La donazione del sangue è più efficace nelle regioni in cui le reti tra cittadini sono più efficienti. Al Sud dove non esistono reti relazionali e dove prevale un diffuso individualismo, aprire la gente alla donazione diventa un percorso più difficile. La collaborazione con testimonial famosi permette, a poco a poco, di costruire questa cultura
Di Daniela Mainenti
I dati ci confermano che la cultura della donazione del sangue è più efficace in quelle regioni dove le reti tra cittadini sono più efficienti. Sfortunatamente, al Sud sembra prevalere una generale diffidenza nei confronti delle istituzioni e un diffuso individualismo.
In questo modo, le regioni del centro-nord sembrano più efficienti rispetto a questo tema. Ovviamente la collaborazione con testimonial famosi permette a poco a poco di costruire questa cultura. E’ l’obiettivo dell’associazione di donatori di sangue ed emocomponenti ‘Fratres, che per raccogliere adesioni e sensibilizzare la gente verso la donazione ha realizzato una campagna di sensibilizzazione, scegliendo come testimonial, il campione pallavolista di serie A, Max Di Franco. Certo, però, non può dipendere tutto da questo. Anche le istituzioni dovrebbero fare la propria parte. La partecipazione dei privati cittadini è, comunque, molto forte e il problema è molto sentito. Ne parliamo con Max Di Franco, testimonial della campagna di sensibilizzazione alla donazione
Max Di Franco come inizia la tua esperienza sportiva, letteraria e cinematografica: un atleta a trecento sessanta gradi.
Tutto inizia circa un anno e mezzo fa, con la partecipazione allo sport film festival di Palermo dove ho presentato un cortometraggio Il bambino che sogna ispirato alla mia vita e alla mia carriera iniziata in modo particolare. Da li è iniziato un percorso volto a scrivere un libro e una sceneggiatura per il film. Quindi, oggi, oltre che un atleta, sono diventato uno scrittore. Dopo si è affiancata Fratres come testimonial nazionale e ciò è motivo d’orgoglio far parte di un associazione nazionale con questi scopi così nobili.
Sei anche donatore?
Si certo dono il sangue al Centro trasfusionale dell’Ospedale Cervello di Palermo, attraverso proprio l’organizzazione della Fratres. E’ chiaro che devo essere d’esempio!
La tua esperienza con la Fratres è solo legata alla tua attività di testimonial o c’è dell’altro? Come vuoi portare avanti questa esperienza?
In realtà grazie alla spinta della promozione del libro, che fa da traino, vanno avanti l’immagine dell’atleta, dello scrittore e del testimonial Fratres di pari passo. In quelle occasioni non manca mai l’opportunità di introdurre l’attività della Fratres
Il messaggio è quindi quello dell’impegno e della forza di volonta?
Si certo, l’una non può prescindere dall’altra.
Per quanto riguarda l’attività sportiva attuale quali sono oggi i tuoi impegni?
La mia attività sportiva attualmente è in stand by, perché il campionato è finito e spero di ricevere delle proposte da qualche squadra in modo da poter giocare per almeno altri due anni, a meno che non succeda qualcosa di interessante.
Ti riferisce all’attività cinematografica?
Bè certo, stiamo portando avanti questo progetto e c’è molto interesse da parte di tutti, che ci fa essere ottimisti sul suo futuro. Comunque per il momento stiamo cercando di far uscire un buon prodotto in attesa che ciò possa preludere ad un progetto più importante.
Il libro racconta la tua storia da quando da piccolino hai avuto una grossa opportunità che, però, non può dirsi solo legata alla fortuna.
Certo, non ogni male viene per nuocere e certamente nel contesto dove sono nato ciò che era un male, cioè la mia altezza che mi faceva deridere dai miei coetanei, è stata la spinta che mi ha fatto decidere di andar via a cercare fortuna e sfruttare la mia altezza in altre parti.
La tua famiglia ti ha supportato in questa scelta?
Certamente, anche perché lasciare un figlio a quindici anni da solo ad oltre duemila chilometri non è certo cosa da tutti e sono stati molto coraggiosi.
Ma anche per te c’è stato molto coraggio ad andar via. Come ti sei trovato da solo?
Mi sono trovato molto bene, anche perché la realtà che mi ha accolto era molto strutturata insegnandomi tutto: dal modo come si deve lavorare ad alto livello, alle persone , agli allenatori: un’organizzazione perfetta. Sono andato a finire in uno dei centri sportivi migliori al mondo con la famiglia Benetton alle spalle. Però, ovviamente, dovevo combattere con tutti i problemi di ambientamento, di solitudine e poi, come dico sempre, ho iniziato da zero. Quando sono arrivato lì, i miei coetanei erano giocatori già quasi fatti. Ho avuto la fortuna di trovare degli allenatori che sono stati eccezionali perché loro insegnavano a scuola e nelle ore libere venivano al centro sportivo per allenare solo me, mentre potevano stare per i fatti loro tranquillamente a prendersi un caffè. Invece con me hanno insistito, mi hanno costruito, andando oltre il loro lavoro di allenatore.
