Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Pavel Durov e il neo Medioevo della sorveglianza digitale

Pavel Durov, il proprietario di Telegram, è stato arrestato in Francia. La piattaforma social X di Musk è stata spenta in Brasile e il CEO di Facebook, Zuckerberg, denuncia le pressioni del Governo americano. Uno scontro in vista tra capitalismo digitale delle imprese e politica della sicurezza degli Stati

di Victor Matteucci

Il 24 agosto 2024 il fondatore di Telegram, Pavel Durov, è stato arrestato in Francia con l’accusa di essere “complice di gravi attività illegali avvenute sulla piattaforma di messaggistica”. 

Da un lato, le accuse riguardano la mancata collaborazione con la Francia che chiedeva informazioni riservate su alcuni profili Telegram. Dall’altro, Durov invoca la libertà di stampa e il diritto alla riservatezza o alla protezione dei dati.

Durov si era sottratto ad ogni controllo governativo, sia in Russia che in Francia, e perciò era considerato fuori controllo, anche se lui si definiva, semplicemente, indipendente. Ma, mentre la disobbedienza alla pretesa di  controllo del governo Russo era stata accolta con applausi, la non collaborazione con quello francese ha portato all’arresto. 

Il manifesto del 27 agosto ha titolato “La notifica, polemiche, dubbi e misteri dopo l’arresto in Francia di Pavel Durov”, ma Macron ha immediatamente replicato che non si tratterebbe di un arresto di natura politica e che decideranno i giudici. Dopo 48 ore di fermo, Durov è stato trasferito presso il tribunale dove i giudici lo hanno condannato a una cauzione di 5 milioni di euro, gli hanno notificato di essere sottoposto alla libertà vigilata con obbligo di firma e, naturalmente, al divieto di espatrio, in attesa del processo che lo vede inquisito per una decina di reati tra cui: complicità in traffico di droga, riciclaggio di capitali illeciti, collegamenti con la criminalità organizzata, diffusione di contenuti criminali e pedopornografici e, perfino, di violenze gravi da parte di Durov nei confronti del figlio.

Mark Zuckerberg

L’altra notizia

Tre giorni dopo, il 27 agosto 2024, l’Agenzia Reuters ha pubblicato la notizia di una lettera nella quale il CEO di Meta Platforms, Mark Zuckerberg, afferma che l’amministrazione Biden avrebbe fatto reiterate pressioni sull’azienda affinché “censurasse” i contenuti relativi al COVID-19 durante la pandemia. Le pressioni politico-governative facevano riferimento alle richieste della Casa Bianca di rimuovere la disinformazione sul coronavirus e sui vaccini. In questa lettera, datata 26 agosto, inviata alla Commissione giudiziaria della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, Zuckerberg avrebbe anche aggiunto di essersi pentito di non aver parlato prima di questa pressione, così come di altre decisioni che era stato costretto a prendere in qualità di proprietario di Facebook, Instagram e WhatsApp, sempre in merito alla richiesta di rimozione di contenuti non graditi al Governo. 

L’ultima notizia

Trascorrono ancora pochi giorni e, il 30 agosto, “il Brasile spegne  X(titola Sky tg24 ) la piattaforma social di Elon Musk. La motivazione è che sarebbero scaduti i termini per la nomina di un rappresentante legale in Brasile. 

A prendere la decisione sarebbe stato il giudice della Corte suprema brasiliana (Supremo tribunal federal, Stf), Alexandre de Moraes. Secondo quanto riportato dalla testata ‘G1’, il magistrato avrebbe ordinato all’Agenzia nazionale delle telecomunicazioni (Anatel) di richiedere agli operatori Internet di bloccare l’accesso degli utenti alla piattaforma. La decisione è arrivata dopo che il tribunale federale aveva ordinato a Elon Musk, proprietario di X, di nominare, appunto, un nuovo rappresentante legale per la compagnia in Brasile. In caso di mancata ottemperanza, la piattaforma sarebbe stata sospesa. Secondo la normativa brasiliana, infatti, tutte le società Internet devono avere un rappresentante legale nel Paese. In questo modo, le decisioni legali possano essere comunicate e possano essere intraprese le azioni necessarie.

