La pittura di viaggio del pittore spagnolo Pedro Cano quale fedele mappatura d’un personale itinerario esistenziale
di Salvo Ferlito*
La raffinata declinazione tonale dei colori, il suadente incedere dei trapassi chiaroscurali, la spoglia e ieratica armonia delle composizioni testimoniano d’una assoluta padronanza della pittura ad acquarello. E tuttavia classificare il gesto artistico di Pedro Cano in termini di mero ed esclusivo virtuosismo pittorico sarebbe decisamente riduttivo e inappropriato. Il rinnovato vedutismo con rovine di cui l’artista iberico è stato magistrale artefice va infatti ben al di là dell’elegante “souvenir de voyage” da pittura del Grand Tour, trattandosi piuttosto d’una accurata periegesi che è innanzitutto – ben oltre il pur palese virtuosismo tecnico – fedele mappatura d’un personale iter esistenziale; dettagliata topografia d’un percorso iniziatico, le cui tappe esteriori – storiche, artistiche e geografiche – null’altro sono che metafora e simbolo di approdi primariamente intimi e intrapsichici.
Introiettati e interiorizzati, i “luoghi della storia”, le silenti architetture, le fascinose rovine vengono quindi “decantati” e restituiti da Cano in forma di soggioganti fantasmagorie; di visioni ectoplasmatiche – prima ancora che di semplici vedute –, in grado di raccontare il ruolo giocato dalla memoria nella costruzione della propria identità di uomo, di artista e di intellettuale. Pintar el viaje (Dipingere il viaggio) per rappresentare – dunque – la progressiva stratificazione esistenziale che il nomadico peregrinare fra vestigia e mirabilia può ancor indurre e suscitare negli artisti contemporanei più recettivi e immaginifici. Nessun languore tardo o neoromantico, nessun onanistico autocompiacimento né alcun esibizionismo di stampo virtuosistico, ma una sentita e puntuale narrazione di “sé nel mondo”, capace di descrivere l’Ego dell’“artista-iniziato” ancor meglio – e più acutamente – di qualsivoglia autoritratto.
L’antro della Sibilla cumana, i “Sassi” di Matera, la “Mezquita” di Cordova, i peristili di Pompei, le martoriate rovine di Palmira e tanti altri luoghi, raffigurati con quei peculiarissimi trascoloramenti che producono un tipico effetto dissolvenza, e sospesi in una desolazione metafisica capace di evocare atmosfere visuali inquietanti ed ineffabili, si ergono dunque a metafora delle tante “miliaria” delle quali si sostanzia l’intensa iniziazione – artistica e sapienziale – cui l’autore ha saputo esemplarmente andare incontro. E non è un caso – pertanto – che quasi tutte le vedute appaiano inquadrate attraverso un portale, una finestra o una fuga prospettica di archi; non è un caso, perché l’artista, circonfondendo il dato ottico d’un insondabile senso di mistero, pare voler sottolineare il valore d’ogni limen e d’ogni soglia, e con esso la coscienza dell’essere la vita un transito continuo e irreversibile fra un acquisito ante quem ed un ignoto post quem.
In tutto questo, per l’appunto, consiste l’acquisizione “sapienziale” per cui <<il viaggio sono i viaggiatori>>, ovvero nella consapevolezza che “esser” non è che “divenire”, in una irrefrenabile e mai paga infrazione di qualsivoglia limite.
La mostra, allestita alla galleria Elle Arte di via Ricasoli 45 (Palermo), sarà visibile fino al 4 novembre, ogni giorno (tranne domeniche e festivi) dalle 16,30 alle 19,30.
*Critico d’arte