Hanno trovato quindi una materia vergine, plasmandoti di conseguenza.
Io lo dico sempre: hanno trovato, con me, un diamante grezzo! Mi hanno fatto loro. Io avevo solo l’altezza. Ero alto come sono adesso ma con 2 chili in meno, pieno di complessi e di paure.
Per quanto riguarda il tema della donazione, certo il libro fa da traino. Non si può, quindi, non approfittare per sensibilizzare sul tema della donazione del sangue.
Certo, infatti quando sono nei palazzetti e si parla del mio libro ora che ormai tutti sanno che sono testimonial nazionale della Fratres è sempre facile aprire il discorso alla cultura della donazione.
Hai notato, girando l’Italia, che ci sono differenze di approccio rispetto a questo tema o, al contrario, riscontri che c’è una sensibilità comune in tutte le parti?
Devo dire che secondo me, in Sicilia, e al sud in generale, c’è ancora un po’ di timore e di scetticismo. Per qualcuno donare il sangue significa correre il rischio di incorrere in malattie. Mi sembra di capire che c’è una minore disponibilità.
Per quanto riguarda i giovani: sicuramente un campione raggiunge il cuore dei giovani che apparentemente sembrano meno coinvolti, ma in realtà, quando si può raggiungere le corde dei codici del mondo giovanile si può ottenere molto.
Si è vero. Secondo me, presenziare da lontano a delle manifestazioni può non essere utile. Bisogna entrare nel dettaglio, spiegare tutto ai ragazzi per filo e per segno. Spiegare che non ci sono rischi nella donazione. Se ci pensi, l’atto del donare dura solo 20 minuti del tuo tempo. E’ una cosa semplicissima e, quindi, ti chiedi perché la gente non dona. Non è un discorso che comporta spostamenti, 5 ore o disagi, veramente alla fine in pochi minuti è già fatto.
Qual è il tour promozionale del libro?
Il primo, che si concluso il mese scorso è partito da Catania fino a Rovigo. Poi Caserta, Roma , Treviso. Il libro è edito da Galassia Arte con una distribuzione devo dire di altissimo livello. Con ottime recensioni che mi fanno battere il cuore. Il libro è uscito da poco più di un mese.
Il progetto cinematografico come parte?
Intanto il libro, prima il documentario e poi la sceneggiatura che sarà proposta in seguito. Questi sono gli step che abbiamo deciso di fare. Stiamo facendo in modo che la mia storia sia conosciuta dal maggior numero di persone possibili anche grazie al coinvolgimento della RAI dove sono stato chiamato per delle interviste. Penso che sia una bella vetrina sia per il libro sia per il documentario.
Il documentario è già pronto ?
Penso tra qualche mese. Speriamo che qualcuno si innamori della sceneggiatura perché l’obiettivo finale, insieme a Cafiero che è l’altro autore, è di farne un film vero e proprio.
Il libro è un vero e proprio romanzo, la storia di un bambino di un paese dell’entroterra siciliano che, schernito da tutti a causa della sua altezza, vista come un’anomalia, decide di scrivere una lettera, senza nulla da perdere confidando solo sulla sua altezza e oltre a questa la consapevolezza di avere delle carte di alto livello da giocare come la grinta e la passione.
La passione per lo sport era grande e mi aveva spinto a fare un provino con la Juventus. Allora però avevo 13 anni, ero già molto alto e non sapevo muovermi bene. Poi a quattordici anni –decisi di scegliere uno sport per alti e da lì ho scritto la famosa lettera. Ma in condizioni fisiche e psicologiche veramente brutte perché ero afflitto da tanta insicurezza, massacrato da tutti. Mi prendevano tutti come un extraterrestre, ma per me è stata una spinta positiva.
Sullo sport ci sono oggi notizie contraddittorie. Ritieni che ci siano ambiti dove esso è vissuto in maniera più sana?
Per quanto riguarda il mio sport devo dire che quando ho iniziato era meglio di adesso. Non concepisco, per esempio, nel cacio, che le tifoserie impongano alla società questo o quel giocatore sennò minacciano di rompere tutto. Questo non è sport.
Nella pallavolo purtroppo c’è, attualmente, un problema gestionale: nel periodo dei fenomeni della pallavolo c’erano tanti sponsor e imprenditori di grosso calibro che investivano nelle società: Berlusconi, Gardini, Benetton. Oggi si assistono a società che si ritirano dal campionato perché non hanno più i soldi per proseguire anche nelle serie maggiori. La pallavolo, essendo uno sport minore è facile che vada giù se non vi è lo spessore necessario.
In particolare non si è investito nel settore giovanile ed oggi se ne vedono le conseguenze.