Elon Mask

La reazione di Musk  non si fa attendere: “Uno pseudo giudice  nega la libertà di parola”

In uno scenario di latente crisi internazionale tra Occidente e Paesi BRICS e con conflitti in atto ai confini Sud/Est,  tra Israele e Palestinesi, e al confine Nord/Est, tra Russia e Ucraina, che ogni giorno rischiano di divampare e di innescare la terza guerra mondiale, sembrano tre notizie di poco conto e non collegate fra loro. 

In realtà queste notizie sono, invece, molto rilevanti, strettamente collegate tra loro e nascondono un lungo conflitto latente tra interessi pubblici e privati in Occidente. In sintesi: quello che da tempo si temeva sta accadendo. Ma andiamo con ordine.

L’occupazione di aree libere extra legem

La nascita e lo sviluppo irrefrenabile delle aziende High Tech in questi anni di new economy è dovuto in gran parte al fatto che hanno colonizzato spazi liberi da leggi e ordinamenti. “Il mondo online non è ancorato a leggi terrestre (…) è lo spazio senza governo più grande del mondo”, affermano Eric Schmidt e Jared Cohen (Cfr. Shoshanza Zuboff, il capitalismo della sorveglianza, LUISS University Press, 2023). Secondo l’autrice si tratterebbe di un vero e proprio atto di pirateria del capitalismo privato digitale che aggira i vincoli fiscali, gli oneri e gli adempimenti e che considera, in pieno stile neoliberista, ogni tentativo di regolamentazione un attentato alla innovazione tecnologica e un freno al progresso e allo sviluppo.

La tendenza monopolistica

Questa crescita rapida ha rivelato sempre più apertamente una tendenza monopolistica delle aziende high tech con una strenua difesa con ogni mezzo delle posizioni dominanti e del vantaggio competitivo sul mercato, con sbarramenti per la concorrenza attraverso servizi e accessori non compatibili, con continue innovazioni di prodotti, con vincoli per gli utenti, ecc. Questa aspirazione monopolista, d’altra parte, è esplicitamente rivendicata dalle società High Tech che contestano la logica della concorrenza e il darwinismo selettivo del mercato, giudicate vecchie anticaglie.

Al contrario, invece, esaltano, la logica della cooperazione e dei cartelli (“l’ordine naturale e auspicabile delle cose”) perché “in una condizione di monopolio, la mancanza di rivali di cui preoccuparsi, consente ai monopoli di concentrarsi sull’innovazione, la soddisfazione dei clienti, un ‘equo trattamento dei lavoratori le aziende” (Peter Thiel, co-fondatore di Pay Pal, “Zero to One” https://www.youtube.com/@cultura-digitale).

La distruzione del capitalismo della produzione e della distribuzione materiale

È evidente che le aziende high tech hanno, in brevissimo tempo, soppiantato il sistema economico tradizionale, trasferendo la domanda e l’offerta on line, approfittando anche della spinta neoliberistica, ispirata ai Chicago Boys e all’economista Milton Friedman che, come è noto, rifiuta il ruolo dello Stato nel mercato, mentre sprona le imprese a esternalizzare il lavoro e a stabilire i rapporti di lavoro con contratti temporanei.

La cosiddetta new economy, inoltre,  puntava sul lavoro immateriale, ovvero sulla conoscenza, sulle competenze e sul lavoro digitale, riducendo il lavoro manuale, affidandolo alle macchine o delocalizzando le imprese manifatturiere in aree extra occidentali dove i costi e i diritti erano minimi.

Il controllo e la profilazione degli utenti

Le big tech Google, Facebook, Apple, Microsoft, Amazon, Instagram e Telegram, solo per citare le più importanti, hanno accumulato negli ultimi 20 anni un enorme potere e ruoli monopolistici nel mercato della messagistica, dei motori di ricerca  e, soprattutto, nel controllo dei dati personali (profilazione di massa), come nessun servizio segreto avrebbe mai potuto fare, peraltro con costi che sarebbero stati insostenibili.

