Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si pronunciano sulla natura contrattuale della responsabilità dell’istituto bancario negoziatore per avere consentito l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario
Avv. Giovanni Parisi
Con sentenza n. 12477 del 21 maggio 2018, l’Adunanza Plenaria della Suprema Corte di Cassazione ha affrontato, dirimendola, una questione di notevole importanza giuridica, riguardante la natura ed il titolo di responsabilità della banca che, nonostante gli obblighi sanciti dall’art. 43, commi I e II, R.D. n. 1736/1933 (c.d. “Legge Assegni”) di pagare l’assegno munito di clausola di “non trasferibilità” al prenditore, e conseguentemente di identificare diligentemente colui che presenta l’assegno, procedeva all’incasso di esso da parte di un soggetto diverso dal beneficiario del titolo.
L’assegno in questione, difatti, veniva posto all’incasso presso uno sportello della banca, da una persona che, mediante presentazione di un documento di identità falsificato, si era “spacciato” per il reale intestatario del titolo; l’impiegato della filiale, dal canto suo, non approfondiva ulteriormente l’identificazione del (falso) prenditore, e sotto sua richiesta, procedeva all’apertura di un libretto di risparmio nominativo dove fare accreditare l’importo proveniente dall’incasso. Le somme confluite sul libretto, venivano poi prelevate a più riprese dal falso beneficiario, sino al totale azzeramento del credito.
Esauriti “salomonicamente” i primi due gradi di giudizio, le parti ricorrevano in Cassazione, ove si deliberava di rimettere la decisione alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto giurisprudenziale in ordine alla natura della responsabilità bancaria derivante dall’avere incassato un assegno da persona diversa dal prenditore, in relazione alla interpretazione da attribuire al tenore dell’art. 43, comma II, “Legge Assegni”, a mente del quale “colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”.
Le Sezioni Unite, dunque, nella pronuncia in commento, inizialmente esaminano l’evoluzione giurisprudenziale consolidatasi nel corso dei decenni: mentre l’orientamento più risalente (Cass. Civ., n. 3133/1958), riteneva che l’art. 43, comma II, R.D. n. 1736/1933 non configurasse una responsabilità risarcitoria a carico della banca verso il prenditore, legittimando quest’ultimo a pretendere un nuovo pagamento dell’obbligazione cartolare originaria, successivamente, a partire da Cass. Civ., n. 2360/1968, si sostenne la responsabilità della banca per avere eseguito il pagamento nei confronti di persona diversa dal prenditore per violazione degli obblighi di diligenza nella identificazione del presentatore del titolo, tenuto conto del fatto per cui la clausola di intrasferibilità non persegue la finalità di assicurare il pagamento all’effettivo prenditore, bensì quella di impedire in via assoluta la circolazione del titolo non trasferibile. Si riprende, altresì, il concetto espresso in precedenza dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 14712/2007, che interpretando l’espressione “colui che paga” (art. 43, comma II, L.A.) in riferimento alla banca negoziatrice, unico soggetto in grado di operare controlli sull’autenticità dell’assegno e sull’identità di colui che, girandolo per l’incasso, lo immetta nel circuito di pagamento, avevano riconosciuto natura contrattuale alla responsabilità della banca negoziatrice di un assegno non trasferibile presentato all’incasso da persona non legittimata. Tale criterio risarcitorio trovava il proprio fondamento nella teoria del c.d. “contatto sociale qualificato”, desumibile dagli artt. 1176 e 2118 c.c., e riscontrabile nelle ipotesi in cui l’ordinamento richieda ad un soggetto (appunto, qualificato) di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto dalla collettività sul corretto espletamento di specifici doveri di protezione in precedenza volontariamente assunti.
Da tali premesse, le Sezioni Unite chiamate sul punto pervengono ad enunciare il seguente principio di diritto: “la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso”. Dal suddetto principio, escludendo dunque qualsiasi forma di “responsabilità oggettiva” a carico della banca, deriva che quest’ultima, una volta chiamata a rispondere del danno da “contatto sociale”, sia ammessa a provare la non imputabilità dell’inadempimento per avere essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma II, c.c.