“E’ andata così, pazienza. Grazie a tutti”. Con questo tweet Federica Pellegrini saluta i suoi tifosi e si congeda dai “sogni” degli italiani che l’hanno seguita in questa Olimpiade.
di Giulia Noera
Due sconfitte, quelle di Federica, che bruciano particolarmente, ma l’analisi (almeno fino al momento) è spendibile per tutto il nuoto azzurro, che ha fatto un gran flop: Magnini e Dotto fuori dai 100 stile libero, così come le disfatte della 4×100 e della 4×200 stile libero maschile, un tempo fiore all’occhiello di una nazione che, come diceva Alberto Castagnetti, indimenticato ex allenatore della Pellegrini e ‘guru’ del nuoto, è lo specchio dello stato ‘natatorio’ di una squadra.
Adesso, in attesa del giovanissimo Paltrinieri (sua la seconda prestazione mondiale della stagione nei 1500 stile libero) e dei due velocisti Dotto e Orsi, il nuoto azzurro si dovrà interrogare sulle cause di questa debacle generale: sui metodi di allenamento per i grandi professionisti, così come sulla grande attenzione per i giovani, questioni che probabilmente dovranno essere messe in discussione.
Basterebbe guardare oltralpe: i “cugini” francesi ( e parliamo di una nazione simile all’Italia per numero di praticanti, non degli Stati Uniti o dell’Australia, dove la cultura dello sport è totalmente diversa) da anni, sfornano talenti uno dietro l’altro, con metodologie acquatiche che non mirano a “spremere” i giovanissimi, ma a conservarli integri e motivati, fino ad un’età più matura. Cosa che non avviene in Italia, nemmeno per quel che riguarda l’attenzione alla tecnica, base essenziale per muoversi biomeccanicamente sempre meglio in un ambiente come l’acqua.
Grande umiltà, dunque, va richiesta sopratutto a chi, questi atleti, li guida: e appigliarsi alle parole “arrabbiate” dell’immediato dopo-gara di chi per una stagione intera si è impegnato a ritmi pazzeschi, è soltanto esercizio sterile di polemica gratuita. Ma, in questo, gli italiani e (mea culpa) i media nazionali, sono maestri.