Questa enorme acquisizione di dati personali, acquisiti da un mercato primario, viene poi venduta, tramite broker che li analizzano e li selezionano, ad un mercato secondario, aziende della grande distribuzione, imprese produttrici varie, per orientare meglio l’offerta e individuare con più precisione il target group.

Il rischio sociale

Una tale massa di informazioni così capillare e continuamente aggiornata grazie ad algoritmi sempre più performanti, al lavoro gratuito e involontario degli utenti che interagiscono tra loro (dati attivi), ma anche grazie al monitoraggio costante degli utenti, dei loro comportamenti, del loro stile di vita, delle tendenze e  delle abitudini detratti dalla profilazione (dati passivi), ha sempre fatto paura.

La ragione è evidente: queste aziende erano chiaramente fuori dal controllo dei Governi e il timore era che, prima o poi, la tentazione fosse di utilizzare questa profilazione di massa con finalità politiche o, comunque, che si determinasse una condizione di potere difficile da contrastare.

Secondo molti analisti politici questa situazione di monopolio rischiava, cioè, di produrre dittature economiche, da cui, il rischio di dittature politiche. “Se c’è una cosa che dovremmo aver imparato dal secolo scorso è questa: la strada per il fascismo e la dittatura è lastricata dei fallimenti della politica economica nel soddisfare le esigenze della stragrande maggioranza della popolazione. Le macroscopiche disuguaglianze e la sofferenza materiale alimentano un pericoloso appetito per leadership nazionaliste ed estremiste” (Tim Wu, La maledizione dei giganti, Il Mulino,  pag.8; citato in: Social totalitarismo di S. Maresca pag. 57, Armando editore).

Il controverso rapporto con gli Stati e le accuse a Durov della Francia

Alcune avvisaglie di questo clima di diffidenza e inimicizia vi erano già state nel corso delle presidenziali americane in cui si sfidavano Trump e Hillary Clinton e si erano ripetute in seguito con l’appoggio esplicito di Google al Governo Obama e di Elon Musk a Trump. Ma c’era anche il timore di aziende, così potenti da essere fuori del controllo dei Governi, potessero sottrarre al Governo la capacità di un controllo sociale e dunque minare la sicurezza nazionale.

Per tutto ciò la relazione tra le aziende high tech proprietarie di social network e Iistituzioni pubbliche è sempre stato instabile e contraddittorio (tra l’altro, alcuni ex esponenti governativi e della CIA lavorano con incarichi di consulenza in queste aziende).

In un rapporto del 2012 della FCC, la Federal Communications Commission, dell’aprile 2012 (pag 157), si affermava che le resistenze, le omissioni di Google nei confronti del Governo americano fossero tali da ipotizzare che ci fossero “prove di una mancata collaborazione di GOOGLE con il Bureau e che in molti casi, o in tutti, fosse deliberata” (Social totalitarismo di S. Maresca, pag. 57, Armando editore).

Si tratta, come si può vedere, delle stesse accuse mosse oggi dalla Francia a Pavel Durov con Telegram.

La breve fase collaborativa

Tuttavia, la stagione degli attacchi terroristici attribuiti all’ISIS e, in seguito, la pandemia, avevano distolto l’opinione pubblica e i governi da questo pericolo interno, rappresentato dai social network fuori controllo, perché divenne prioritaria la sicurezza esterna e la collaborazione da parte di queste big tech, come oggi rivela Zuckerberg, era stata, in qualche modo, ottenuta.

Non è un caso, infatti, che nel 2018, Macron avesse concesso a Durov la cittadinanza francese e gli avesse chiesto di trasferire la sede di Telegram da Dubai in Francia, invito che Durov aveva declinato.

