indipendenza economica sempre più coincidente con il concetto di capacità lavorativa “astratta”, intesa quale raggiungimento delle condizioni utili all’inserimento nella società e nel mercato del lavoro, a prescindere dall’effettiva autonomia reddituale, e che di per sé escluderebbe la sussistenza di qualsivoglia diritto al mantenimento genitoriale previsto dall’art. 337-septies c.c.
Avv. Giovanni Parisi

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