Ne abbiamo già parlato la scorsa settimana, di come la pandemia abbia costretto tutti a rinunciare a un evento bellissimo e coinvolgente come la Sagra del Mandorlo in fiore.
Per la città di Agrigento e i suoi dintorni costituisce non solo un evento di cultura e costume ma anche un’occasione per diffondere l’immagine di questo territorio a livello internazionale e per dare slancio all’economia turistica e al suo indotto.
Di questa occasione mancata ne abbiamo parlato con Francesco Picarella, assessore al Turismo e allo sviluppo economico della città dei templi, imprenditore alberghiero.
Anche quest’anno, a causa della pandemia, niente Sagra del Mandorlo in fiore: che danno rappresenta per l’economia dell’agrigentino?
“Purtroppo, come ampiamente prevedibile, la Sagra del Mandorlo in Fiore è stata rinviata a causa della incertezza sugli spostamenti determinata dalla pandemia. La festa che unisce i popoli ha come denominatore la condivisione di un messaggio di pace grazia all’incontro delle delegazioni dei paesi invitati. Questo naturalmente ha determinato un grave danno per l’economia locale legata ad una settimana che vede il pienone delle strutture ricettive”.
Una perdita anche in termini di posti di lavoro, quanti addetti impiega la manifestazione? Sono tutti impiegati con contratti a termine o si registrano ancora lavoratori in nero?
“Con la Sagra del Mandorlo in fiore, praticamente rappresentava l’inizio della stagione turistica con conseguente avvio di nuovi contratti di lavoro confermati poi per tutta la stagione. Negli ultimi prima della pandemia, anche se con aumento dei flussi annuali, la necessità sempre più netta è quella della stagionalità che, fortunatamente, grazie al clima favorevole durava più che in altre destinazioni”.
L’Unesco avrebbe dovuto essere partner della manifestazione, un evento mondiale, dunque…
“Già da qualche anno l’organizzazione della Sagra e del Festival è affidata all’Ente parco della valle dei templi considerato patrimonio Unesco. Proprio le ultime edizioni fatte i gruppi dovevano avere come caratteristica di provenire da luoghi che a loro volta hanno un legame con l’Unesco”.
Com’è, al momento, a prescindere dalla sagra annullata, la situazione delle prenotazioni turistiche ad Agrigento?
“Come dicevo prima fortemente condizionate dalla incertezza derivate dal Covid-19 e da tutte le norme ed i decreti conseguenti ad esso. Con l’auspicio che il 31 marzo si concluda lo stato di emergenza registriamo una timida richiesta da parte di turisti stranieri che sono mancati totalmente in questi due anni. Certo la crisi Ukraina amplifica il clima di incertezza ma contiamo di riprendere l’attività ed i numeri del 2019.”
La promozione del territorio
La pandemia non era un evento previsto e prevedibile. Cosa e come si può programmare, invece, per promuovere il territorio tutto l’anno?
“Il turismo in se per sé non è prevedibile. Una destinazione per distinguersi dalla concorrenza deve avere la capacità di prevedere la domanda, sempre più esigente e settorializzata. Non esiste più la vacanza come standardizzazione di servizi, ma negli anni si è evoluta sempre più verso quella unicità di esperienze che ogni singolo ospite ricerca.
Ad Agrigento c’è dialogo tra pubblica amministrazione e imprenditori del settore turismo?
“Sicuramente sì. Come amministrazione abbiamo cercato di rendere maggiormente partecipi delle scelte gli operatori del turismo. Il concetto di ospitalità non può essere gestito in forma singola ma collegiale”.
Quanto è costata la pandemia, in cifre, al turismo della provincia di Agrigento?
“Tantissimo… e quanto ancora costerà! Purtroppo gli effetti della pandemia si faranno sentire per molto tempo, le imprese hanno dovuto affrontare una vera è propria guerra che ha inevitabilmente segnato la tenuta delle partite iva. Da ogni crisi nasce sempre una opportunità e con questo spirito cerchiamo di dare il massimo sostegno a chi cerca di resistere e a quanti si rimboccano le maniche per creare nuovi business”.