Fine della fase collaborativa nello scenario di guerra attuale

Le cose, tuttavia, erano destinate a cambiare, dopo l’esplosione del caso che aveva coinvolto Cambridge Analytica, la società di consulenza britannica accusata della gestione dei dati per influenzare le campagne elettorali, ma soprattutto, dopo l’occupazione da parte della Russia e della Cina degli spazi digitali; il che aveva rivelato il possibile utilizzo predatorio dei dati e questo pericolo aveva di nuovo riproposto il problema della sicurezza e della difesa da possibili minacce esterne all’Occidente.

La Cina, ad esempio, secondo i timori occidentali, utilizzerebbe la tecnologia 5G come leva strategica per consolidare la propria influenza globale, sfidando il predominio degli Stati Uniti. Sempre secondo queste previsioni, con iniziative come la “Digital Silk Road” e “Made in China 2025”, “Pechino mirerebbe a creare un nuovo ordine mondiale basato su infrastrutture tecnologiche sovrane”.

Va da se che, nell’attuale scenario di guerra aperta, in particolare sul fonte Russo-Ucraino, l’urgenza di queste informazioni capillari e sensibili torna, dunque, di estrema attualità. I governi occidentali, che hanno tollerato fin qui una enorme accumulazione di capitali e una progressiva espansione fino a una condizione monopolistica da parte delle aziende High Tech, pretendono, ora, in cambio, una loro completa collaborazione in merito all’accesso ai dati e ai profili degli utenti, pena, per i proprietari, di essere accusati di complicità in reati che tramite la rete dovessero attuarsi. Ed è appunto questa l’accusa che è stata rivolta a Pavel Durov in Francia. 

Dunque, dopo le critiche e le proteste per il clima di repressione attuato da Cina e Russia che avevano limitato la libertà interna, rei di attuare un tracciamento dei dati somatici di massa e indiscriminato, che avevano imposto l’accesso costante ai dati da parte delle autorità e che avevano imposto il controllo degli scambi social, sembra che anche in Occidente, nonostante le dichiarazioni, la libertà vada riducendosi drasticamente e che la politica voglia anche nel cosiddetto “mondo libero” rivendicare una sua priorità rispetto alle ragioni economiche con limiti alla libertà e ai diritti in nome della sorveglianza.

Dittatura politica o economica. À la carte

Ecco, dunque, lo scontro interno al capitalismo che si sta prospettando e del quale l’arresto del fondatore di Telegram, Pavel Durov, è un segnale evidente. Lo scontro, tra le ragioni di Stato e quelle di natura economica delle aziende high tech che, a loro volta, dipendono molto dalla delicata fiducia accordata dagli utenti, ovvero, dalla garanzia della riservatezza e difesa dei dati (quantomeno a livello politico, se non commerciale), tuttavia, non sarà di facile soluzione. 

L’Artificial Intelligence: l’arma finale del neoliberismo

Un problema simile si pone per esempio anche riguardo all’uso dell’intelligenza artificiale, sempre più in uso dalle aziende H. Tech. Anche in questo caso, l’arma finale, come è stata definita l’intelligenza artificiale, pone un problema di non facile soluzione tra innovazione tecnologica del sistema e controllo politico.

Anche qui, riguardo l’ I.A., il capitalismo privato sembra intenzionato a procedere, a testa bassa e a tutta velocità, prescindendo dalle possibili conseguenze sociali (disoccupazione di massa), dai rischi politici (influenza sull’orientamento della pubblica opinione e sul consenso) o dai rischi militari (utilizzo di armi autonome privi di etica) che potrebbero derivarne.  In questo caso, le spinte all’innovazione sono partite dal capitale privato in alleanza con banche, Università e Centri di ricerca.

L’unica Istituzione che ha emanato una direttiva, molto blanda e conciliante, per la verità, tesa a monitorare e a regolamentare questo processo di innovazione, è stata la Governance pubblica europea che ha avviato una indagine conoscitiva e una ipotesi di regolamentazione già dal 2018 (A.I. Act – DG Connect Industria Digitale -Cfr. anche libro bianco UE 2020) che poi sarebbe stata adottata, in parte, nel 2023. Tutti gli altri Stati, USA in primis, si sono limitati a raccomandare un codice di autoregolamentazione alle imprese.

