Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Notti arabe in Portogallo

di Massimo Arciresi

Il regista Miguel Gomes parla della situazione del suo Paese attraverso un’opera-fiume dal fascino amaro divisa in tre parti

 

di Massimo Arciresi

Al cinema ci sono le uscite regolari, ovvero i film che arrivano il giovedì e transitano sugli schermi per almeno una settimana. Negli ultimi anni, in alternativa, in sala arrivano anche i cosiddetti “eventi”, cioè dei lungometraggi di finzione, dei documentari – sulla musica, sull’arte, sullo sport o perfino sul cinema, vedi il recente Hitchcock/Truffaut – oppure dei veri e propri spettacoli (rappresentazioni teatrali, opere, balletti, concerti) o dei cartoni animati (spesso giapponesi, ma non solo) che sono proiettati in una, due, tre o quattro date prestabilite (e non necessariamente consecutive) e a un prezzo maggiorato (di solito del 30%, talvolta di più, talaltra di meno), allo scopo di destare curiosità e ottenere un incasso più o meno garantito. A seconda della risposta del pubblico, capita che le case di distribuzione concedano delle proroghe.

In un simile contesto, appare ancor più singolare il caso de Le mille e una notte (Arabian Nights), pellicola suddivisa in tre capitoli a loro volta organizzati in paragrafi (per una durata complessiva di 6 ore e 22 minuti), messa in circolazione in lingua originale (se ne ascolta più d’una) sottotitolata da Milano Film Network e proposta nella sua interezza in varie città italiane in giorni diversi e vicini. A Palermo, per esempio, la si è vista tra il pomeriggio e la sera (e la notte) dello scorso 21 marzo.

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Il regista Miguel Gomes, che fin dalle immagini iniziali alla prima “difficoltà” (rendere un parallelismo tra una vasta e reale protesta operaia ai cantieri navali e lo sterminio delle api da parte di un’aggressiva specie di vespe) si defila – letteralmente! – per non essere obbligato a fornire spiegazioni al pubblico, ha imbastito uno spettacolo sontuoso nelle proporzioni e orgogliosamente povero di mezzi per raccontare la situazione del suo Paese, il Portogallo, tra crisi soffocante e volontà di reagire. Il suo grimaldello è il modello letterario arabo per eccellenza, fatto di racconti concentrici e divagazioni veicolate da Sheherazade (interpretata dalla splendida Crista Alfaiate), la figlia del gran visir che sceglie di andare in moglie al vendicativo re di Persia – tradito da una delle sue consorti e perciò deciso a farla pagare a tutte le donne – per fermare la furia di quest’ultimo, che sposa le giovani del regno per ucciderle dopo la prima notte di nozze; lo stratagemma è quello di illustrare ogni sera al sovrano un’avvincente storia e lasciarla in sospeso, in modo da riprenderla la sera successiva. Uno spunto che il cineasta recupera per descrivere una nazione allo sbando, tra politici che confondono il potere con il vigore sessuale, un gallo sotto processo, una balena-ambulatorio spiaggiata (così come una sirena…), tracce che compongono Volume 1: Inquieto, titolo che intende appunto richiamare l’attenzione sulla necessità di accorgersi dei segnali allarmanti di decadenza che ci circondano. Segue Volume 2: Desolato, ovvero la porzione più interessante del mosaico, che segue principalmente la latitanza di un bandito, poi un processo grottesco che ricorda Rashomon (o Buñuel, fate voi) e il passaggio di proprietà del cagnolino Dixie all’interno di un condominio. A questo tornante la visione si è fatta decisamente cupa, il sospetto di deriva della società è diventato una certezza. Non c’è più niente da fare? L’ultimo “episodio”, Volume 3: Incantato, volutamente un po’ stancante (come lo era il Greenaway degli albori, per intenderci), dopo un’introduzione che reimpone all’attenzione la bella narratrice, si concentra sulle gare di canto dei fringuelli, sui loro zelanti allenatori umani (e sulle loro vicende di ritorno), su una tradizione estenuante ma improntata sulle meraviglie della natura, probabilmente il miglior punto di partenza per risollevarsi, ritemprarsi, brandire un salutare colpo di spugna. Semplice? Non quanto sembra!

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