La privatizzazione del mondo dietro l’arresto di Durov

Quindi, secondo molti studiosi, non saremmo semplicemente di fronte ad un conflitto tra interessi privati e istituzioni pubbliche, ma sarebbe in gioco qualcosa di più. Secondo Antonio Negri  e Naomi Klein, saremmo di fronte ad una fase storica in cui si sta deliberatamente attuando un furto della conoscenza e del patrimonio comune senza precedenti, non solo attraverso l’acquisizione di brevetti e privatizzando produzioni naturali (vegetali e animali), ma anche con l’appropriazione, appunto, di milioni di dati personali e di conoscenze che sono incamerati dai Chatbot dell’intelligenza artificiale.

A questo proposito, infatti, il New York Times ha intentato una causa nel 2023 accusando la chatbot di OpenaAI di aver usato molti articoli dello storico quotidiano americano per allenare il proprio algoritmo.

In ogni caso, questa è la questione che si agita dietro l’arresto di Pavel Durov in Francia, la sospensione di X in Brasile e la lettera di Zuckerberg alla Commissione del Senato americano. Ovvero, i nodi tra innovazione tecnologica con finalità di accumulazione e profitto e le ragioni di Stato, sono infine giunti al pettine. 

Le opzioni 

Se dovessero prevalere le ragioni delle BIG TECH saremmo nella situazione in cui, pochi privati, fuori da ogni controllo, potrebbero attuare un social totalitarismo gestito da algoritmi che aggiorneranno continuamente, con nuovi screening, i nostri profili. Questa conoscenza capillare consentirà, prima, di adeguare l’offerta al consenso, ma poi, anche di orientare il consenso all’offerta. In altri termini, di persuadere il mercato alle nuove produzioni. Ma questa opzione lambisce pericolosamente un’altra possibilità: quella di realizzare un conformismo di massa, non solo per imporre tendenze di massa al mercato delle merci e dei servizi. Ma anche rispetto alle prospettive politiche e di Governo, sia riguardo alla eventuale riduzione delle libertà e alla contrazione dei diritti, ma anche nell’eventualità di svolte autoritarie.

Se dovessero prevalere, invece, le ragioni di Stato legate alla sicurezza, potremmo dover sottostare a regimi sempre più autoritari e di sorveglianza, da cui non avremmo scampo e, a cui, non potremmo sottrarci, per le stesse ragioni di cui sopra. 

In entrambi i casi saremmo in una situazione in cui i diritti umani, i diritti dei popoli, le ragioni sociali e la stessa libertà andranno sempre più riducendosi in nome della sicurezza. Un capitalismo della sorveglianza che dovrà essere assicurata, sia all’interno per controllare gli esclusi, che all’esterno per controllare gli intrusi. Gli estranei e gli esclusi da questo Neo Medioevo digitale e supertecnologico dovranno, infatti, essere necessariamente controllati e respinti poiché, quello di cui dobbiamo convincerci, è che non c’è posto per tutti dentro le mura occidentali. Anzi, solo una esigua minoranza potrà accedere a condizioni di garanzia, sicurezza e benessere. 

La prospettiva

L’ipotesi più plausibile è che, a questo scontro interno all’Occidente tra capitalismo pubblico e privato un compromesso si troverà sulla base di una sicurezza comune garantita da regole pubbliche entro cui poter essere liberi. Una sorta di Disneyland, un “non luogo” per popoli felici in un territorio protetto.

La “Cancel culture” applicata ai russi, l’ostinata sperimentazione del genicidio in atto a Gaza e quella che si annuncia in Cisgiordania, la quotidiana strage di migranti in mare, o quelli respinti dai muri lungo le rotte di transito, i poveri controllati a vista nelle periferie delle città occidentali. I cinesi e gli orientali obbligati ai lavori forzati nelle città fabbriche della manifattura, sembrano, invece, le soluzioni inevitabili destinate agli “altri del resto del mondo” che sono destinati a rimanere fuori. Questo è, appunto, il nodo dell’altro conflitto, quello esterno.

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